mansfield-jayne-kiss-them-for-me_03-e1427220446718-1200x919Un breve viaggio a perdifiato finito in morte. Dopo lo schianto, il volo. E una testa di capelli biondo platino, come una stella cadente, lanciata alla cieca sulla strada, lontano dalla Buick Electra bianco metallizzato del ’66. Questa è la fine di Vera Jayne Palmer, l’ultima maledetta della scena statunitense, e anche -secondo le parole di Oriana Fallaci- la donna piu sincera di Hollywood

«Mi par di capire che questa Jayne Mansfield le piace parecchio» le chiedeva la giornalista. E la Mansfield: «Oh, sì! Sì! Sì! Mi piace tanto! Mi piace di fuori, come è fatta di fuori, come è fatta di dentro, mi piace da tutte le parti, non c’è niente e nessuno al mondo che mi piaccia quanto lei. Senta: è carina, è simpatica, è allegra, è buona, non dà noia a nessuno, non mette le corna al marito, se piange le passa, è un’attrice di prim’ordine, una madre stupenda, vive come le pare, se ne frega d’esser chiamata cretina: ma dove la trova una così? E, se vuol saperlo, son sicura che andrà in Paradiso. Ci crede?»*

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Jayne fotografata da Peter Stackpole a New York, 1956

Attrice, cantante, showgirl e infine stripper, vantava un Q.I. di 162, era laureata in lettteratura, parlava cinque lingue, suonava il violino, la viola e il pianoforte e si dilettava con esercizi di matematica -tutte cose che non interessarono mai minimamente il suo pubblico, molto più attratto dalle sue naturali doti fisiche e dalla leggenda erotica costruita sul suo personaggio.

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Vera Palmer prima di diventare Jayne Mansfield: una brunetta dai tratti dolci.

Io di Jayne Mansfield mi interesso relativamente da poco: solo un anno fa ho visto il primo film con lei e lo scorso aprile, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 85esimo compleanno, ho cominciato a raccogliere qualche informazione generale sul suo mito e -di conseguenza, subito dopo- mi sono dilettata nel fare ciò che amo di più quando mi appassiono di qualcosa: scavare sotto i brillantini, le chiome ossigenate e i seni prorompenti, de-iconicizzare l’allure e scoprire veramente chi era quella brunetta della Pennsylvania, nata per diventare l’ultima maledetta tra le blonde bombshell.

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La celeberrima fotografia di Sophia Loren che osserva preoccupata l’uscita di seno della Mansfield, 1957.

Prima di approfondire, di lei conoscevo solo una fotografia -quella fotografia- che la ritraeva al tavolo di una sala, durante una serata di gala, intenta a favorire l’uscita di un seno dalla scollatura dal vestito, osservata da una Sophia Loren perplessa: la prima era ormai alla fine del periodo aureo della sua carriera, mentre la seconda nel pieno del successo. Jayne Mansfield era finita a costruire gli scandali su sé stessa da sola, a pianificare spacchi vertiginosi, abiti scollati e uscite di seno, paparazzate e molto altro ancora. 

Too hot to handle. Se andate in cerca di questo video su youtube, guardando la performance di una Jayne a metà tra angelicata e dannata, circondata da giovanotti di contorno, vi accorgerete di quante volte probabilmente avete già sentito quella melodia, anche per caso, in giro per il mondo, in televisione o in qualche pubblicità random alla radio. Ed è un po’ così con tutto ciò che riguarda la carriera e la figura dell’attrice: l’abbiamo vista o sentita nominare quasi tutti almeno una volta, ma difficilmente ricordiamo dove e come.

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Ritratto di Jayne Mansfield verso la metà degli anni ’50.

Aveva esordito come risposta un po’ più giovane e ancora più bionda (quindi, secondo la politica hollywoodiana ancora più oca) di Marilyn, ma presto si era capito che non avrebbe mai potuto competere con l’originale: troppo caricaturale, troppo poco studiata, troppo improvvisata, troppo cheap e troppo dannata e sfortunata anche rispetto alla maledettissima Monroe. E a ragion veduta, poi, questo fu anche un bene: Jayne Mansfield fu la più anti-Marilyn tra tutte le aspiranti Marilyn, la più sincera delle infelici e la più originale delle ossigenate. A partire da quelle sopracciglia nere da latina, che chiunque avrebbe depilato o abbinato ai capelli, ma che lei lasciò sempre naturali, quasi volessero urlare per lei “sono tinta, sono mora, sono così solo per essere guardata, ho bisogno d’amore”. Perché infondo è per questo che ci si tinge i capelli a Hollywood, no? Per essere guardate. Ed è per questo che si ha bisogno di essere viste, no? Perché è la più semplice forma d’amore. E gli attori sono i mendicanti d’amore più famosi e sfacciati sulla faccia della terra.

Tra un ruolo e l’altro, e grazie alla totale mancanza di pruderie che la contraddistinse e distinse dalle altre sempre, la carriera di Jayne Mansfield proseguì la sua corsa lungo tutta la durata degli anni ’50, recitando in film di discreto successo, che le permisero di raggiungere e confermare una più che discreta notorietà, ma ciò che la consacrò davvero e ne consegna tutt’ora ai posteri la leggenda, sicuramente furono le innumerevoli copertine sexy, i servizi fotografici erotici per Playboy, le immagini tutte rosa della sua casa simil-confetto e i ritratti nudi più o meno occasionali in piscina, in compagnia dei suoi due adorati cagnolini.

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Posando per Playboy, 1955

Fu diva fino al ’57. Poi, dopo l’uscita e l’insuccesso di Baciala per me (accanto a Cary Grant), nonostante continuasse a recitare in produzioni più o meno importanti, non fu altro che attrice. Una come tante. Una tra le tante. E per una dea, scendere dall’olimpo e lasciare nettare e ambrosia per latte in polvere e lattine di tonno, non è possibile a meno che non rinunci a un pezzo di sé. E fu così che Jayne Mansfield fece: rinunciò a quella farsa che la società da che mondo e mondo chiama dignità -che è solo un’illusione, una zavorra, una bigotta paura, una catena- per rimanere a galla. 

La stessa bionda esplosiva che tanto aveva sorriso radiosa al pubblico dallo schermo cinematografico o dai poster promozionali di qualche brillante commedia romantica si affacciava ora alla strada, ammiccando ai passanti fuori dai night per invitarli ai suoi spettacoli di burlesque o a qualche cabaret che le permettesse di portare a casa il necessario a mantenere sé stessa e i suoi bambini, ignari di essere stati i figli di una diva, abituati a sostare, mangiare e dormire tra una cabina e l’altra di un locale, tra un sedile e l’altro di un tassì.

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Il suo fidato fotografo, Peter Basch, le scatta questa immagine nel 1965

Jayne Mansfield aveva fallito? Non lo so, non mi interessa e non ci credo. Per anni, chi la vedeva agli eventi mondani la derideva per la fine che aveva fatto: una sbandata, una drogata, una puttana. Della gente si dicono tante cose. Dei belli e dannati se ne dicono tantissime. Dei pazzi e dei sognatori, stupendi e pieni di fuoco se ne dicono anche di più. Certo, da un certo momento in poi la fortuna l’abbandonò e -per quanto la cercasse in ogni dove- quella non si fece mai più vedere, si nascose così bene tra le fotografie dei suoi vecchi successi e le repliche di qualche film ormai dimenticato. 

Negli anni sessanta presero a vederla impellicciata fuori dai night, leggermente appesantita, il costumino brillante, i capelli ancora più gonfi e ossigenati, quasi spettinati, e il trucco troppo rosa per la sua carnagione. Smisero di invitarla in televisione e di volerla alle serate di gala: non aveva più lo stile e l’attrattiva di un tempo e un tempo erano solo cinque anni prima. Era infelice ma voleva sopravvivere. Anche a costo di presenziare all’inaugurazione di un impianto di macellazione per portare 500 dollari di carne ai figli. Perché Vera Jayne Palmer era anche questo. Era ritornata una Marilyn casereccia, una diva cheap, una madre disperata. Aveva solo trent’anni, ma ne portava quindici in più, forse anche e soprattutto nello spirito, con quella voce flebile e soffice come una nuvola, che ancora mi sembra di sentir cantare As the clouds drift by, la sua canzone che amo di più. Così triste, così malinconica, così sola.

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1955: la sua foto che amo di più, scattata da Peter Basch

E una sera una a donna che le si era avvicinata per domandarle se fosse davvero Jayne Mansfield e proprio quella Jayne Mansfield lei rispose “the one and only”.  Poi, salita in macchina con i suoi cagnolini in grembo e i figli dietro, presa un po’ di velocità, andò a morire lungo la Highway 190, scontrandosi con un camioncino di servizio per la disinfestazione anti-malarica. Le coprirono la testa con un lenzuolo e portarono via il suo corpo assicurando ai bambini di stare tranquilli, la signorina Mansfield sta bene, ma loro videro i suoi inconfondibili stivali spuntare dalla barella, entrare nell’ambulanza e l’ambulanza sparire, sparire via nella notte e poi il buio.

Carmen