“Era il 1957: sono arrivata al Lido, insieme a mia madre, vestita in modo abbastanza appariscente perché avevo scelto di indossare una serie di burnus africani” scrisse nella sua autobiografia del 1994. Il viaggio a Venezia era il regalo dopo la vittoria ad un concorso di bellezza al quale non aveva mai chiesto di partecipare ma che le avrebbe portato evidentemente fortuna.

Nata a Tunisi il 15 aprile del 1938 da una famiglia siciliana emigrata lì per lavoro parecchi anni prima, durante la prima giovinezza, a Claude Josephine Rose -forse per via anche del suo primo nome- non andava troppo a genio il ruolo di ragazza, a cui rispondeva con una ribelle ostinazione a “fare il maschiaccio”.
Non si sentiva bella né attraente come la super femminile sorella Blanche, la sorridente mamma o lo stupendo papà “uguale a Clark Gable”, così tentava di celarsi dietro dolcevita neri e pettinature a coda di cavallo, che domassero il suo crine bruno destinato a divenire celeberrimo, ignara che di lì a pochi anni sarebbe divenuta l’inevitabile risposta italiana a Brigitte Bardot -B.B.
Claudia Cardinale, C.C.
E insomma, torniamo al ’57: c’è una serata di beneficienza ed agli invitati è chiesto di presentarsi in costume: la diciottenne Claudia indossa quello tradizionale della Sicilia. Mentre sul palcoscenico si svolge l’elezione della più bella italiana di Tunisi, lei se ne sta al suo banchetto a vendere buste ed ad un tratto non sa chi, come e perché, la spinge sul palco gridando “È lei! Lei è la più bella italiana di Tunisi…”. Ed in un attimo si ritrova lassù, sul podio, una fascia attorno al collo ed ai fianchi.
Vinse per caso quel concorso di bellezza, lei che non si sentiva bella, lei che si nascondeva al mondo, lei che si sentiva sola e che passava i pomeriggi al cinema in compagnia di sé stessa, proprio lei. E fu così che andò a Venezia per la prima volta, dove conobbe quelli che sarebbero stati gli amici di una vita, come Renato Salvatori ed il suo regista, Luchino Visconti. Insomma, quei pochi giorni a Venezia, durante la mostra del cinema, furono la svolta: le cambiarono la vita per sempre. Tornata a Tunisi, nulla fu più come prima.

Quando penso a Claudia Cardinale, una delle prime immagini che mi balzano davanti agli occhi è quel momento de “La Ragazza con la Valigia” di Zurlini (1961), in cui il suo personaggio, Aida, confessa di essere una ragazza madre in difficoltà davanti ad un piatto di spaghetti, con quell’aria un po’ goffa, tra l’imbarazzo e la disperazione. E, nonostante sia solo uno dei suoi primi film, credo quella scena racchiuda l’apice emotivo di tutta la sua carriera, perché le si legge negli occhi quella realtà: una realtà fatta di violenza, dolore, solitudine e gioventù strappata. La realtà era che nel segreto e nella solitudine dei suoi 18 anni, tornata da Venezia e girati i suoi primi film (nascondendo i primi sette mesi di gravidanza sotto ampi maglioni), anche Claudia, in seguito ad un rapporto violento, era diventata madre di un bambino che sarebbe cresciuto grazie a lei ed alle cure di sua madre, il suo primo ed amatissimo figlio Patrick. Di lì, l’ovvio gioco di rimandi ed emozioni nel guardare e riguardare quella scena davanti agli spaghetti.
E pensare che non voleva neppure fare l’attrice. E pensare che quando fu mandata al Centro Sperimentale per giovani attori fece scena muta e se ne andò sbattendo la porta (ragione per cui fu ammessa). E pensare che a 18 anni credeva la sua vita fosse finita.
E poi venne Visconti.

Venne, per prima cosa, quella particina -piccola, ma memorabile e fondamentale per il regista- in “Rocco e i suoi fratelli” (1961), in cui fu Ginetta, giovane femminista, ruolo che, di lì in poi, le sarebbe stato attribuito più volte. Recitava accanto a Renato Salvatori e ad uno strepitoso Alain Delon, destinato a diventare suo grande amico e partner in più d’un’occasione: solo due anni più tardi, infatti, si ritrovò a lavorare ancora con lui e Visconti ne “Il Gattopardo” (1963), interpretando l’indimenticabile Angelica -accompagnata dal suo mordicchiarsi il labbro inferiore al cospetto di Tancredi e dall’inaspettata risata incontenibile.
…E Fellini
“Quando sono arrivata a scuola la prima volta con questa cartella, mi hanno picchiata tutti, pugni e calci, dicendo che era troppo bella per un’italiana, che non la meritavo…”. Claude era figlia di siciliani, ma oltre al suo dialetto locale, conosceva e parlava il francese, che aveva studiato a scuola, in tempi in cui essere italiana era uno dei più spregevoli attributi per una ragazza e di certo nulla di cui andar fieri, visti gli avvenimenti politici del paese. E così, quando iniziò a lavorare al cinema con Visconti e Zurlini, dovendo recitare ruoli di ragazze italiane (quale lei effettivamente era) ma essendo abituata a parlare francese, fu inevitabilmente doppiata. Del resto, mai nessuno le aveva detto che aveva una bella voce: quando era ragazzina, durante le ore di coro, le suore le imponevano sempre il silenzio, sostenendo che quel suo timbro roco avrebbe rovinato il canto angelico delle sue compagne; per questo, e per la questione della lingua nei film, sino al 1962 Claudia non esercitò mai particolarmente le proprie corde vocali.

Ma proprio mentre girava “Il Gattopardo”, in Sicilia, con Visconti, Fellini la richiese a Roma per darle il ruolo di Claudia in “8 ½”. Se il primo la voleva rigorosamente mora, il secondo la esigeva bionda (dovette tingersi più volte a settimana nel corso di quei mesi), se il primo la fece doppiare, il secondo preferì utilizzare la sua voce originale: una voce a tratti debole e roca, dall’inconfondibile ‘erre’, nella pronuncia di quel suo “perché non sa voler bene”. E fu così che “8 ½” fu il suo primo film in lingua italiana e Federico Fellini il primo autore a credere nel timbro particolare di Claudia.
LA PIÙ BELLA INVENZIONE ITALIANA DOPO GLI SPAGHETTI
Fu protagonista nello stesso periodo de “La Ragazza di Bube” di Comencini, che le valse un Nastro D’Argento alla Migliore Attrice, de “Gli Indifferenti” di Maselli e “La Pantera Rosa” di Blake Edwards, il suo primo ruolo in un film americano, sul set del quale David Niven disse di lei “la più bella invenzione italiana… dopo gli spaghetti”. In seguito, prese a lavorare molto più frequentemente in pellicole oltreoceano, si pensi solo a “C’era una volta in America” (1968), finendo persino nella copertina interna di “Blonde on Blonde” di Bob Dylan (costretto poi a rimuovere la fotografia per ragioni di copyright, nonostante la Cardinale ne fosse onorata), senza fermarsi neppure per sbaglio in questi sessant’anni.

Sessanta lunghi anni arte e di splendore che le hanno conferito molti tra i più prestigiosi premi cinematografici al mondo (al festival di Venezia, di Cannes, di Berlino, ai David di Donatello, ai Golden Globes per citarne alcuni), oltre a numerose onorificenze per le attività umanitarie. Schieratasi sempre dalla parte delle donne, non solo ha interpretato ruoli femminili forti, alternativi e ribelli, scardinando quelli che fino ad allora erano stati i codici standard, ma ha dimostrato una forza ed un’indipendenza dal punto di vista sentimentale e lavorativo che l’han sempre allontanata dai compromessi e contraddistinta.
60 ANNI DOPO
Il 2017 è stato e si conferma un anno particolare per Claudia: prima appare (un po’ troppo ritoccata dai grafici) nella locandina della 70esima edizione del Festival di Cannes, poi, ritorna in a Venezia. In occasione del suo sessantesimo anno da quella prima volta in laguna, in abiti africani, fotografata come una bellissima curiosità esotica ed ignara del brillante futuro prossimo che avrebbe fatto di lei una leggenda, il 3 settembre scorso è stata insignita del premio Kinéo alla carriera proprio alla Biennale del Cinema, camminando sullo stesso red carpet dove sessant’anni prima aveva visto sfilare gli artisti che più ammirava e con i quali non avrebbe mai immaginato di lavorare di lì a breve. Riuscire a scambiare due parole personali con lei, a stringerle la mano cercando di esprimere in poche frasi tutto il mondo di emozioni che sentivo dentro in quella giornata così importante e nello starle vicino e chiamarla per un altro saluto sul red carpet è stata una delle più gradi emozioni della mia vita. In una sola parola: magico.

Come tutti gli amanti del cinema potranno immaginare, la stella di Claudia Cardinale brilla ancora e sempre forte, in alto e di una propria luce abbagliante. Come scrissi anche su Facebook quella sera stessa, non solo si è fermata con tutti per un selfie, per un autografo, per una stretta di mano, ma soprattutto ha sfoggiato con fierezza e spontaneità 79 anni di splendore e 60 di imbattibile carriera. Ha portato il Cinema con la C maiuscola alla mostra del cinema più bella del mondo, con il suo inconfondibile sorriso fanciullesco, le labbra leggermente arricciate e gli occhi neri stretti a mezzaluna, come scrisse di lei Moravia tanti tanti tanti anni fa.
Carmen C.