1.2. CRIMSON PEAK
“I fantasmi esistono davvero. Questo lo so. La prima volta che ne ho visto uno avevo dieci anni. Era il fantasma di mia madre. Se l’era portata via il colera. Mio padre fece chiudere la bara e mi disse di non guardare. Non dovevano esserci baci d’addio. Nessun saluto. Almeno fino alla notte in cui lei tornò.”
Siamo a Buffalo, nello stato di New York, nel 1887, e la piccola Edith riceve la visita del fantasma di sua madre mentre è a letto. Quello che sente è un monito per il futuro: “Figlia mia, quando arriverà il momento, sta attenta a Crimson Peak”. “Sarebbero passati anni prima che risentissi tale avvertimento. Un avvertimento senza tempo, che ho compreso solo quando era troppo tardi”.
È cosi che Edith ci introduce alla storia, una storia che capiamo subito essere incentrata sulla perdita e sui fantasmi. “Crimson Peak” è, tra i film di del Toro, quello che per tematiche si avvicina di più a “La spina del diavolo”, nonostante l’ambientazione storica sia completamente diversa: non ci troviamo più in una Spagna dilaniata dalla guerra civile nel 1939, ma nello stato di New York agli inizi del ‘900, con la tecnologia che avanza in piena rivoluzione industriale.Capiamo fin da subito che il fantasma della madre di Edith è una figura positiva, perché mette in guardia la figlia riguardo ai terribili eventi futuri che avverranno a Crimson Peak. In un certo senso ha lo stesso ruolo che aveva il fantasma di Santi ne “La spina del diavolo”, anche se lì noi spettatori comprendevamo la sua funzione di messaggero solamente dopo il primo atto del film.
Ciò che differenzia poi il fantasma di Santi da quello dell’inizio di “Crimson Peak” è l’aspetto, il design del mostro: se Santi ci appariva come una statua di porcellana pronta a frantumarsi, per trasmettere una fragilità e un’instabilità causate da forze oppressive esterne, il fantasma della madre è invece molto più mostruoso, la sua pelle è completamente nera e si intravedono con più facilità le ossa, per trasmettere l’idea della morte a causa del colera, quindi decadenza e malattia.
Come in tutti gli altri film di del Toro, la prima inquadratura che vediamo mostra il protagonista in una situazione drammatica che riguarda il finale, in questo caso Edith, la quale si trova in un paesaggio innevato, con in mano un coltello, ricoperta da molto sangue. Un prolungato sguardo in camera. Un’espressione disperata. Per del Toro l’inizio è sempre la fine. Alla morte può seguire la vita. Ad eventi tragici, una rinascita. Ed Edith, con quello sguardo, rinasce.
Come il regista ha più volte dichiarato, “Crimson Peak” non è un film horror, ma una racconto d’amore gotico. Al centro vi è la storia d’amore tra Edith (Mia Wasikowska) e Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston): Edith è figlia del nobile uomo d’affari Carter Cushing ed è un’aspirante scrittrice di racconti di fantasmi, mentre Thomas è un baronetto inglese che giunge in America con la sorella Lucille (Jessica Chastain) per trovare persone disposte ad investire nella sua macchina di nuova invenzione capace di estrarre l’argilla.
Come il giovane Guillermo del Toro, Edith ama scrivere storie gotiche di fantasmi, e ad un editore poco entusiasta dice che il fantasma è solo una metafora del passato, riprendendo il concetto già espresso dal regista messicano all’inizio de “La spina del diavolo”. Ma Edith sa che i fantasmi esistono veramente, la loro esistenza non è mai messa in dubbio, a partire dalla prima frase del film. E, allo stesso modo, non abbiamo mai dubbi del fatto che gli Sharpe stiano nascondendo qualcosa di terribile, grazie alla maniera in cui del Toro fa recitare Tom Hiddleston e Jessica Chastain e ai lenti dolly utilizzati ogniqualvolta i loro due personaggi entrano in scena.
Il fantasma della madre fa visita di nuovo ad Edith proprio nello stesso giorno in cui la ragazza incontra Thomas, quattordici anni dopo la prima volta, per mettere di nuovo in guardia sua figlia. Ma Edith si innamora velocemente di Thomas, incantata anche dal fatto che il baronetto sembra essere la prima persona interessata al suo racconto di fantasmi.
La prima volta invece in cui incontriamo Lucille sta suonando il piano, e, come noteremo in seguito, suonerà il piano anche nell’ultima inquadratura in cui la vedremo.

In perfetta tradizione gotica, Crimson Peak esplora il mondo naturale e lo fa associando, in una determinata scena, Lucille ad una falena nera e Edith ad una farfalla. Lucille, mentre osserva delle farfalle morenti in un parco, dice ad Edith che il nostro è un mondo selvaggio fatto di cose che muoiono o che si mangiano a vicenda, proprio sotto ai nostri piedi, e che le cose belle sono fragili, lasciando cadere la farfalla che aveva in mano, la quale viene subito attaccata e divorata da una moltitudine di formiche. È una scena potentissima, metafora del rapporto e della relazione tra le due, che preannuncia il gioco di potere che la sorella di Thomas instaurerà su Edith.
Lucille dice: “A casa ci sono solo falene nere, formidabili creature sicuramente, ma prive di bellezza. Vivono nell’oscurità e nel freddo”. E alla domanda di Edith “di che cosa si nutrono?” Lucille risponde che si nutrono di farfalle.
Se Edith è spesso raffigurata con abiti bianchi o colorati e la vediamo spesso sorridere, Lucille invece ci appare sempre in abiti scuri, è sempre immersa nei suoi pensieri e non trasmette nessuna emozione, vede se stessa come una falena, che può vivere soltanto nelle buie stanze della sua fredda casa.
Nel tragico confronto finale tra le due protagoniste, Lucille spiegherà ad Edith il criterio con il quale ha sempre scelto le sue prede, le sue vittime: donne fragili, belle e senza parenti in vita. Delle donne-farfalle.
Come negli altri film di del Toro, anche in “Crimson Peak” abbiamo una ragazza che rimane senza genitori: da una lato, come abbiamo visto, Edith ha perso la madre a causa del colera, dall’altro suo padre viene brutalmente assassinato da Lucille (un dettaglio che scopriremo solo nel terzo atto del film) per non avere accettato di sovvenzionare la macchina per l’argilla degli Sharpe e per aver ordinato a Thomas di andarsene e di abbandonare per sempre Edith.
Ma Edith, malgrado i dubbi sugli Sharpe provati anche da Alan, un suo giovane amico dottore, decide di sposare Thomas e, ormai senza più affetti a Buffalo, di trasferirsi con loro in Inghilterra, ad Allerdale Hall. Solo in seguito Edith scoprirà il vero nome della dimora: Crimson Peak.

È interessante esaminare il lavoro che fa del Toro sulla casa degli Sharpe: riprendendo le tradizioni dei racconti gotici sulle case infestate, il regista messicano ci presenta l’abitazione come se fosse un enorme mostro che vive. Se da una parte, per tutto il film, gli esterni sono sempre desaturati e uniformi, dall’altra gli interni di Crimson Peak hanno colori più vivi e più variegati, come per trasmetterci il fatto che la casa sia pulsante e vivente. Eppure la vediamo anche decadente, fredda, morta. La vediamo sprofondare nel suolo, e dai pavimenti emerge l’argilla, rossa e lucente, come sangue appena versato.
L’enorme dimora da un lato simboleggia Thomas, Lucille e i loro crimini, dall’altro raffigura il concetto di mostro per del Toro: qualcosa di morto che però sembra ancora vivo, un ricordo di un lontano passato, un istante di dolore che non avrà mai fine. Una bellissima e terrificante creatura.
In questa dimora fatiscente Edith incontra più volte spettri e fantasmi. Fantasmi che però sembrano essere diversi da quello di sua madre. Ed è sempre il colore che agisce come espressione di significato. Abbiamo visto che il fantasma della madre è nero perché raffigura una morte per malattia. I fantasmi che popolano Crimson Peak sono invece rossi, feriti e sempre doloranti. Sembrano sempre chiedere aiuto, sembrano essere supplicanti e imploranti. Il rosso rappresenta morte per omicidio, sangue drammaticamente versato e un assassinio violento.
Come ne “La spina del diavolo”, anche in “Crimson Peak” i fantasmi rimangono con le ferite letali subite nel momento della loro morte: come Santi ha del sangue sempre fluttuante dalla ferita sulla testa, così il fantasma nella vasca da bagno che vede Edith ha un’accetta conficcata nel cranio, e un altro fantasma di una donna regge il cadavere di un bambino tra le braccia, come se fossero tracce indelebili di un remoto passato.
Il dolore umano rimane anche nel sovraumano, per collegare realtà e mondo magico, nel classico gioco deltoriano di unione tra concretezza e fantasia.
In un crescendo di straordinaria potenza, veniamo a scoprire che il tè che Lucille offre in continuazione ad Edith è avvelenato, che Thomas Sharpe ha usato più volte lo stesso modus operandi, cioè quello di trovare ragazze belle, ricche e senza genitori, sposarle e ucciderle, dopo averle costrette a firmare il trasferimento di tutti i loro fondi alla famiglia, e, infine, che i due fratelli, da piccoli, avevano assassinato brutalmente la loro madre, la quale aveva scoperto la loro relazione incestuosa, con un’accetta in una vasca da bagno.
Si capisce però che per Thomas questa volta con Edith è stato diverso, si è realmente innamorato della ragazza, e sceglie di non uccidere Alan, sopraggiunto ad Allerdale Hall in aiuto di Edith, ferendolo solamente.
Edith, pensando che suo marito abbia veramente ucciso il suo unico amico rimasto, esclama: “Siete dei mostri”, e Lucille risponde: “ Strano, è l’ultima cosa che ha detto anche la mamma”.
A questo punto del film, capiamo chiaramente come i veri mostri non siano i fantasmi, ma gli Sharpe. Nel cinema di del Toro, i mostri sono spesso le persone. Ma anche i peggiori individui capaci di commettere i crimini più terribili hanno sempre una motivazione che noi possiamo almeno comprendere, un lato umano nascosto, legato ad un evento lontano che ha segnato indelebilmente la loro esistenza. E questa motivazione viene raccontata da Lucille ad Edith in una delle ultime scene. Lucille rivela che il bambino morto che teneva in braccio la donna fantasma vista da Edith in casa era suo, era un bambino nato deforme che la donna, di nome Enola, aveva tentato di salvare. “L’orrore è stato fatto per amore. Le cose che puoi fare per un amore così sono folli, abbiette, piene di tormenti e rimpianti. È un amore che ti brucia e che ti smembra. E poi ti rivolta completamente. Dovevi vederlo Thomas, era perfetto. Quando compiva delle piccole disobbedienze, lo proteggevo dal bastone di mia madre. Lei ci picchiava sempre. L’unico amore che io e Thomas avessimo mai conosciuto era quello dell’uno per l’altra. Tra queste mura fatiscenti, nascosti”. È con questo potente monologo che Lucille racconta l’infanzia vissuta a Crimson Peak. Sebbene non disposti a perdonare i mostruosi atti compiuti dagli Sharpe, siamo in grado di capire le tragiche motivazioni che hanno portato i due fratelli a commettere gli innumerevoli orrori.
Come vedremo anche nei prossimi capitoli, per del Toro nulla è statico o rimane tale, i personaggi e i mostri si evolvono, e così gli Sharpe probabilmente non erano nati in questo modo, ma sono stati creati e modellati dai comportamenti violenti e autoritari della loro madre, sono stati cresciuti da una forza esterna repressiva e terribile.

Nella risoluzione del film, Edith ferisce Lucille e tenta di scappare, Thomas, dopo aver bruciato i documenti firmati dalla ragazza che avrebbero reso possibile il trasferimento del suo patrimonio agli Sharpe e dopo aver confessato il suo amore nei suoi confronti, viene ucciso dalla sorella, ormai disperata dal fatto che suo fratello si sia potuto innamorare di un’altra donna. Lucille pugnala Thomas nella guancia e una lacrima di sangue sgorga dal suo occhio sinistro: questa potente immagine è esplicativa della loro tragica e complicata relazione, ma forse riflette anche una drammatica visione sull’amore da parte di del Toro (visione che cambierà invece con “La forma dell’acqua”). Non c’è spazio in “Crimson Peak” per un amore nuovo, dolce e beato, ma solo per un sentimento malato, mostruoso, disperato e violento.
La resa dei conti si svolge all’esterno della casa, in un paesaggio in cui la neve si mescola all’argilla, il bianco si tinge di rosso e il candore etereo di Edith si unisce al caldo sangue di Lucille, in un gioco che rimanda al tratto distintivo della visione deltoriana, cioè l’unione degli opposti e la convivenza di elementi distinti. A salvare Edith giunge il fantasma di Thomas, che lascia sbalordita Lucille, permettendo alla giovane ragazza di dare l’ultimo colpo decisivo alla sorella Sharpe.
In questa ultima scena, è forte il rimando a “La spina del diavolo”: come il fantasma del dottor Casares giunge in aiuto dei ragazzini nello scontro tra loro e Jacinto, così il fantasma di Thomas sopraggiunge nel confronto finale in favore di Edith. Ma vi è anche un omaggio che del Toro fa a Santi dal punto di vista del design del mostro: il fantasma di Thomas ha ancora il sangue che fluttua dalla guancia, proprio come quello di Santi dalla testa. Gli orrori subiti da vivi li accompagneranno per sempre anche da morti.
Edith accarezza per l’ultima volta Thomas, che svanisce. E così ci troviamo esattamente nella stessa inquadratura dell’inizio, con la ragazza che guarda in camera, e la sua voce fuori campo che ci aiuta a comprendere ciò che sta alla base del film. “I fantasmi esistono. Questo lo so. Ci sono cose che li legano ad un luogo come accade anche a noi. Alcuni restano incatenati ad un lembo di terra. A un momento nel tempo. Al sangue versato. A un terribile crimine. Ma ce ne sono altri. Altri che si aggrappano ad un’emozione. A un impulso. A un lutto. A una vendetta. O a un amore. Quelli, non se ne andranno mai”. E, con un lento movimento di macchina, vediamo il fantasma di Lucille che suona il piano.
Del Toro ci ha insegnato che a diventare fantasmi possono essere solo gli esseri umani che hanno subito un dolore enorme, che sono andati in contro ad un tragico destino, che sono stati vittime di terribili crimini. Thomas diventa un fantasma perché alla fine si redime e sceglie di non nascondere più il suo amore nei confronti di Edith. Lucille, invece, può diventare un fantasma perché è vittima dei soprusi subiti da sua madre e perseguitata dalla propria malattia mentale. E infatti il suo fantasma ci appare nero e oscuro, simile a quello della madre di Edith, perché affetto da una malattia che non è stata curata.
La colpa di Lucille è quella di aver amato suo fratello.
Alla fine, “Crimson Peak” ci dice che non c’è vero amore senza dolore e perdita, e che forse amore e orrore sono la stessa cosa. Quello che è certo è che sono sentimenti che non ci lasceranno mai.
© Federico Rigoldi