Gli antichi egizi sostenevano che dopo la morte iniziasse un nuovo percorso nell’oltretomba, tanto che preparavano i defunti al loro viaggio nell’aldilà con ogni tipo di rito e di dono propizio. Similemente, anche i greci credevano nella vita dopo la morte, in questo caso nel Tartaro -presieduto da Ade: colpiti da θάνατος, tutti erano destinati a passare per il traghetto di Caronte sino a giungere negli Inferi, il loro ultimo stop. Certo, mitologia e letteratura antiche raccontano che non a tutti andava di morire, né tantomeno di perdere le persone amate, così si è letto spesso delle imprese di coloro che cercarono di fuggire la morte o di raggirarla, ma soprattutto dei pochi coraggiosi che tentarono di risparmiarla ai loro amati, eventualmente fallendo nell’impresa: non si può patteggiare con gli dei.
A questo proposito ricordo due episodi, uno tratto dall’antica mitologia greca, uno da un più recente romanzo di J.K. Rowling: il primo è quello di Orfeo ed Euridice, che vede il giovane poeta ottenere da Ade il permesso di riportare in vita l’amata, ma -nonostante fosse stato ammonito di non voltarsi a guardarla sino alla fine del cammino verso terra- giratosi verso di lei, con l’ansia di riabbracciarla, se la vide svanire davanti. Il secondo è invece il racconto de “I Doni Della Morte”, che racconta la storia di tre fratelli alle prese con la nera signora; mi soffermerò solo sul secondo, quello del fratello di mezzo. Egli, persa la fanciulla da lui amata a causa di un male che l’aveva uccisa prematuramente, chiese alla morte di restituirle la vita, così da poterla riavere, e quest’ultima lo accontentò: la ragazza risorse e poté finalmente sposarlo. Ma ella era fredda e scostante, terribilmente infelice e diversa da quella che era stata un tempo; continuò a sopportare l’esistenza finché non si tolse la vita, ed il secondo fratello con lei.
Queste -perché probabilmente leggendo le mie righe ve ne sono già venute in mente altre- sono solo alcune delle storie legate al tema thanatos o eros e thanatos dell’arte. Esse infatti incuriosiscono ed affascinano non poco il pubblico sin dai tempi più remoti, forse perché tentano di creare un legame tra l’uno e l’altro mondo, perché cercano di raccontare un dilemma, di svelare un arcano. L’unica cosa che si desume da tutti i racconti legati a questo tema oscuro è che non si può sfidare la morte: la si può far aspettare un po’ forse, o le si può andare incontro spontaneamente, ma non la si può fuggire né ingannare. Tantomeno si può pensare di farci un compromesso, di chiederle il rilascio: più che tornare sulla terra ed esistere di nuovo, è tornare in vita che è impossibile.

Anche C, il protagonista di “A Ghost Story” (interpretato da un sempre intenso Casey Affleck) -morto in seguito ad un incidente in auto nei primi minuti di film- desidera tornare dal suo amore M, così -con le sembianze di un fantasma- lascia l’obitorio e ritorna a casa. Si rende presto conto, però, di essere invisibile al mondo e quindi anche a lei, con cui cercherà un modo diverso e più profondo di comunicare. Non posso rivelare troppo della trama e degli sviluppi del film: mi limiterò a dire che -nonostante alcuni passaggi non mi abbiano convinta appieno- l’ho trovato molto molto toccante.
Casey Affleck recita per più di tre quarti di screentime coperto da un semplice lenzuolo d’ospedale -proprio come una sindone, come quello che i bambini usano a carnevale e per questo motivo la sua figura risulta ancora più fragile e delicata, a mio avviso una trovata geniale-: è proprio quel telo bianco con i due fori per gli occhi a conferire al fantasma un’umanità, una tangibilità ed una debolezza terrena. Nella prima metà, dunque, ruolo fondamentale è lasciato all’espressività di Rooney Mara, eccellente nel trasmettere il dolore della perdita con sobrietà e delicatezza, specialmente in quelle due lunghe scene chiave che racchiudono in pochi minuti tutta la sua solitudine, ostentata anche dall’ambientazione spoglia in cui si ritrova. La stessa casa, che nelle prime scene di film la vedeva vivere la sua intensa ed appassionata storia con C, è ora vuota e profondamente muta, quasi crudele nel far rimbombare così forte il ticchettio delle posate, il fruscio del vento, gli scricchiolii del legno. Ed M di quella casa non ne può più.
C è morto ma non vuole arrendersi, andarsene né soprattutto lasciare l’intimità della sua vita con M e ritorna così tra le mura di quella casa così intrisa della loro storia, seppure ad un prezzo: quello dell’invisibilità, dell’incomunicabilità, dell’impossibilità. E così, mentre lei elabora il lutto e quindi la separazione in modo normalmente graduale, per lui è diverso: C non può superare la perdita ed andare avanti, ma è destinato a rimanere ad aspettare qualcosa che in realtà è morto con lui.
Come potrà C vincere lo strazio per la sua propria morte?

È una storia di silenzi, in cui i personaggi conversano intensamente fra loro e con sé stessi specialmente tramite la musica -quella di C, che accompagna M nel primo periodo di lutto- e le abitudini domestiche. È la storia della lunga gestazione di un addio, ma questa volta dal punto di vista di chi se ne va.
Aspettavo questo film da molti mesi, ma onestamente non mi ero fatta alcuna aspettativa a riguardo, e ne avevo volutamente evitato il trailer. Ne sono felice: è un buon prodotto, ben recitato da protagonisti perfettamente in grado di comunicare i propri stati d’animo solo tramite sguardi e mi sento di fare i complimenti al suo regista e scrittore David Lowery per le scelte stilistiche ed il montaggio -sono state particolarmente apprezzabili le due scene chiave che mostrano M alle prese con la solitudine ed i ricordi. Forse un po’ pretenzioso rispetto al profilo un po’ -forse volutamente- sottotono della seconda metà, mi ha suscitato un’iniziale leggera delusione per il mancato approfondimento di alcuni elementi, ma ciò non pesa sul giudizio finale: la storia è aperta ad un buon numero di interpretazioni e stimola riflessioni su temi che da sempre tormentano l’umanità senza però mai trovare una risposta -cosa c’è dopo la morte? Cosa rimane di noi e del nostro passato?

Il fantasma di C, ritornato a casa | VULTURE
“A Ghost Story” non è un film didascalico né vuoto: i suoi continui silenzi sono intrisi di emozioni ed avvolti da un velo di reale tormento a ricordarci ancora una volta come il buon cinema si riconosca prima di tutto dalle capacità comunicative per mezzo di immagini e suoni magicamente evocativi.
Terminata la visione, nel silenzioso pomeriggio di fine estate di ieri, mi sono sentita un po’ scossa ed al contempo cullata dalla delicatezza di una favola dark che si interroga e si tormenta sull’inesplicabilità degli inevitabili addii.
VOTO: 7,5/10
Carmen
Bella recensione, molto dettagliata! Io sto aspettando questo film da mesi, ma inizio a pensare che in Italia non arriverà mai, salvo arrivino nomination agli Oscar. Comunque, mi hai ancora più incuriosito, non vedo l’ora di vederlo.
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grazie mille, mi fa molto piacere ti abbia colpito! in effetti dubito fortemente lo vedremo mai nelle sale italiane e ho qualche dubbio anche sulle nom (mainly because entrambi sono già stati nominati/hanno già vinto molto negli ultimi anni per ruoli forse più “parlati”, ma chissà. a breve dovremmo avere le idee più chiare. sono sicura che in sala, al buio e con un buon silenzio, il film renda molto di più. comunque… merita:)
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Bah, non è detto. Non ti sto parlando di vittoria, ma di nomination. La Streep viene nominata per qualsiasi ruolo lei faccia. Io spero così che possa arrivare. Quando ho visto il titolo ti giuro che mi sono emozionato perché pensavo fosse uscito, e sono rimasto deluso perché non è così. Ma forse è meglio dato che oggi devo andare a vedere un altro film, anch’esso importante, cioè: l’inganno (the beguiled). Poi la prossima c’è la madre! Insomma, se uscisse tra tre settimane sarebbe il massimo, peccato che non sarà così. E sì, la sala è sempre un’altra cosa
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ahah sì, la streep viene nominata per qualsiasi cosa faccia. e si, lei è bravissima, ma lì sotto ormai c’è una questione diversa, di simpatia.
btw.. l’Inganno lo vedrò anch’io nei prossimi giorni, poi magari scriverò qualcosa!
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Io lo vedrò oggi e domani pubblicherò la recensione. Sì, come te, anche io ho un blog di recensioni
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L’ha ribloggato su Cinepathic.
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