Avete presente quei film che raccontano così bene dei momenti della vostra vita che vi sembra che lo schermo sia in realtà uno specchio? Per me è stato così con A Rainy Day in New York, che ha letteralmente parlato alla mia anima.

arainypostL’ultima fatica di Woody Allen racconta di una coppia di studenti un po’ alla “gli opposti si attraggono”: il vintage Gatsby (Timothée Chalamet) che nel tempo libero gioca d’azzardo – per lui il denaro non ha valore, lo fa come atto di ribellione nei confronti dei genitori – e l’esuberante Ashleigh, aspirante giornalista. Quest’ultima deve – per il giornale del college – andare a New York per intervistare il suo regista preferito ed è così che i due ne approfittano per organizzare un weekend romantico nella città natia di Gatsby. Eppure, tutto sembra remare loro contro e i piani vengono stravolti da incontri e tipici equivoci alleniani.

New York, la pioggia e il tempo si intrecciano e danno una cadenza all’apparente leggerezza di questa commedia romantica. Nel momento in cui i due protagonisti vedono i loro programmi intralciati sono costretti a separarsi ed è così che vengono mostrati lati diversi di New York: la parte vecchia e sofisticata con Gatsby e quella più contemporanea e dinamica con Ashleigh. Il trait d’union è lo sguardo amorevole di Woody Allen sull’intera città, che fa da amica e confidente. Per il regista è “stupenda nei giorni grigi, nebbiosi e piovosi. Acquista una luce tenue e le strade diventano lucide e pulite”. E forse – anzi, nessun forse – tra un “MA SONO IO!” e l’altro mormorato in quasi ogni scena, ci ho anche rivisto un po’ la mia città, Milano, che ai miei occhi è bella sempre, anche quando piove. E Allen prende il cliché della pioggia come sinonimo di romanticismo (quante volte abbiamo visto due persone baciarsi sotto la pioggia fino a trovarlo nauseante e melenso?!) e lo ha fatto suo, restituendolo candidamente e facendo sì che fosse un elemento cruciale per il funzionamento della storia: la pioggia caratterizza i personaggi ed è l’interruttore che segna nuovi inizi, lavando via tutto ciò che non serve più. Così come il tempo scandisce in maniera martellante il film, la sorte dei personaggi – che di fronte all’inesorabile trascorrere di ore, minuti e secondi vedono i loro piani sgretolarsi – e le loro decisioni, che si arrendono ad esso nonostante i numerosi tentativi di manipolarlo e raggirarlo.

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A Rainy Day in New York strizza l’occhio alle opere precedenti del regista. Come in Wonder Wheel (2017) la fotografia (anche qui curata dal monumentale Vittorio Storaro) segna i cambiamenti d’umore dei personaggi. Infatti, le variazioni graduali di tonalità sono dettate da quest’ultimo: quelle calde sono legate a gioia e spensieratezza; mentre quelle fredde a sentimenti dolorosi e negativi. In generale, invece, dal momento della separazione le scene dei protagonisti hanno colori diversi che si plasmano al loro carattere: Ashley è dai colori più accesi e caldi per via della sua allegria e del suo essere appassionata, al contrario della personalità più cupa di Gatsby sottolineata dalle tinte bluastre. Non solo: a far da cornice a questo valzer di colori vi è la pioggia, che naturalmente varia nel corso della giornata: le nuvole si muovono e alcuni raggi di sole riescono ad imporsi mettendo in atto giochi di luce.

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Ed è proprio in Gatsby – che incarna l’archetipo alleniano mondano e incompreso – che riflettono The Purple Rose of Cairo (1985) e Midnight in Paris (2011); in cuor mio sono certa che se ne avesse avuto la possibilità avrebbe viaggiato indietro nel tempo e non avrebbe fatto più ritorno. C’è un senso di familiarità nella malinconia di epoche passate (il nome Gatsby già dice tutto), nella solitudine e nel senso di abbandono che si leggono nei suoi occhi tristi, gli stessi di Gil e Cecilia. E soffermandosi un momento sullo Chalamet-Factor: che enorme gioia vederlo in questo ruolo, che sembra cucitogli addosso insieme alla giacca di Ralph Lauren un po’ all’antica. Sembra proprio essersi materializzato da un altro mondo. Dopo Call Me by Your Name (2017) ho sempre avuto la sensazione che nel suo modo di recitare ci fosse un blocco, come se qualcosa lo frenasse. Finalmente ho rivisto quel Timothée che mi ha fatta innamorare della sua purezza nei confronti del Cinema, sciolto e libero. Ho rivisto quel talento incontaminato e sono grata a Woody Allen, che ha saputo coglierlo e mantenerlo in vita senza danneggiarlo. Ho anche rivisto un po’ Elio – forse il pianoforte è stato il colpo di grazia -, ma ho rivisto anche Elio e il signor Perlman in Gatsby e sua madre, nonostante si trattasse di rapporti completamente diversi fra loro. Inoltre, un momento specifico fra questi ultimi dà molto a cui pensare ed fra i più intensi del film.

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A controbilanciare c’è la fatina dei boschi Elle Fanning, che nel suo esser fanciullina riesce a trasmettere perfettamente l’innocente (fino ad un certo punto) ingenuità di Ashleigh. Una vera e propria ventata d’aria fresca con una spiccata vena comica. Incantevole. E a sorreggere i due diamanti della nuova generazione di attori vi sono i meritevoli Jude Law, Liev Schreiber, Selena Gomez, Diego Luna, Cherry Jones e Rebecca Hall.

Una sceneggiatura dal piglio ironico e pungente alla Whatever Works (2009), con alcuni riferimenti culturali fuori dalla mia portata (e di questo me ne dispiaccio), che funziona con un ritmo incalzante. Anzi, il primo trailer che uscì a maggio 2019 era totalmente fuorviante: mostrava troppe immagini del film dando l’idea che fosse confusionario e caotico quando in realtà è l’esatto opposto.

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La malinconia e la tristezza sono due dei sentimenti che prevalgono in A Rainy Day in New York, eppure si tratta di un’opera ottimista che coccola lo spettatore e fa sì che provi un sincero affetto nei confronti di questa esplosione di colori. “La città ha un piano tutto suo”, dice Gatsby, ma anche voi dal 28 novembre. Al cinema grazie a LuckyRed. (ma grazie di cuore).

Marika