ad-astra-dal-26-settembre-nelle-sale-italiane-maxw-814Ad Astra si inserisce in quel filone di fantascienza spaziale inaugurato da “Gravity” nel 2013. Dal capolavoro di Cuarón in poi, “The Martian”, “Arrival”, “Interstellar”, “First Man” hanno tutti usato il viaggio spaziale e la fantascienza come metafora, per i loro protagonisti, di un percorso personale verso una scoperta di autocoscienza e accettazione.

Nel film di James Gray, per la prima volta alle prese con un vero film di genere ad alto budget, Brad Pitt interpreta il maggior Roy McBride, il quale viene incaricato di cercare suo padre nelle profondità dello spazio. Lo scenario iniziale è quello di un classico film apocalittico: la nave del padre, partita una ventina di anni prima verso Nettuno in cerca di vita su altri pianeti, è responsabile delle scariche magnetiche che stanno minacciando l’ecosistema terrestre.

Ad Astra ci presenta una società che sembra aver dimenticato la propria casa, e che invece si sia concentrata sulla colonizzazione di altri mondi. In una scena vediamo una base lunare con panini di Subway e caffè di Starbucks, e sulla Luna abbiamo gli stessi problemi terrestri di distribuzione delle risorse e ostilità trai i suoi abitanti provenienti dalla Terra. Roy incontrerà tanti personaggi e affronterà tante situazioni in diversi punti del cosmo (Luna, Marte e oltre), ma in realtà il suo è un viaggio di solitudine e di ricerca personale. Gray usa, ispirandosi a Malick, la voce fuori campo per presentare i pensieri del protagonista, ma spesso risulta forzata, insistente e didattica. Brad Pitt lavora invece in sottrazione (a parte una scena di autoanalisi in cui piange) ed è meraviglioso nel trasmettere questo senso di vuoto e di mancanza, ma spesso interviene questa sua voce esterna che a volte si scontra con quello che vediamo e altre non fa altro che rimarcare quello che era già intuibile dallo stupendo lavoro dell’attore.

Fin da subito capiamo che a Gray non interessi il plot, gli eventi filmici del racconto e i colpi di scena, ma la psiche di Roy e il suo rapporto andato perduto col padre. L’aspetto di questa urgenza della sua missione nel salvare il mondo scompare già quasi nel primo atto in favore di un viaggio che è tanto cosmico quanto in realtà profondo e intimo.

Roy è un personaggio solo, che ha problemi con sua moglie (interpretata da Liv Tyler), quasi separato da tutto ciò che gli accade intorno, e nella prima sequenza vediamo come rischi la vita e, nonostante ciò, il suo battito cardiaco non aumenta.

James Gray sottolinea questo distacco con la messa in scena, attraverso inquadrature lente, pochi movimenti di macchina e l’uso della musica. Il problema è che se hai un genio come Max Richter alla colonna sonora devi usarlo bene, per costruire un crescendo emotivo e narrativo, che invece il film non ha mai. È come se si fosse saltato un passaggio di mixaggio, perché la musica è costante ma in questo modo mai presente, sempre in attesa, sempre distaccata dalle scene.

Lo spazio estremo diventa metafora della nostra coscienza, più l’uomo si spinge nei suoi meandri nascosti più impazzisce, come sembra avvenire per il personaggio di Clifford Mcbride, padre di Roy, interpretato da Tommy Lee Jones.

ad-astra-Movie-HD-Poster-and-Stills-3

Gray utilizza alla perfezione fotografia e montaggio per raccontare questo viaggio nella mente umana, ma la sceneggiatura non è allo stesso livello, non tanto nei dialoghi o nel voice over, quanto nella struttura stessa del film, che si presenta come un film d’avventura ad episodi ma in realtà, di quello che succede dal punto di vista dell’azione filmica, sembra non interessarsi.

Ad Astra avrebbe tutte le carte in regola per essere un grande film, ma purtroppo non lo è. Troppo confuso, inconcludente e sfocato, non riesce mai realmente ad emozionare e nemmeno a farci pensare. È come se Gray stesso si fosse perso nella vastità melanconica dello spazio, uno spazio forse troppo infinito ed esteso per diventare luogo di riflessione per l’uomo. I personaggi di First Man, Interstellar e Gravity erano decisi nell’affrontare le difficoltà del cosmo, e lo vedevano perciò come terreno di scontro per emergere e ritrovare se stessi, ma la non personalità di Roy invece si perde e vaga senza meta in questo nulla infinito. Anche l’incontro col padre sarà quindi inconcludente e privo di pathos.

E alla fine Ad Astra diventa retorico ed estremamente semplice, diventando esempio perfetto di film totalmente mancato.

Federico Rigoldi