
“Cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi?”. È intorno a questo quesito che si sviluppa The Place, all’Uomo che offre delle possibilità per concretizzare queste volontà e naturalmente al Luogo (anche lui personaggio) in cui avvengono gli incontri. La potenza di questo film sta nella vicinanza chi i temi trattati hanno con ognuno di noi. The Place è quella pellicola che ti scuote, ti rende ancor più consapevole del mondo in cui viviamo ed esci dalla sala con un tornado di pensieri a cui non riesci a dare ordine. Sei scosso e sopraffatto, tuttavia non puoi fare a meno di riflettere.
È difficile trovare le parole giuste per recensire “The Place” senza incappare in spoiler. Si potrebbe definire un dramma collettivo, un dramma di gruppo, alle prese con le difficoltà della vita nel presente.
Ma più di ogni altra cosa, si tratta della tragedia esistenziale dell’essere umano, mai esente da sofferenze, errori, orrori e sensi di colpa.

Il film si presenta in modo assai diverso da come io -Carmen- mi aspettassi (di proposito non ho letto la trama e non ho visto né il trailer né la serie tv americana da cui è tratto, ‘The Booth At The End’) e, dotato di una ambientazione/scenografia piuttosto inaspettata e originale -si svolge infatti interamente nello stesso interno di una tavola calda chiamata appunto “the place”- consente al pubblico di focalizzarsi interamente sugli attori, che si avvicendano uno ad uno in scena, con la loro storia personale.
Storie che potremmo vivere tutti i giorni, storie di uomini e donne che hanno tutto e niente da perdere, i cui desideri apparentemente bizzarri sono invece specchio dell’intimità di noi tutti.

Alcune vicende più interessanti, altre meno: sta a ciascuno di noi trovare la sua, specchiarsi nell’uso o nell’altro personaggio, nell’uno o nell’altro dolore, nell’uno o nell’altro sogno.
Consigliato a tutti coloro che hanno sperato -almeno una volta nella vita- di poter rimediare ad un errore, di poter tornare indietro, di potersi assicurare una gioia, di saper amare sé stessi e di trovare la propria strada, mi ha lasciato un forte senso di alienazione e una sfilza infinita di domande che non necessariamente avranno mai una risposta: a volte basta lo stimolo.
Paolo Genovese ha un dono ed è quello di saper tirar fuori il meglio da ogni attore che dirige, seppure i suoi film siano corali e gli interpreti abbiano quindi poche scene a

- Alba Rohrwacher nel film
disposizione.
Da segnalare, come sempre, Valerio Mastandrea, mastodontico (gioco di parole?) e unico nel panorama italiano odierno, nella sua performance misurata, caratterizzata dalla sua tipica malinconia ritmata da rari sorrisi e sguardi densi, e Sabrina Ferilli, nei panni di un “raggio di sole” tra tante anime smarrite.
Alessandro Borghi ha dato dignità ad un personaggio fragile e umano -come tutti noi-, è

stato in grado di trasmettere il dolore e la frustrazione di Fulvio in ogni sua scena. E soprattutto ha dimostrato di saper essere magistrale senza avere la sua migliore arma a disposizione: ha praticamente recitato senza occhi, a volte con un occhio, e ha trasmesso al 100% le intenzioni, i dubbi, la sofferenza, la rabbia e i desideri del tuo dolcissimo personaggio…. e una cosa del genere la fa Tom Hardy in Dunkirk.
E kudos ad una frizzante Vittoria Puccini, grazie al quale lo spettatore riesce a provare empatia per il suo personaggio a tratti capriccioso, ma comunque molto delicato. Infine menzione speciale a Silvia D’Amico, che ha dato prova del suo talento con naturalezza e genuinità (con un personaggio come il suo era facile cadere in banali caricature, ma così non è stato).
‘The Place’ è dal 9 novembre al cinema. E noi ve lo consigliamo.
Carmen & Mars
L’ha ribloggato su the girl on the halfshell.
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