Oggi è il compleanno di Alain Delon -non solo uno degli uomini più belli che abbiano mai messo piede sulla faccia della terra, ma anche e soprattutto uno degli attori più talentuosi del panorama novecentesco – ed io voglio omaggiarlo così, raccontandovi il ruolo che l’ha scolpito per sempre nel mio cuore, nonché uno dei film più famosi e indelebili della storia.
Alain Delon in “Rocco e i suoi fratelli” (1960)
È il 1960, momento d’oro dell’arte, che apre un decennio più che florido per la settima arte in Italia: nello stesso anno infatti escono i tre film chiave della storia del cinema italiano (e non solo), realizzati dai tre registi più famosi, destinati ad inaugurare una felicissima stagione. Non a caso, probabilmente, tutti trattano -seppur in modo differente- il tema del viaggio.
Il primo è La Dolce Vita di Federico Fellini, ritratto dei vagabondaggi notturni di Marcello (Mastroianni, già attivo nel cinema da quasi una ventina d’anni ma iconizzato dal film), un vacuo reporter fedifrago ed in cerca di avventure nella Roma degli artisti, la cui vita si intreccerà con le storie più singolari, anche nella loro drammaticità.
Il secondo è L’Avventura di Michelangelo Antonioni, che vede i due protagonisti Sandro (un troppo dimenticato immenso Gabriele Ferzetti) e Claudia (una smemorata ma indimenticata Monica Vitti) intraprendere un’incerta ricerca della sperduta compagna del primo, Anna, cedendo però, nel tragitto, all’attrazione reciproca.
Alain Delon è Rocco Parondi, protagonista di “Rocco e i suoi fratelli” (1960)
Ed il terzo è Rocco e i suoi fratelli, capolavoro in bilico tra il neo-realismo ed il melo ad opera di Luchino Visconti.
Tratto da diverse ispirazioni care al regista –Il Ponte della Ghisolfa’ di Giovanni Testori, Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann, L’Idiota di Dostoevskij ed intriso di riminescenze veriste Verghiane (del resto, Visconti fu precedentemente autore de La Terra Trema, 1948, basato su I Malavoglia), il film tratta la vicenda di cinque fratelli lucani che, assieme alla madre, si trasferiscono a Milano per lavoro, in quegli anni del boom che vedevano il nord Italia come fonte inesauribile di fortuna.
Alain Delon e Annie Girardot in “Rocco e i suoi fratelli” (1960)
Mentre il più vecchio, Vincenzo (Spiros Focás) è in procinto di sposare Ginetta (Claudia Cardinale) in cerca della stabilità, ed il più piccino, Luca, cresce nell’ammirazione dei fratelli più grandi, Rocco e Simone, questi due si avvicendano nel mondo del lavoro milanese, quasi a mo’ di debutto in società al contrario: la loro giovinezza si disperde in un fiume di fatiche, competizione ed abbrutimento che li porterà ben presto allo scontro.
Figura semi-cristologica, interpretato da un Alain Delon più scultoreo che mai, Rocco, il terzogenito dei cinque, come il dito medio di una mano, sembra portare sulle proprie spalle il peso della famiglia intera, facendosi carico delle responsabilità dei fratelli minori e del maggiore Simone, la cui carriera di pugile lo sta spingendo all’esaurimento ed alla più triste megalomania intenta a celare un abisso di insicurezze incolmabili.
Quest’ultimo, un immenso Renato Salvatori (qui in una delle sue migliori prove attoriali), raggiunto quasi per caso un successo momentaneo nel pugilato, illuso e poi abbandonato dal suo manager, si troverà sempre più inglobato in una nebbia di perdizione e disperazione, alla disperata ricerca di far valere il proprio valore e riottenere la ‘gloria’ perduta. La drammatica vicenda lavorativa di Simone ritrae la bassezza umana e l’infernale macchina dello sfruttamento.
Renato Salvatori e Alain Delon in una scena di “Rocco e i suoi fratelli” (1960)
In questo panorama familiare strettissimo (che Visconti rende magistralmente tramite gli angusti ambienti domestici, il seminterrato che la numerosissima famiglia chiama “casa”) si inserisce l’affascinante figura della dolce Nadia (una toccante Annie Girardot), prostituta milanese in cerca di un po’ d’affetto. Intrapresa una relazione con Simone, che -perdendo la lucidità prende a trattarla con atteggiamenti possessivi e morbosi- si innamorerà follemente invece di Rocco, più dolce, per il quale lascerà Simone.
La relazione Nadia e Rocco, l’irrimediabile invidia di Simone per il buon fratello, che nel frattempo lo sostituisce come stella nel mondo del pugilato (Rocco viene scoperto più talentuoso del fratello) ed il temperamento focoso dei protagonisti, creano una soffocante rete di affetti spezzati, perdizione, vendetta e violenza che sfugge dalle mani di un iracondo e labile Simone, trasformatosi nella “rovina” della famiglia.
Nel dispiegarsi delle tragiche vicende che ne seguiranno, emerge la figura del quarto fratello Ciro, muratore prima ed operaio di fabbrica poi, simbolo ed emblema della meridionalità fiera, speranzosa ed infine legata alla terra, nel sogno di un ritorno in Lucania. È proprio in questo personaggio in particolare che risiede lo spirito neo-realista del film.
Rocco diventa pugile
Le vicende si susseguono secondo capitoli, ciascuno dei quali porta il nome di un fratello portavoce degli eventi, secondo una studiatissima tela realizzata magistralmente da Visconti, che vede Rocco comunque sempre in rilievo rispetto agli altri personaggi.
Egli infatti, spina dorsale della famiglia, collante tra tutti, bastone della vecchiaia della madre, difensore e protettore di Simone quando quest’ultimo perde la testa -nonostante il fratello gli procuri immensi dolori- incarna una figura quasi inesistente in natura, tipicamente romanzesca, appartenente ad un romanticismo o un verismo eroico, roccia su cui si abbattono tutti i mali, nonostante la giovane età.
In una tesissima ascensione emotiva, tipica dei romanzi di formazione, assistiamo al percorso di giovinezza di Rocco, da inesperto impiegato in una sartoria a pugile di successo, da ragazzino timido ad appassionato amante della dolce Nadia, più semplicemente da un piccolo paese lucano a Milano.
“Rocco è un santo” si dice, “Rocco è buono”, “meno male c’è Rocco”, “Rocco, devi pensarci tu ai tuoi fratelli”, “devi salvarci tutti”.
Rocco e Nadia al Duomo di Milano
Ormai feticcio di Visconti (sarà protagonista anche di una pièce teatrale e de Il Gattopardo nel 1963), che ama il suo viso al punto da fotografarlo come una presenza lunare tra il bianco e nero dei contrasti, Alain Delon presta la sua raffinata bellezza angelica accompagnata da quei tipici sguardi cupi ad un eroe moderno, un personaggio cristologico senza paura, mosso da un incontenibile spirito protettivo ed amorevole.
Non vuole scontentare nessuno, ma per accontentare tutti finisce per perdere ciò che ha di più caro, amore che lascerà scivolare tra le dita per l’onore di una famiglia lacerata dall’abbandono del paese e la responsabilità verso un futuro che nessuno gli può regalare, tranne sé stesso.
E poi c’è Milano: la grande Milano, la grigia Milano, l’ostile Milano, quella Milano di un boom che non si vede, di una speranza che non c’è, di una catena che si spezza, di una solitudine che corrode, di uno strappo.
Tra i temi del film emerge quello della povertà, dell’emigrazione, dello sradicamento, del viaggio verso la fortuna -che si rivelerà più dilaniamento che coesione del nucleo familiare- e, non da ultimo, dell’amore: amore per l’anelata terra, amore per la famiglia, amore per una donna, amore di sé.
Alain Delon, 1960
È questa l’opera che per prima consacrerà un allora venticinquenne Delon (oltre a lanciare Claudia Cardinale) ad icona del cinema mondiale, un prodotto inafferrabile nella sua maestosità, una tragedia greca moderna, melodramma neorealista dalle tinte fosche (lo sguardo selvaggio di Renato Salvatori) inframmezzate da intermittenze di più dolce respiro (i dialoghi sognanti tra Alain Delon e Annie Girardot), destinato ad essere oggetto di studi, ammirazione, e meraviglia per tutto il tempo indeterminato a venire.
ALTRI MUST CON ALAIN DELON
– 1960: Plein Soleil (Delitto in pieno sole), dir. René Clement
– 1963: Il Gattopardo, dir. Luchino Visconti
– 1967: Le Samourai (Frank Costello faccia d’angelo), dir. Jean-Pierre Melville
– 1969: La Piscine (La Piscina), dir. Jacques Deray
– 1970: Borsalino, dir. Jacques Deray
– 1972: La veuve Couderc (L’evaso), dir. Pierre Granier-Deferre
– 1972: La prima notte di quiete, dir. Valerio Zurlini
L’ha ribloggato su the girl on the halfshell.
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