Per il Cinema.

Tutto ha inizio da qui. Un’opera pensata per il Cinema, destinata alla sala. Un atto di coraggio che scuote l’industria cinematografica italiana, la rivoluziona e l’accompagna verso terre inesplorate. La consapevolezza che si possono oltrepassare i limiti confezionando un film che lasci un segno indelebile. La dimostrazione che l’ambizione a volte può fare la differenza. Dietro questa recensione si cela del timore reverenziale, a fine visione mi sono sentita minuscola, incredula di quello a cui avevo appena assistito. Una lettera d’amore per il Cinema. Questo è Il Primo Re.

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Alessandro Borghi, Alessio Lapice e Tania Garribba in una scena del film | ©01Distribution

Nella sua ultima fatica Matteo Rovere scompone e ricompone con serietà e rigore il mito della fondazione di Roma. E fin dalla prima sequenza (l’esondazione del Tevere, le cui riprese hanno richiesto oltre due settimane) non lascia allo spettatore il tempo di prendere fiato. Quella di Romolo e Remo è una continua lotta alla sopravvivenza, una volta fatti prigionieri della tribù di Alba si ritrovano a dover fare i conti con il volere degli Dei. Si tratta di un mondo in cui si praticano culti pagani, dove gli uomini affidano le loro scelte al volere di un Dio che identificano in un elemento naturale, il fuoco. Essenziale è la figura della Vestale (Tania Garribba), donna che detiene il controllo della fiamma e dunque fa da portavoce delle divinità.

Non c’è nulla di astratto, Rovere (insieme a Francesca Manieri e Filippo Gravino) nella sua narrazione mantiene i piedi per terra cercando di essere il più fedele possibile: per la ricostruzione storica si affida infatti alle competenze di alcuni esperti in materia. E decide, inoltre, di raccontare la storia dal punto di vista del “perdente”, Remo. Ad interpretarlo un Alessandro Borghi che con gesti, fisicità e poche battute folgoranti riesce a conferire credibilità e spessore ai turbamenti che alimentano il suo Remo. Negli ultimi anni Borghi è diventato una colonna portante del Cinema. Nessuno dei due può esistere senza l’altro.

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Tania Garribba e Alessandro Borghi in una scena del film | ©01 Distribution

È nella messa in scena che osa, a partire dalla lingua, una riproduzione del proto-latino che dona verosimiglianza all’opera e permette di calarsi al meglio nella vicenda. E dove la parola non arriva, intervengono la postura, i grugniti e le movenze degli interpreti. Un lavoro certosino e appagante sono invece i colori nati dalle luci naturali della fotografia di Daniele Ciprì, in cui tonalità fredde e calde si amalgamano in maniera compatta e mai grossolana. Delle inquadrature degne di un quadro, come il volto in penombra di Alessandro Borghi che vede solo un suo occhio illuminato. Meraviglia. Ad accompagnare le immagini suggestive e fortemente d’impatto vi è la colonna sonora (composta da Andrea Ferri) mai invadente ed incalzante nei momenti giusti.

Tuttavia, Il Primo Re non si limita a mettere in scena una realtà arcaica e lontana da noi, anzi è molto attuale per le tematiche che tratta: l’amore e ciò che spinge a fare, la natura che si ribella al volere dell’uomo, ma soprattutto la religione che si scontra con la ragione.

Il Primo Re è l’inizio di qualcosa di straordinario. Dal 31 gennaio al cinema. Con orgoglio.

Marika