2.2. LA FORMA DELL’ACQUA
“Se dovessi raccontarlo, se davvero lo facessi. Da dove dovrei iniziare? Mi chiedo… dovrei dirvi quando è successo? A quanto pare, è successo tempo fa negli ultimi giorni di regno di un nobile principe. O dovrei dirvi dove è successo? In una piccola città vicino alla costa, ma lontana da tutto il resto. Oppure non lo so, dovrei parlarvi di lei? La principessa senza voce. O forse dovrei solo avvisarvi riguardo la veridicità di questi eventi. Una storia di amore e perdita, e di un mostro che cercò di distruggere tutto”.
Anche “La forma dell’acqua” comincia dunque con un narratore che ci introduce agli eventi che stiamo per vedere. Del Toro ci fa entrare in una casa sommersa completamente dall’acqua, in cui una donna che dorme fluttua dolcemente in questo mondo inabissato.
Capace di fare la storia diventando il primo film fantasy a vincere il leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 2017 e portare poi a casa 4 Oscar compresi quello per miglior film e miglior regia, è, come più volte dichiarato da del Toro, il suo film più personale ed esplicativo di tutta la sua poetica: fin dall’inizio infatti si dice che il mostro ha tentato di distruggere tutto, e ci bastano solo poche scene per capire che il mostro è in realtà l’agente governativo Richard Strickland, quindi un uomo. Mai così velocemente del Toro ci aveva mostrato come i mostri siano spesso le persone.
Siamo a Baltimora, nel 1962, in piena Guerra Fredda, in un periodo storico in cui dominano e governano il dubbio, la paura e l’incertezza. Ed è proprio in questo periodo che il governo americano trova uno strano anfibio durante una spedizione in Amazzonia e lo porta in una struttura segreta militare per studiarlo, in un’epoca in cui tutto potrebbe essere utile contro il nemico sovietico. In questa struttura lavorano come addette alle pulizie Elisa, una donna affetta da mutismo, la protagonista della storia, e Zelda, una donna di colore. Elisa vive in una appartamento sopra ad un cinema poco frequentato con il coinquilino Giles, un artista omosessuale che non riesce ad avere successo con i propri quadri. La prima volta in cui la vediamo, ci viene presentata mentre si masturba, per trasmetterci l’idea che non è una donna angelica che sta su un piedistallo, ma una normale persona che fa cose ordinarie e comuni.
Fin da subito capiamo quindi che “La forma dell’acqua” è un film sulle diversità e sulle minoranze, con personaggi che si sentono spesso fuori posto, un po’ come il giovane Guillermo nella sua particolare adolescenza passata in compagnia di mostri e storie dell’orrore.
Nella base lavora anche il dottor Robert Hoffstetler, che è in realtà una spia russa. Il colonnello Strickland invece rappresenta il sogno americano infranto: lo vediamo tornare a casa da sua moglie e dai suoi due figli, quasi come fosse una forzatura, ed esclamare “questa è l’America” con un tono ironico e seccato, e fare l’amore ordinando alla donna di non dire una sola parola. È un uomo violento e oppressivo, ma è anche schiavo e vittima di un intero sistema e del tempo in cui vive. Durante il film, lo vediamo sottostare ai suoi superiori e attraversare situazioni che normalmente un classico villain non affronta, come disperazione, insicurezza e perdita di fiducia verso le proprie più rigide convinzioni.

Ma il vero protagonista del film è certamente il mostro anfibio, sintesi di tutte le caratteristiche presenti negli altri mostri di del Toro. Con un costume prostetico incredibilmente dettagliato indossato dall’attore Doug Jones (che impersonava anche il fauno e the pale man) e senza ricorrere ad effetti speciali, il mostro ci appare allo stesso tempo regale, minaccioso e bellissimo. Ha tratti sia anfibi, come branchie e mani palmate, sia umani, come addominali e muscoli in evidenza. Tra le popolazioni dell’America latina era venerato come un dio, infatti ha un aspetto maestoso che trasmette un’idea di antichità, come se fosse una creatura preistorica. Ma deve essere anche una creatura di cui una donna possa innamorarsi, e quindi è anche un affascinante uomo-pesce dal fisico atletico e dalle labbra carnose.
Le prime azioni della creatura sono violente e istintuali, classiche dei predatori: il mostro infatti stacca due dita dalla mano di Strickland. Elisa è però subito attratta dal suo aspetto, e il loro primo incontro avviene attraverso il cibo: la donna offre un uovo alla creatura, che lo prende e scompare sott’acqua. Nella scena iniziale della masturbazione, Elisa aveva messo un timer a forma di uovo vicino alla vasca. Il legame tra la donna e il mostro preannuncia quindi un’attrazione erotica, simboleggiata dalla presenza dell’uovo.
Durante un incontro tra Strickland, Zelda ed Elisa, scopriamo che quest’ultima si chiama Esposito, cognome dato agli orfani, che fu trovata vicino ad un fiume, nell’acqua, e che le tre cicatrici che ha sul collo e che tenta sempre di nascondere le sono state provocate da dei criminali che le hanno asportato le corde vocali quando era piccola.
Un’altra protagonista senza genitori. Un altro personaggio femminile che soffre.
Come il mostro viene picchiato da Strickland, così anche Elisa ha subito violenza. Come il mostro vive nell’acqua, così la donna fu trovata accanto ad un fiume. Entrambi sono degli emarginati che devono sottostare a forze repressive esterne. Entrambi non hanno voce. Ma nonostante ciò, sono in grado di comunicare, e la loro comunicazione non ha bisogno delle parole, ma solo della visione, dei sentimenti e della musica in sottofondo. Sono sopraffatti da un mondo che è freddo e indifferente, ma quando sono insieme, si sentono in qualche modo capiti, in un periodo in cui la comprensione dell’altro non è ammessa.
E così, anche ne “La forma dell’acqua”, la Storia si intreccia al fantastico. È un epoca in cui regna la paura, caratterizzata da paranoia e sconvolgimenti sociali, in cui l’allerta verso una guerra nucleare con i sovietici è massima. È tempo di ineguaglianze e di razzismo. Un periodo poco adatto all’amore. Eppure, l’amore accade. Ma è anche l’epoca della corsa allo spazio, epoca in cui le persone avevano lo sguardo rivolto verso le stelle e verso il futuro. E la creatura, anche se in contrapposizione a questa idea ossessiva di futuro perché è un essere antico che proviene dal lontano passato, può essere utile nella guerra tecnologica e scientifica contro la Russia. L’uomo-anfibio ha infatti due differenti modi per respirare, il che potrebbe rappresentare un vantaggio per le missioni aereospaziali nei confronti dei russi. Poiché i raggi x sembrano inaffidabili, Strickland desidera vivisezionare la creatura per studiarla dall’interno, ma Hoffstetler si oppone fermamente.Elisa si affeziona sempre di più al mostro, e, quando torna a casa, tenta di convincere Giles a salvarlo, con un potente monologo che acquista ancora più profondità grazie all’interpretazione e al tono che usa Giles per tradurre per noi i suoi gesti. “Cosa sono io? Muovo la bocca, come lui. Non emetto alcun suono, come lui. Quindi io cosa sono? Tutto ciò che sono, tutto ciò che sono mai stata, mi ha portata qui, da lui. Quando mi guarda, il modo in cui mi guarda…lui non sa cosa mi manca. Né che sono incompleta. Lui mi vede per ciò che sono, come sono. Ed è felice di vedermi, ogni giorno. E ora io posso salvarlo o lasciarlo morire”. Nessun alto mostro nel cinema di del Toro era stato in grado di amare e provare dei sentimenti così forti verso un’altra persona. Nessun precedente mostro era stato in grado allo stesso tempo di accogliere nel proprio mondo ciò che gli era estraneo e, a sua volta, di comprenderlo ed entrare in esso. L’uomo-anfibio de “La forma dell’acqua” è l’ultima e definitiva evoluzione di tutto quello che rappresenta il mostro per del Toro.
Elisa, con l’aiuto di Hoffstetler, Zelda e Giles, facendo credere a Strickland che sia stata un’azione improvvisa dei russi, riesce a condurre a casa sana e salva la creatura, facendola stare nella vasca da bagno con acqua e sale. L’intenzione della donna è quella di rilasciare nel canale il suo nuovo ospite nei primi giorni di ottobre, quando dovrebbe cominciare la stagione delle piogge.

© Kerry Hayes
Giles, attratto anche lui, abbandona le figure umane e inizia a disegnare la creatura.
Ma anche questo dio non è del tutto perfetto: a casa infatti, dopo essere uscito dalla vasca, mangia uno dei due gatti. Per del Toro non esiste mai la perfezione, e anche la creatura che sembra più innocente, più esemplare e più eccezionale ha in realtà dei lati oscuri e può commettere dei peccati, proprio come noi umani. Perché i mostri rispecchiano sempre le nostre imperfezioni.
Nella scena successiva, l’uomo-pesce scappa di casa, ferendo al braccio Giles, ed entra nel cinema vicino per assistere, in una sala completamente vuota, ad un film biblico, dove viene raggiunto da Elisa. Forse questo è un rimando alla condizione sempre più grave e attuale del cinema inteso come esperienza in sala, ma è anche un meraviglioso affresco della potenza evocativa della visione. La creatura è infatti attratta da ciò che sta vedendo, è come sorpresa, come lo spettatore nei confronti del cinema rivoluzionario di del Toro.
Il mostro è in questo modo il centro attorno al quale gravitano tutte le arti: musica, pittura e cinema, come se fosse la sintesi di tutto ciò che è bello.
Quando torna a casa, tocca la ferita e la testa afflitta da calvizie di Giles, e rivela una bellissima bioluminescenza blu. Come abbiamo visto anche ne “Il labirinto del fauno”, tutti i mostri di del Toro cambiano, si evolvono e rivelano qualità nascoste. Poco dopo, a Giles miracolosamente scompare la ferita e ricrescono i capelli.
Inoltre, il rapporto tra Elisa e il mostro diventa anche fisico. I due infatti, in una scena difficile e coraggiosa, fanno l’amore. In questo modo, il legame tra l’umano e il fantastico che caratterizza tutta la poetica deltoriana ha la sua massima stabilità. Ora umano e fantastico sono uniti perfettamente. Il reale e il magico sono così un tutt’uno, in un momento di incredibile innocenza, intimità e pace.

Dopo aver avuto il rapporto col mostro, Elisa, mentre è su un autobus, riesce a muovere delle gocce d’acqua sul vetro. Lo fa realmente? O è solo un’illusione? Nel cinema di del Toro non c’è ostacolo a ciò che è possibile, e così le due gocce d’acqua si inseguono e giocano, rispecchiando la relazione tra i due amanti. Il magico è ora in perfetta armonia con il reale. E se il mostro rappresentasse l’intero cinema di del Toro? Abbiamo visto come da un lato sia un dio capace di compiere atti miracolosi, ma dall’altro sia totalmente umano (sesso e violenza), di come sia capace di mostrare amore e orrore, delicatezza e aggressività, sorpresa e paura, esattamente come tutti i film di del Toro. Ricordiamo che “La forma dell’acqua” è il film più personale del regista messicano, quello con più riferimenti al cinema e alla storia del cinema (Elisa e Giles vedono sempre alla tv film musical degli anni quaranta e cinquanta). E del Toro infatti omaggia questo genere di film in quella che è probabilmente la scena più stupefacente dell’intero lungometraggio. Mentre i due amanti sono a tavola, Elisa comincia magicamente a cantare “You’ll never know”, canzone del musical “Hello, Frisco, Hello”, del 1943, e la scena si trasforma improvvisamente in numero musicale di un film in bianco e nero, con un’orchestra ad accompagnare Elisa e la creatura che danzano. La canzone dice “non saprai mai quanto ti abbia amato” ed è come un ringraziamento e una lettera d’amore finale da parte di Elisa nei confronti dell’unico essere che l’ha veramente capita, poco prima di lasciarlo andare per sempre.
Nel frattempo, Hoffstetler incontra i suoi superiori russi, che gli sparano per essersi rifiutato di uccidere il mostro quando gli era stato ordinato. Ma sul luogo sopraggiunge Strickland, il quale riesce a farsi dire dallo scienziato chi sono stati i responsabili dell’azione alla base.
Nella risoluzione finale, Elisa e Giles portano la creatura al canale, pronti per liberarla, ma piomba sul luogo anche il colonnello, che atterra Giles e spara al mostro e alla donna. Ma la creatura si rialza, dimostrando, come ammette anche Strickland, di essere veramente un dio, e uccide il colonnello. Sotto gli occhi increduli di Giles e di Zelda, giunta con la polizia sul luogo, il mostro si tuffa nell’acqua, portando con sé Elisa.
E così, le ferite che ha sul collo diventano branchie. Come ne “Il labirinto del fauno”, il dolore e la sofferenza sono necessari per raggiungere la felicità e l’amore, e ciò che nel mondo reale si tenta di nascondere diventa invece vitale e salvifico nel mondo fantastico.
Mentre Elisa e il mostro si abbracciano in una dolce danza sommersa, il narratore Giles conclude la storia: “Se dovessi raccontarvelo, cosa vi direi? Che vissero per sempre felici e contenti? Secondo me è così. Che erano innamorati, che continuarono ad amarsi? Sono sicuro di sì. Ma quando penso a lei, ad Elisa, l’unica cosa che mi viene in mente è una poesia, sussurrata da un innamorato centinaia di anni fa: incapace di percepire la tua forma, ti ritrovo tutta intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi col tuo amore, il mio cuore si fa piccolo, perché tu sei ovunque”.
La storia perciò comincia e si conclude nell’acqua. Il mostro anfibio, durante tutto il film, dimostra di possedere le qualità adattive proprie dell’acqua, assumendo le caratteristiche di tutti gli esseri umani che incontra, rispecchiando sia odio (Strickland) sia amore (Elisa). Possiamo dire che la creatura rappresenta la “shape of water”, la forma dell’acqua: come l’acqua, anche l’amore non ha forma ed è ciò che accomuna tutti gli esseri umani. Il mostro diventa quindi un concetto.

Bene e male, bellezza e mostruosità, amore e brutalità, innocenza e minaccia si intrecciano, dimostrando come nessuna oscurità potrà mai superare la luce. Il film finisce senza quelle sensazioni di tristezza, di nostalgia e di sospensione che caratterizzano gli altri lavori del regista messicano. Ne “La forma dell’acqua” c’è spazio per un amore puro, vero e immortale, e i due amanti possono vivere finalmente felici e contenti. Umano e mostruoso si uniscono, anche fisicamente, in un’eterea danza sott’acqua fatta di pace e beatitudine. In un reame che però è inabissato, lontano dal mondo degli uomini, il quale invece ci appare sempre pronto a minacciare i veri sentimenti, pronto a spazzare via tutto ciò che è bello e puro, incapace di accettare il diverso. Come ne “La spina del diavolo”, ne “Il labirinto del fauno” e in “Crimson Peak”, nel nostro mondo regnano l’orrore, la sopraffazione e il dubbio. Nella dimensione fantastica, invece, il dolore diventa una benedizione e permette all’amore di andare avanti.
Forse il mondo degli uomini non conoscerà mai questa storia di tenerezza e perdita. Forse rimarrà solo leggenda. Ma in un reame magico, limpido e beato, tanto lontano quanto vicino al nostro, un nobile principe e una principessa senza voce hanno trovato pace.
CONCLUSIONE
Queste storie ci dimostrano che per del Toro, nel nostro mondo, non può esistere la perfezione. Tutti gli abitanti di questo incredibile reame fantastico sono incompleti, sono pieni di difetti, si arrabbiano facilmente, sbagliano in continuazione. Uomini e mostri. E proprio per questo, siamo in grado di comprenderli, di sentirci a loro vicini, di amarli. La bellezza del nostro mondo risiede nell’imperfezione. Ed è forse grazie a queste imperfezioni che potremo, in un tempo e in luogo remoti, raggiungere completa felicità e totale armonia.
La potenza della visione deltoriana deriva proprio dalla sua capacità di comunicare direttamente con i luoghi più oscuri della nostra esistenza. E sono luoghi fatti di incubi e orrore, dove ci confrontiamo con le nostre paure più primordiali. Del Toro ci è guida in questo difficile cammino fatto di terrore e sangue, dal caldo torrido di un orfanotrofio isolato, attraverso un abbandonato labirinto e una casa ferita che sembra chiedere aiuto, fino a giungere finalmente in un reame beato e sommerso.
Noi uomini sappiamo che il mostro che ci attenderà per sempre è la morte. Un mostro che aspetta, che vigila su di noi senza sosta, come l’uomo pallido de “Il labirinto del fauno”, pronto prima o poi a mettersi gli occhi e a guardarci direttamente, come il fantasma di Santi de “La spina del diavolo”, che aspetta desideroso di vendetta il suo assassino, come l’amore eterno e immortale di Lucille in “Crimson Peak”. Ma nel cinema di del Toro c’è spazio anche per l’amore. Il regista messicano esplora la vita nella sua totalità: amore e bellezza, morte e orrore.
Bisogna attraversare la totale oscurità per raggiungere poi la luce. Una luce che è stata trovata dopo tanti anni, a cui si è giunti dopo tante storie di dolore e perdita. “La forma dell’acqua”, racconto di bellezza e speranza, è un antidoto al nostro mondo di cinismo e freddezza. Questa luce risiede proprio nel mostro, che è capace di accettare e potenziare le imperfezioni di noi uomini. Il mostro è capace di amare perché puro, estraneo alla corruzione e alle bugie umane.
Del Toro è ancora quel bambino che da piccolo ha incontrato queste strane creature e che ha tentato per tutta la vita di comprenderle e interpretarle. Ed è forse con “La forma dell’acqua” che è arrivato finalmente ad accettarle completamente. Questa danza pericolosa, carnale, violenta e primitiva tra l’umano e il mostruoso si è infine trasformata in un abbraccio etereo, spirituale e immacolato.
Il suo cinema è come una porta che si apre verso le nostre inquietudini più nascoste, verso le prigioni più oscure del nostro subconscio e verso le ferite spesso dimenticate della nostra storia. Solo percorrendo questo sentiero di autoriflessione lungo il quale nostri accompagnatori sono i mostri e le creature magiche, è possibile per noi pervenire a un’autoaccettazione che è fondamentale per crescere e trovare coraggio, come dimostrano le storie de “La spina del diavolo” e de “Il labirinto del fauno”.
Il cinema horror e fantastico definisce e illumina le nostre paure. In questo momento complicato per gli incassi cinematografici dei film a medio budget, l’horror è l’unico genere che non è mai in difficoltà e che non ha bisogno del nome di grandi attori per attirare il pubblico. La sua potenza sta nella sua semplicità, nella sua capacità di toccare ed indagare i nostri istinti più primordiali e primitivi, attraverso la costante presenza del corpo e del sangue come tramite tra la nostra interiorità e le sfide del mondo esterno. Del Toro unisce queste classiche caratteristiche del genere con elementi propri delle fiabe e della letteratura favolistica, come i temi della crescita e dell’amore.

È spesso il mostro che compie atti spirituali e miracolosi: l’uomo anfibio che ne “La forma dell’acqua” guarisce le ferite di Giles, la correlazione tra la morte di Santi e la bomba inesplosa de “La spina del diavolo”, il fauno che guida Ofelia in una sorta di aldilà e la mandragora salvifica de “Il labirinto del fauno”. Il tema della religione è sempre presente nel cinema di del Toro, e i mostri hanno spesso funzioni proprie di angeli e profeti. Creature magiche, fiabe e parabole hanno infatti il compito di rendere tangibile tutto ciò che invece in altre forme di narrazione sarebbe solo metafora e allegoria. La paura e il brivido sono elementi che non possiamo controllare perché sono esperienze istintive e inconsce. E per questo, in del Toro, diventano fondamentali per quelli che sono gli aspetti più religiosi e spirituali: la fede infatti necessita di abbandono, della consapevolezza e dell’umiltà di abbandonarsi totalmente a qualcosa che non comprendiamo, a un qualcosa di ancestrale che ci sembra essere molto più grande e immenso di noi. E così, il mostruoso diventa spirituale.
In questo stato di distacco e di sorpresa, ci troviamo, esattamente come la creatura de “La forma dell’acqua” davanti al grande schermo, rapiti e incantati di fronte a fenomeni che vanno al di là di ogni nostra possibile comprensione. Poco prima, il mostro si era mangiato il gatto e aveva ferito Giles, ma dopo essere stato ammaliato da questa visione entra definitivamente nella dimensione salvifica e ideale, guarendo l’uomo e unendosi a Elisa. In questa separazione con i vincoli della realtà, ci troviamo anche noi davanti a fenomeni eccezionali e possiamo così confrontarci con il lato spirituale della nostra esistenza.
Il mondo ci appare così non più materiale, incontriamo regole e principi che non fanno parte del nostro universo conosciuto, leggi magiche che ci costringono ad adottare differenti vincoli spazio temporali. E quando entriamo in questo nuovo mondo, un mondo che può essere sotterraneo, sommerso o solo dimenticato, in questo reame incantato dove tutto può succedere, in cui tutti sono accettati, possiamo incontrare un fantasma appena nato che è spaventato quanto noi, spettri straziati che chiedono aiuto, fate che ci mostrano la strada, un fauno che diventa per noi come una figura paterna, ed un bellissimo e affascinante nobile principe anfibio che ci abbraccia teneramente.
È come nella grandi storie. Storie dominate da oscurità e tenebre, dolore e malinconia. Storie che ci affascinano fin da quando siamo piccoli. Storie in cui è difficile scorgere la luce. Ma, dentro di noi, sappiamo che la luce, prima o poi, giungerà. E sarà compito del mostro portare questa luce in un mondo ostile e pieno di pericoli. Solamente in questo mondo è permesso agli angeli di esistere, non importa quanto oscuri possano essere.
© Federico Rigoldi
[© foto in evidenza scattata da Taili Song Roth]