In questo periodo bizzarro in cui – quasi – tutto si è arrestato, mente e cuore ci hanno riportato sempre , quel luogo da cui molti di noi non sono mai stati lontani per così tanto tempo. Il 15 giugno le sale italiane ci riaccoglieranno, non sappiamo se loro saranno pronte a farlo, né se noi lo saremo a tornare. Tuttavia, per quanto in questi mesi ci siamo sentiti incompleti e un po’ smarriti, il Cinema non ha mai smesso di darci la possibilità di sognare, di chiudere gli occhi e trasportarci col pensiero nel nostro posto del cuore. Così, seguendo le orme di alcune testate – fra cui il The Guardian e questo suo splendido pezzo pubblicato di recente – abbiamo chiesto a delle persone a noi care di raccontarci la loro prima volta al cinema o uno dei ricordi più belli legato alla sala. Abbiamo raggruppato i loro pensieri, e ringraziandoli dal profondo del nostro cuore, li condividiamo insieme ai nostri.

  FIABA

La mia prima volta al cinema l’ho vissuta – hitchcockianamente – due volte. La riconduco, cioè, a due momenti precisi, e molto distanti fra loro nel tempo. Il “battesimo”, o almeno è questo che mi dice la memoria, è avvenuto con Il re leone, nel 1994, in una piccola saletta di paese che oggi non c’è più. Riesco ancora ad avvertire la sensazione dell’immensità di quella finestra gigante di fronte a me, come un portale su un altro universo, che esisteva solo all’interno di un buio ugualmente immenso. La potenza di quella grandezza, dello schermo che ti avvolge, ti domina, ti estrania dalla realtà, cancella quella che ti attornia per restituirtene un’altra, potenzialmente inesauribile, credo sia in quel momento che mi colpì per la prima volta con tutto il suo fascino e il suo mistero. E poi penso a una seconda prima volta, quella con Bastardi senza gloria, nel 2009, a passione cinefila già inoltrata: la meraviglia di un regista come Quentin Tarantino, che mi aveva stravolto, sostenuto e accompagnato dagli 11 anni in poi, a 19 mi spalancò un’altra incredibile verità del cinema che allo stesso tempo era una prova definitiva, la risposta al mio bisogno di storie e immagini. Cinema d’amore, per amore del cinema; cinema allo stato puro, cinema che si dichiara indipendente dalla realtà ma sogna di cambiarla, più forte di qualunque altra arte. Fu come innamorarsi una seconda volta, e per sempre.


CHIARA

È impossibile ricordarsi di tutte le volte che ho trascorso una serata o un pomeriggio in una sala guardando un film appena uscito o per la seconda/terza visione di un film che non riuscivo a togliermi dalla testa, come mi è accaduto recentemente con Joker (2019).
Riesco però a ricordare la prima visione del secondo capitolo di Harry Potter nel cinema della mia città. Mi ricordo ancora il profumo che emanava quella sala o forse era di una persona seduta vicino a me.
Dopo il primo capitolo, aspettavo insieme alla mia famiglia l’uscita di Harry Potter e la Camera dei segreti e finalmente era arrivato quel giorno. Era il 2002 e, per me, che all’epoca avevo solo 7 anni, era un giorno felice pronta a vedere finalmente quel film tanto atteso. La curiosità di scoprire le sorti di quel maghetto era immensurabile e così, mano nella mano con mio papà ci recammo al cinema vicino casa, comprammo qualcosa da mangiare durante la proiezione e scegliemmo i posti migliori. Mi ricordo ancora che, terminata la visione, non vedevo l’ora dell’uscita del film in videocassetta (all’epoca era il regalo che più aspettavo) per poterlo rivedere altre mille volte e non stancarmi mai di ascoltare le battute dei personaggi di una delle mie saghe preferite.
Credo che a volte del guardare un film al cinema non rimanga solo la storia che racconta, ma anche il ricordo di averlo visto e condiviso con i tuoi amici e la tua famiglia. Il ricordo del profumo dei popcorn che rimane addosso ai vestiti o quello della sala. Il rumore dello spettatore che attende impaziente che il film cominci e la voglia di commentare alla fine di tutto.


 FRANCESCO

Potrei parlare di due “prime volte” al cinema. La vera prima volta risale a quando avevo 8 anni con la visione de Le Cronache di Narnia: Il Leone, La Strega, L’Armadio nell’ormai lontano 2005. Ricordo che le sensazioni che mi fece provare quel film furono stupende, venni letteralmente catapultato in un mondo che era perfetto, fantastico, d’avventura, ideale per la mia età, quasi come se fosse tutto ciò che stavo aspettando ed anche di più, una storia che mi aveva cullato, aveva fatto leva sulla mia ricerca di vivere qualcosa che fosse fuori dall’ordinario — fui così trasportato dall’intera storia che quasi non volevo più abbandonare la sala e volevo dimenticarmi dell’esterno, quasi come i fratelli Pevensie che dopo l’incoronazione avevano vissuto a Narnia lasciando il mondo fuori dall’armadio come un lontanissimo e sbiadito ricordo. Lasciata la sala dopo i titoli di coda, in totale accordo con mia sorella gemella, da quel giorno decidemmo di “giocare a Narnia” e di continuare a vivere in quel mondo ancora per un po’, così, per non lasciarlo andare tutto d’un botto. Essendo ancora un piccolo ed adorando il genere, negli anni successivi ho continuato a preferire la visione di storie che fossero solamente fantasy e che una ad una continuavano ad arricchire il mio bagaglio di esperienze cinematografiche e mi regalavano delle emozioni che solo al cinema riuscivo a trovare (diciamolo, Un ponte per Terabithia (2007) mi ha fatto piangere l’anima per la prima volta per un film…), perdendo tuttavia pezzi importanti per la via — non ho mai visto un film di Nolan al cinema (Inception (2010), Interstellar (2014), Dunkirk (2017)…), né un film di Fincher, né un film di Villeneuve (Prisoners (2013), Arrival (2016), Blade Runner 2049 (2017)…) e via dicendo (ovviamente li ho recuperati dopo!!!) — e appassionandomi più che altro a saghe fantasy/sci-fi e cinecomics. Ma qualche anno fa, tra un cinecomic ed un altro, c’è stata una nuova “prima volta”, che mi ha fatto cambiare anche il modo di percepire una trasposizione cinematografica approcciandomi con una visione più critica di ciò che mi viene posto davanti. Si è trattato di un’esperienza surreale e così coinvolgente e sconvolgente che ancora oggi mi perseguita: la visione di mother! (2017), di Darren Aronofsky. Non saprei nemmeno da dove cominciare e dove finire per descriverla, ma per la prima volta ho visto dal vivo gli effetti che un film di quel calibro e di quella intensità può avere sulle persone: molti spettatori hanno lasciato la sala durante alcune scene molto crude nel continuo climax senza fine che è il film stesso, alcuni sono rimasti fino al termine, ma tutti sono usciti da quell’esperienza senza fiato (e con mille pensieri in testa). È una nuova prima volta perché da lì ho realizzato che vivo il cinema per questo, per vivere avventure fantastiche senz’altro come avevo fatto fino a quel momento, ma anche per sentirmi scosso, cullato, capito, per sentirmi disturbato, turbato, per capire, per ascoltare e vedere le storie da un altro punto di vista, per sognare e infine, ma non per ultimo, per ampliare i miei orizzonti ed aprirmi a nuovi modi di vedere e percepire il mondo che ci circonda.


 GIORGIA

Andare al cinema per me è una vera e propria esperienza, una magia, un sogno. Raramente quando esco dalla sala sono la stessa persona di quando sono entrata e altrettanto raramente la lascio senza emozionarmi e versare qualche lacrima.
Uno dei ricordi più belli che ho è molto recente e coincide con la visione di Portrait de la jeune fille en feu (2019) diretto da Céline Sciamma. Era mattina e la sala di quel piccolo cinema di Milano era semivuota: io, la mia ragazza e un altro paio di persone.
Per due ore mi sono immersa in un dipinto, in una poesia, in una storia d’amore che mi ha portata lontano con la mente e con il corpo, che sembrava fluttuare.
Mi sono sentita investire da tutta la potenza del cinema – elemento che mi definisce per intero – come succede quando guardi un film e lo senti tuo. Mi sono innamorata e mi sono fatta spezzare il cuore dalla storia che vedevo su quello schermo, ho pianto e mi sono fatta consolare.
Perché l’esperienza cinematografica è un po’ così, è un dare e ricevere, un rapporto che si instaura tra noi e quelle immagini in movimento; difficilmente si riesce a spiegare a parole, si deve vivere.
Niente è paragonabile alle sensazioni provocate dallo stare in sala, alla trepidazione prima di entrarci e alla nostalgia di allontanarsene.
Davanti a quello schermo ci sentiamo piccoli, a volte intimoriti, ma allo stesso tempo grandi quando i suoni e l’atmosfera ci avvolgono completamente; capiamo di essere fortunati e siamo grati di poter assistere a una cosa talmente bella – che poi altro non è che uno spiraglio di magia in una realtà fin troppo concreta. 


 FRANCESCA

La mia prima volta in sala è fortemente legata al mio primo ricordo del cinema in generale.
Avevo 11 o 12 anni, ero nella casa di mia nonna in Sicilia, era agosto e c’era un caldo che si moriva. Patendolo un po’ troppo, la mia giornata in spiaggia iniziava verso le 18, quando il sole picchia di meno, quindi prima di andare passavo ore ed ore in casa senza sapere cosa fare.
Un giorno i miei erano usciti, in preda alla noia mi sono messa a guardare in giro, un po’ una caccia al tesoro senza un obiettivo particolare, e ho tirato fuori scatole e scatoloni e in una di queste, in mezzo alla polvere, ho trovato i dvd della filmografia di Bertolucci appartenenti a mio padre, grande appassionato di cinema.
Ne ho preso uno a caso, l’ho messo nel lettore e il film è partito, riprodotto sulla vecchia tv di mio padre degli anni 80, quindi la qualità delle immagini era quella che era.
Il film è iniziato, si trattava di Ultimo tango a Parigi (1972), e sono rimasta completamente sconvolta e affascinata. Non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo. Poi è successo. Qualcosa dentro di me ad un certo punto si è, come dire, “mosso”. Non era il primo film che vedevo, ma quel colosso del cinema, guardato attraverso i miei occhi da dodicenne, è stato un’esperienza che mi ha scosso emotivamente. Una volta finito ero ancora tanto scombussolata che ho provato un leggero senso di colpa, come se avessi fatto una cosa quasi proibita.
Col senno di poi, ripensando a quell’episodio mi sono proprio resa conto di essermi come “presa una cotta” per quel film, che mi ha resa più curiosa e mi ha portata a divorare pellicole in maniera quasi maniacale.
Ricordo anche molto bene che una sorta di innamoramento mi era venuto guardando la locandina di Al di là delle nuvole (1995) che avevo trovato arrotolata sempre in una di quelle famose scatole. Ho pregato i miei di portarcela a Torino dove viviamo perché l’idea di lasciarla lì a prendere altra polvere mi faceva proprio soffrire.
Il mio primo ricordo al cinema risale proprio all’inverno dopo quell’estate.
A Torino c’è un cinema molto bello, il cinema Massimo, una sorta di pietra miliare della città. Lì ci organizzano festival, conferenze, incontri vari e la cosa davvero speciale è che è quasi considerato come un museo ormai (è oltretutto accanto alla Mole dove c’è il Museo del cinema). Un’altra particolarità del Massimo è che divide sempre in tre le programmazioni, ci sono: le nuove uscite, le retrospettive dedicate a determinati generi e filoni, e poi in altre sale ancora alternano monografie dedicate a registi.
Nell’inverno in cui sono andata io c’erano in programmazione tutti i film di Fellini. Mio papà, che intanto aveva saputo della mia nascente passione del cinema, per il mio compleanno (20 Dicembre) mi portò al Massimo a vedere 8½ (1963). È nato subito un amore folle per quel film, così come per Mastroianni.
Ricordo quel compleanno come uno dei più magici in assoluto… il film, Torino sotto Natale, il cinema Massimo con la Mole di fianco e la sala con le poltroncine rosse. È stato stupendo.


BEATRICE M.

Misi piede in sala, le luci erano già soffuse nonostante fossi arrivata alquanto in anticipo, raggiunsi il mio posto e osservai che non c’era nessun altro a parte me. Passarono i minuti e la mia eccitazione aumentava perché si avvicinava il momento in cui sarebbe iniziato il film, ma soprattutto per il fatto che speravo non sarebbe arrivato nessun altro. Speravo vivamente di essere l’unica persona presente a godersi lo spettacolo. Mi prese una smania pazzesca che cresceva esponenzialmente con il passare inesorabile dei minuti, non riuscivo a staccare gli occhi dalla parete che nascondeva il corridoio d’ingresso della sala. Ebbene, in quei pochi attimi che ormai mi separavano dall’inizio dello spettacolo mi dissi che ormai era fatta, non poteva arrivare qualcuno proprio in quel momento e non doveva. Le luci si spensero del tutto, potevo respirare. Fu la prima volta in cui andai al cinema in solitaria ed anche la prima volta in cui fui l’unica spettatrice. Era come se la visione del film già di per sé un’esperienza interiormente intima per me, lo fosse diventata anche esteriormente. L’oggettiva realtà esterna rifletteva la soggettiva dimensione interna. Fu un fatto unico perché pur essendosi poi ripetuta quell’esperienza, quella fu la mia prima volta, e fu meravigliosamente indimenticabile.


 GIULIA

Considero la sala cinematografica come un luogo di ritrovo per vecchi amici che non si vedevano da tanto, ma che non hanno mai smesso di pensare gli uni agli altri. Guardo le poltrone di un cinema e penso a quanti piccoli gesti di intimità hanno visto, quante risate soffocate o pianti nascosti quelle quattro mura hanno conservato con delicatezza e riservatezza. Considero la sala cinematografica una piccola nicchia di mondo, un luogo di intimità e sicurezza. Quando a soli cinque anni sono entrata per la prima volta in una sala, però, la sensazione che mi ha pervaso non era quella di sicurezza e intimità, ma bensì di stupore, magnificenza e immensità. Non ero mai stata in un luogo così grande, circondata da così tante persone riunite tutte insieme. Per la prima volta nella mia vita assaporavo il vero concetto di condivisione. Ed è proprio quello della condivisione il ricordo che è più vivo nei miei occhi e nel mio cuore. Collego Spirit — Cavallo Selvaggio (2002) non solo alla mia prima esperienza di cinema, ma alla mia prima e ultima esperienza di felicità in quella che per me era prima la famiglia. Per la prima volta ero assieme a mio fratello, a mia mamma e a mio papà, ma non era come stare in casa: non eravamo circondati da un’alone di tensione, mamma e papà non si lanciavano sguardi taglienti, non c’erano colpi sferrati con mio fratello, non c’erano pianti né silenzi pieni di stanchezza e dolore. Il silenzio che ci abbracciava bensì era quello pieno di fremito e attesa che ti accompagna durante la visione di una pellicola, gli sguardi che ci scambiavamo non erano lame, erano messaggi di affetto e di felicità, i colpi che lanciavo non erano per attaccare, ma per afferrare il braccio di mio fratello in un momento di tensione, i pianti non erano di tristezza ma catartici per l’anima e accompagnati da sospiri di sollievo. Quelle due ore passate in sala sono uno dei ricordi più vivi nella mia mente perché rappresentano qualcosa che fra le mura di casa non c’è mai stato e mai ci sarà, ma qualcosa che fra le mura delle sale troverò sempre: condivisione, passione, affetto e famiglia.


 ILARIA

Caro Cinema, la prima volta che ci siamo incontrati era il 1995, andavo all’asilo ed eravamo andati in gita, per vedere Il Re Leone (1994). Come ogni bambino, come normalmente ci si aspetta, scalpitavo all’idea di andare fuori per fare qualcosa di interessante, ma ricordo che per te l’emozione era ancora più forte perché non sapevo cosa mi aspettasse. Ricordo di aver stretto forte la mano della mia amichetta e di essere entrata in questo luogo, ai miei occhi enorme, pervaso dal profumo avvolgente di popcorn e dal chiacchiericcio delle persone attorno a me. Ricordo la meraviglia e la paura, quel pugno allo stomaco che hai quando stai un po’ saltando in qualcosa che non sai ma che sai già ti renderà felice. Ricordo, stranamente, di come nonostante avessi paura del buio (e avrei dormito con la lucina accesa per molti anni a venire), in quel luogo non mi sia mai sentita spaventata, ma mi sia sempre lasciata avvolgere dalla penombra e mi sia sentita cullata, come solo le mani materne sanno fare. Se chiudo gli occhi posso percepire l’esatto momento in cui ho capito che lì, al buio, davanti a quello schermo enorme, tutto può succedere, quella Magia di cui parlava Fellini e che anni dopo, con una certa maturità in corpo, ho compreso.
E da lì, non mi hai mai lasciata. Ci ho messo anni ad amarti come ti amo ora, ti ho regalato, su quelle poltrone, lacrime, risate, commenti rabbiosi e commenti stupiti. Se ripenso ad ogni proiezione, sorrido. Le volte che furtivamente mi sono piegata per commentare con qualcuno, più piano che potevo, le volte che ho stretto mani per paura o per fare coraggio o per cercare coraggio. Le volte che ci siamo scossi a vicenda davanti a qualcosa di terribile o di straordinario. Amo sedermi al buio ad occhi chiusi, a volte, a sentire i commenti di tutti, di quella famiglia temporanea che si viene a creare tra una proiezione e l’altra. Sei magico davvero perché ci fai sentire una famiglia, che poi torna alla sua vita di sempre, con un pezzetto di vita in più.
E ogni volta che ci ripenso, mi brillano gli occhi. Lo dico sempre che il motivo per cui amo il cinema è Nuovo Cinema Paradiso (1988), perché ogni volta, ad ogni visione, mi sento come Salvatore, con gli occhi brillanti, davanti a uno spettacolo che non so se meritarmi per quanto è incredibile. E ogni volta, è come se fosse la prima volta. E ogni volta mi dai l’onore di assistere a una magia.
Il cinema è una seconda pelle ormai, è ossigeno, è sangue che pompa nel cuore, è qualcosa di cui non posso fare a meno, è una bolla in cui mi rifugio quando la vita non gira come dovrebbe, ma è stato anche un mondo in cui talvolta mi sono chiusa, sbarrando l’accesso agli altri. La sala cinematografica, dunque per me, è stata anche il luogo della rinascita. Se penso al film che segna questa rinascita, mi viene in mente The Shape of Water (2017) perché è la pellicola che mi ha riportata in famiglia, che mi ha fatta riassaporare gli odori, i colori, i rumori della Sala; che con quella fiaba malinconica e bizzarra mi ha fatto rifiorire il cuore, seminando di nuovo le radici di quella che oggi sono, quella che ama parlare di film allo sfinimento, con gli altri e non vede l’ora di sentire le loro opinioni.
La sala cinematografica è serenità, è quella sensazione che ti viene quando in inverno stai davanti al camino a vedere il fuoco che scoppietta e ti dà calore, o che ti viene quando stai in riva al mare, coi piedi nell’acqua, il vento tra i capelli, il sale sulle labbra e il rollio delle onde che ti coccola.
Grazie, perché mi fai sentire abbastanza, mi fai sentire che esisto e respiro, mi fai vedere il mondo con gli occhi degli altri e vivere vite e avventure che mai avrei potuto immaginare, mi fai sentire completa con me stessa e a mio agio in mezzo agli altri.


 GIO

Gennaio 2018. Sono andata a vedere Coco al cinema con mia madre e la mia sorellina, qualche giorno dopo essere tornata dall’Erasmus. Il mio morale era a terra, passavo le giornate cercando di non pensare a quella seconda casa di cui sentivo così tanto la mancanza, e ho pensato fosse una buona idea trascorrere qualche ora nel buio della sala, dove tutta la mia attenzione sarebbe stata rivolta allo schermo e i miei problemi sarebbero scomparsi di fronte a quelli del protagonista del film. A volte è a questo che serve il cinema: uscire per un po’ da se stessi, lasciare i propri problemi fuori dalla sala e immergersi in un universo che per qualche ora diventa anche tuo. 
Quello che non sapevo è che la storia di Coco ruota attorno a temi fin troppo vicini a quelli che stavo cercando di evitare: l’importanza del ricordo, la mancanza, la paura di dimenticare e soprattutto di essere dimenticati. Non sono qui per fare spoiler, ma se avete visto il film sicuramente capirete bene perché sono scoppiata a piangere durante la scena di Remember Me. I problemi rimasti fuori dalla sala erano riusciti a raggiungermi di nuovo, ma mentre guardavo il protagonista suonare la chitarra tra le lacrime, ho pensato che in fondo andasse bene così. A volte è a questo che serve il cinema: ritrovarsi in ciò che si sta guardando, ricordarsi che non si è soli, e per effetto catartico liberarsi, anche solo per qualche secondo, del peso che ci si porta dietro. 
Detesto piangere in sala, ma era inevitabile. Mi sono girata verso mia madre e mia sorella per chiedere un fazzoletto, e in quel momento, guardandoci, siamo scoppiate tutte a ridere: stavano piangendo anche loro (per inciso, la mia sorellina non piange mai guardando un film, quindi complimenti a Coco). Tre generazioni in lacrime davanti alla stessa scena. Forse piangevamo per motivi diversi, ma è proprio questa la grandezza del cinema: la sua universalità, la capacità di suscitare emozioni simili in persone diverse. In quel momento mi sono davvero resa conto di quanto il cinema unisca le persone.


 CLAUDIA

Tanti sono i film visti sul grande schermo e ancora più numerosi sono i ricordi che porto con me, l’emozione di vedere un grande classico come Ladri di Biciclette (1948) o una lettera d’amore al cinema come Once Upon a Time… in Hollywood (2020) il giorno del mio compleanno, ma un ricordo importante si può trovare anche in un film che non riesce a conquistarti completamente, come nel mio caso First Man (2018). Ricordo la fretta di quella giornata, la corsa verso il cinema, le emozioni contrastanti entrando in una sala da 500 posti e trovarla completamente vuota, l’enorme tristezza nel vedere tutte quelle poltrone chiuse. Ma la scena del lancio e la colonna sonora creata da Justin Hurwitz continuano ancora oggi a togliermi il fiato, ero incantata, incredula di star vivendo quel momento, fisicamente bloccata in una poltrona con il cuore a mille e le lacrime che non riuscivano a fermarsi, non esisteva più niente e in quel momento venivo staccata dalla realtà e trasportata altrove, mentre provavo così tante emozioni contemporaneamente da trovare difficile anche respirare. 
Innumerevoli sono le volte in cui entravo in un cinema per sentirmi meglio, per ritrovare il cuore un po’ più leggero e posso dire che non mi ha mai lasciato sola, non mi ha mai deluso.
Esiste davvero qualcosa di più potente?


 CHIARA Z.

Ricondurre la mente alla mia prima esperienza al cinema è stato particolare. Appena mi si è posta la questione non sapevo come richiamare quel ricordo, quanto indietro sarei riuscita a spingermi? Poi un’immagine mi è apparsa e ho capito che quella poteva non essere la mia prima volta al cinema, ma era sicuramente il primo ricordo che possedevo al riguardo. 
Il cinema in cui mi trovavo aveva due sale ed era l’unico nella città in cui sono cresciuta. Ancora oggi cerca di tirare avanti con poco e niente, ma ogni volta che ci passo davanti e ci entro ricordo tutte le volte che da piccola, oltrepassando quelle doppie porte in vetro, mi sembrava di entrare in un altro mondo. Sapevo che quel luogo mi avrebbe portato ovunque avessi scelto di andare per un paio d’ore. 
Quel giorno era un pomeriggio di festa, non ricordo quale, ma entrai in sala e mi sistemai in ultima fila. Ricordo l’aspettativa che provai quando le luci si spensero e poi lo schermo “gigante” si illuminò di fronte a me. Mi sembrava una magia. 
Il pianeta del tesoro (2002) mi portò a navigare nell’oceano con vascelli e pirati, mi fece scoprire nuovi modi di esplorare e immaginare una storia. Personaggi strambi che si riscoprivano forti, altri che crescevano e altri che scoprivano cosa importasse davvero. Tutto raccontato in un modo per me nuovo, come avrei mai potuto immaginare una storia così in mezzo alle stelle e non sull’oceano? Potevano davvero esistere tutte quelle cose l’ha fuori?
Come erano riusciti a creare tutte quelle cose nuove e mai viste? 
Questo mi affascinò e rimasi seduta sullo schienale della poltrona per riuscire a vedere oltre le teste degli adulti seduti davanti a me, completamente incantata da quel nuovo modo di raccontare.
Ricordo questo e ricordo che poi non mi stancai mai di entrare in una sala buia che anche se piena di persone mi faceva sentire unica, l’unica a cui stava parlando quella storia fatta di immagini, suoni e tanto altro. E piano piano iniziai a innamorarmi di chi creava tutto questo, della loro mente atipica e meravigliosa.


 DANIELA

I miei primi ricordi legati al cinema si riferiscono ad un piccolo cinema-teatro di provincia, nella bassa modenese, per qualche anno gestito da miei zii. Eravamo nella seconda metà degli anni 70 e la domenica mi fermavo al cinema con i miei genitori a trovare gli zii mentre lavoravano. 
Se in cartellone c’era un film adatto a una bambina mio zio ci accompagnava con la lucina a sederci a film iniziato… non era proprio un andare al cinema quanto un approfittare del cinema!
Di quel tempo ricordo qualche film con Bud Spencer che ho visto assieme al mio papà (io divertita e lui di più!).
In seguito, il primo film per il quale ho chiesto ai miei di accompagnarmi al cinema è stato probabilmente E.T. (le mie prime lacrime in sala…) ma ricordo meglio quando ho insistito per vedere Il tempo delle mele (1980).
Avevo 11 anni e per i miei è stato piuttosto imbarazzante, non si aspettavano amori tra giovanissimi con un linguaggio così esplicito. Ne ho un ricordo molto divertente e ovviamente l’ho rivisto diverse volte. 
Crescendo il “rito” dell’andare al cinema si è trasformato radicalmente. È diventato un modo di condividere tempo, interessi e idee con gli amici, discutendo, in qualche occasione anche animatamente, dei film appena visti.
Da semplice intrattenimento è diventato per me ricerca di emozioni, di storie, d’insegnamenti.
Il Cinema può aprire una finestra su mondi sconosciuti, stimola ad approfondire, ad aprirsi ad altre prospettive, invita a stupirsi e a non affrettarsi in giudizi troppo facili e definitivi.
A volte accade qualcosa di speciale, qualcosa che supera perfino eventuali aspettative: un vero e proprio incantesimo. Le immagini, le atmosfere, i personaggi ti entrano nel cuore e nella mente e non ti lasciano nemmeno una volta finita la proiezione e usciti dalla sala.
Continui a ripensare a quelle scene e a ricordare il misto di emozioni della prima volta in cui le hai viste. Hai ritrovato in quel film qualcosa che ti corrisponde nel profondo, un immaginario nel quale ti riconosci. Mi è accaduto (lo so, non sono per nulla originale) con Chiamami col tuo nome (2017), il mio ricordo di cinema più bello degli anni recenti.
Lo attendevo da tempo, da mesi si leggeva dei riconoscimenti che stava ottenendo in giro per il mondo e la mia curiosità era alle stelle.
Ero sola al cinema Astra di Modena, in compagnia di un pubblico prevalentemente adulto (se non anziano!). Ricordo ancora l’immergermi progressivo nell’atmosfera del film, l’attesa dello sviluppo e l’accelerazione dei battiti del mio cuore per lo scambio di battute tra Elio ed Oliver, nella scena della piazza del monumento alla prima guerra mondiale. La meraviglia alle immagini e scene successive, il finale che, anche se triste, mi ha lasciato una sorta di felicità per tutto quello a cui avevo assistito. Ricordo che uscendo dalla sala un tizio ha detto a voce abbastanza alta da essere sentito: “Era da un pezzo che non vedevo un film così brutto!”. Ero troppo felice per lasciarmi sfiorare da quell’affermazione sbruffona e assurda (del resto andando al cinema s’impara anche ad essere tolleranti verso i giudizi più disparati…).
Per me, al contrario di quel signore, sarebbe stato invece l’inizio di un’amore per quel film e per il Cinema stesso oltre ogni aspettativa, che mi avrebbe portato novità sorprendenti e amici folli e appassionati con i quali condividerle.


 GIUSEPPE

Ho sempre considerato come una grande fortuna quella di avere due genitori che amano il cinema. Non che siano necessariamente esperti, ma li ringrazierò sempre per avermi insegnato il piacere di guardare un film, non come un semplice passatempo ma come qualcosa in cui perdersi, qualcosa per cui valesse la pena emozionarsi, qualcosa di cui parlare e discutere insieme. Ancora oggi, i miei genitori sono le persone con cui vado più spesso al cinema, e proprio la recente chiusura delle sale mi ha fatto capire quanto affetto provi per quella semplice abitudine, per quel “Andiamo al cinema oggi?”, persino per le litigate su quale film andare a vedere.
Sono tanti i ricordi in sala che conservo, ma forse ce n’è uno particolarmente significativo. Quasi due anni fa, precisamente il 5 giugno 2018, sono andato al cinema con i miei genitori a vedere Tuo, Simon di Greg Berlanti, di fronte alla decisione unanime di guardare qualcosa che fosse carino ma non necessariamente troppo impegnativo. Ho trovato il film delizioso, e passai la maggior parte della visione in quella sensazione di commozione mista a piacere che si ha quando ci si può rispecchiare in una storia (sensazioni che molti, per loro fortuna, possono dare per scontata, altri meno). C’è un momento nel film di un’indicibile dolcezza, quello in cui la madre del protagonista gli offre il suo incondizionato supporto e la totale accettazione della sua sessualità: “Adesso puoi lasciarti andare, puoi essere te stesso più di quanto lo sia stato in tutto questo tempo”, quasi le stesse identiche parole che, quattro anni prima, mia madre, seduta lì di fianco a me, mi aveva detto in risposta al mio coming out. Mi voltai verso di lei e vidi che, come me, aveva il voto rigato di lacrime: non abbiamo detto niente, né in quel momento né dopo, ci siamo solo sorrisi e presi per mano. In quel momento, diedi uno sguardo rapido sul resto degli spettatori e vidi che in sala non c’era un singolo occhio asciutto: chi, come me e mia madre, piangeva perché la scena aveva richiamato alla mente un ricordo prezioso; e poi figli che piangevano con rammarico perché i loro genitori non erano stati così, o genitori che piangevano con rimpianto proprio perché non si erano comportati così e avrebbero dovuto agire diversamente; o ancora ragazzi che piangevano perché non aveva ancora fatto coming out e non osavano sperare che potesse andare così bene; o, semplicemente, persone che si emozionavano di fronte a una scena piena di compassione e delicatezza. Mai come in quel momento, in cui ogni reazione individuale confluiva in un sentimento di commozione, mi sono sentito parte di un gruppo, mi sono reso conto di quanto il cinema possa unire le persone. E mai come in quel momento, pensando a come quella scena possa dare il coraggio di fare coming out a qualcuno che non ce l’ha, mi sono resto conto di quanto il cinema possa davvero cambiare delle vite.


 ALESSIA

Dicembre del 2001: Harry Potter e la Pietra Filosofale viene distribuito nei cinema italiani. Io, una introversa bambina di sette anni, vado a vederlo insieme alla mia classe di scuola elementare. Allora non sapevo ancora che il cinema sarebbe diventata una tra le mie più grandi passioni. Ho dei ricordi sbiaditi di me su una di quelle poltrone che tanto amo, in mezzo a decine e decine di altri bambini, ma comunque sola e spaesata. Poi lo schermo si illumina, Hagrid trasporta Harry sulla sua moto ed io mi faccio trasportare nel suo mondo grazie alla potenza del cinema. Dopodiché tutto ciò che avevo intorno scompare, restiamo solo io e il film. Riesco a sentire in un modo così incredibilmente vivo la paura che provai durante lo scontro di Harry con Voldermort… era come se fossi lì accanto a lui. Fu il giorno in cui mi innamorai del cinema, ma non lo capì subito. Furono delle emozioni talmente forti per il mio cuore di bambina che per anni lasciai intimorita il cinema ai margini della mia vita. Oggi, invece, non potrei farne a meno. Al cinema sono casa, al cinema sono io e non ho paura di esserlo. Mai.


 JESSICA

Ogni volta che vado al cinema è sempre la prima volta. 
Ci ho pensato a lungo e la verità è che proprio non me la ricordo la mia prima volta al cinema. E allora ho pensato, qual è il ricordo più bello che ho se penso al cinema? Ma anche qui non c’è una vera risposta, perché sono veramente tanti i momenti belli che ricollego al cinema. 
Alcuni momenti sono belli perché legati ai ricordi di infanzia, di quando andavo al cinema con la famiglia o gli amici. Altri momenti invece sono belli perché ci sono stati film che mi hanno affascinata e mi hanno fatto emozionare a prescindere dal contesto, che io li abbia visti da sola o con amici o parenti. Ma ci sono davvero troppi momenti e troppi film che mi hanno fatto battere il cuore e decidere un ricordo solo legato al cinema mi sembra davvero ingiusto, come a fare un torto a tutti gli altri non scelti. Perché la verità è che ogni ricordo che ho legato al cinema è importante. 
E allora ho pensato al perché fosse così importante ogni ricordo, perché – lo dobbiamo ammettere – in realtà ci sono anche stati film che mi hanno delusa a proiezione finita. Però se ripenso anche ai ricordi legati ai film che non mi sono piaciuti in realtà sono anch’essi dei bei ricordi. Questo magari può sembrare strano, ma la verità è che per me è tutta una questione di sensazione. Perché la sensazione che ho ogni volta che entro al cinema e si spengono le luci è davvero qualcosa di magico. Avete presente quando Harry Potter entra per la prima volta nella Sala Grande di Hogwarts e rimane a bocca aperta, affascinato da tutto? Ecco, per me è esattamente così: ogni volta che entro al cinema sono come Harry che entra per la prima volta nella Sala Grande. Ogni volta che entro al cinema rimango stupita come se fosse la prima volta che ci entro, come se si annullassero le volte precedenti. E ogni volta è una magia. E sì, è strano pensare che questa magia sia merito delle poltroncine rosse, dello schermo gigante, delle luci che si spengono e del volume al massimo. 
Ma la magia del Cinema è proprio questa: riesce a farti immergere nel film – bello o brutto che sia – facendoti quasi dimenticare se vicino a te c’è seduto un amico o un estraneo, che in un certo senso a fine proiezione è come se fosse diventato anche un po’ amico tuo. A voi non è mai successo, a fine proiezione, di scambiare uno sguardo di intesa e complicità con la persona seduta al vostro fianco anche senza conoscerla? A me sì, perché in fondo il Cinema è anche questo, è condivisione. 
Il Cinema è qualcosa di magico perché più di ogni altro mezzo riesce a trasportarti dentro a storie e mondi che per un paio d’ore ti fanno dimenticare la tua vita e te ne fanno vivere un’altra. E allora non lo so quale sia stata davvero la mia prima volta al cinema perché ogni volta che ci vado e vedo un film per me è sempre una grande emozione come se fosse la prima volta. 
Ogni volta che vado al cinema è sempre la prima volta, e mi piace pensare che sia così un po’ per tutti.


 ELEONORA

La mia prima volta al cinema è stata nel 2002, in occasione dell’uscita di Harry Potter e la Camera dei Segreti al Cinema Sala Ratti di Legnano. Era una fredda domenica pomeriggio di dicembre e ricordo vivamente che, mentre percorrevo il piccolo vicolo acciottolato stretta nel mio cappottino blu, non stavo più nella pelle. Saltellavo da un piede all’altro senza sosta – con grande esasperazione di mio papà – un po’ per timore che arrivato il nostro turno non ci fossero più posti disponibili, ma soprattutto per l’eccitazione e l’impazienza di entrare finalmente in sala. Dal momento in cui si sono abbassate le luci fino al momento di uscire – a detta di mio padre – sembravo essere completamente in trance: a bocca aperta, col fiato sospeso e con gli occhi che brillavano di gioia perché, grazie allo schermo gigante, sembrava anche a me di essere a Hogwarts. A distanza di anni, frequentatrice più o meno assidua delle sale, sono ancora convinta che il sentirsi avvolgere dalle immagini, dalle voci e dalle storie che vengono raccontate sia la vera magia del cinema.


 LAURA

Non sono una di quelle persone fortunate cresciute con il cinema, quelle che fin da piccole venivano accompagnate in sala dai genitori; le prime volte ci andai con gli amici e lasciavo che i film li scegliessero loro, senza restare quasi mai colpita. La svolta arrivò quando, nel febbraio 2013, decisi di andare a vedere Les Misérables con un’amica, perché di lì a poco avremmo affrontato il romanzo di Hugo a scuola. Entrammo in sala senza sapere nulla e senza aver visto il trailer; ricordo che il mio primo pensiero fu: “Ma… cantano? E IN INGLESE!! Sarà tutto così??”. Nonostante questo primo momento di smarrimento, mi ritrovai subito immersa nella storia, preoccupata per il destino dei personaggi. Presto le lacrime cominciarono a scendere e non si fermarono più, i popcorn erano ormai abbandonati, le mani troppo occupate a coprire la bocca per nascondere i singhiozzi, quasi non vedevo più per colpa degli occhiali appannati. Quando infine le luci si accesero, mi preoccupai al pensiero di essere vista in quello stato, non più protetta dal buio della sala; però, non appena mi girai verso la mia amica, mi resi subito conto che anche lei aveva pianto e scoppiammo a ridere entrambe. Poi mi guardai intorno e mi accorsi che c’erano altre persone con i volti rigati e mi sentii improvvisamente parte di qualcosa. Rimasi così affascinata da quel film che ci costruii attorno la tesina delle superiori, e ancora oggi conservo il biglietto nel portafoglio, per averlo sempre con me. Sono passati sette anni e ormai non potrei più immaginare la mia vita senza il cinema, senza l’attesa in fila, senza le lacrime, le risate, i sussulti, condivisi con tutte le persone intorno, senza una sala buia in cui rifugiarmi, magari dopo una brutta giornata, per sentirmi subito a casa.


 ELEONORA P.

Uno dei miei ricordi più vividi e speciali della mia esperienza al cinema è sicuramente quello legato alla visione di La La Land (2016). Era il primo giorno in cui il film era nelle sale, la sera prima del mio compleanno. Sarà che attendevo quel film da così tanto e in un certo senso sentivo che sarebbe diventato uno dei miei film preferiti di sempre. E così è stato. Credo che più del film stesso, uno dei momenti più speciali dell’esperienza in sala sia quell’attimo fra lo spegnimento delle luci e l’inizio della pellicola, quando ti senti trepidante e curioso, non sai cosa aspettarti e non vedi l’ora di entrare in quel mondo che da lì a poco sarà la tua realtà per qualche ora. Sei davvero lì e tutto ciò che hai tanto sognato e aspettato sta per concretizzarsi. Tutte le emozioni che La La Land mi ha regalato credo possano riassumersi nella reazione che ho avuto quando la scena di apertura è balenata sullo schermo, la scritta “Presented in Cinemascope”, sulle note di Another Day of Sun, con quei colori e quei movimenti di macchina. Avevo le lacrime agli occhi davanti a immagini così vive, felici ed energiche. Può sembrare sciocco, ma quell’emozione che si prova davanti a un film, quando incredulo cerchi di capacitarti di come ciò che stai vedendo possa essere così visivamente ed esteticamente bello è per me realmente una delle sensazioni più importanti che si possano provare. Lasciando la sala, dopo lo straziante Epilogue, fra un singhiozzo e l’altro e con gli occhi umidi cercavo di trovare le parole per descrivere ciò che avevo appena vissuto, ma qualsiasi cosa sembrava banale e riduttiva ed effettivamente nulla potrà mai fare giustizia al modo in cui questo film mi ha cambiata e continua a farlo.


 ALESSANDRO

Ricordo perfettamente quella che – per me – è stata la prima volta che sono andato al cinema, ma l’altro giorno ripensandoci ho avuto dei dubbi. Il mio primo ricordo è Toy Story con mia madre, ma è probabile che il primo film che sono andato a vedere sia stato Mortal Kombat. Del primo ho un ricordo molto nitido. Parliamo ovviamente di tanti anni fa, credo fosse il ‘95. Mia madre mi portò al cinema, ed era abbastanza insolito, perché tutte queste cose nella maggior parte dei casi le facevo con mio padre. Quella volta, però, mia madre mi disse di andare al cinema insieme. E la ricordo come una cosa molto bella: anche se ero piccolo vedevo che lo stava facendo proprio perché voleva farmi felice. A lei non andava assolutamente. Mi portò a vedere Toy Story. La sala era talmente piena che non c’erano più posti a sedere. E a quei tempi si vendevano ancora i biglietti in overbooking, quindi io avevo la mia poltrona e mia mamma per un po’ si è seduta sul bracciolo, poi sugli scalini vicino a me. E ancora adesso, quando vedo Toy Story, ho questo ricordo abbastanza indelebile di mia madre su quel bracciolo che, in realtà, avrebbe voluto mandare ‘affanculo tutti e invece mi guardava, ed era molto felice che io fossi felice. Quindi questo Toy Story è ‘na roba che mi è rimasta molto nella testa, così come la faccia di mia mamma. Quanto è bello il Cinema.


 SIMONE

Io amo il cinema. Ogni volta che ci vado è un pellegrinaggio, un rituale. Spesso vado da solo: compro il biglietto online perché sono ansioso e ho paura di non trovarlo, perché odio le file. Arrivo e prendo sempre qualcosa da mangiare o perlomeno da bere (vivo a dieta). Poi entro, mi accoccolo nella poltrona, spio la gente e ascolto i loro dialoghi. Guardo rapito la orrende pubblicità rimaste agli anni 80. Poi si spegne la luce e sale l’attesa. Ma ci sono ancora pubblicità. Te lo fanno penare l’inizio del film. Capisco subito se un film mi piacerà o meno: è impressionante, non sbaglio mai.
Ma qui devo scrivere del primo ricordo del cinema. Forse il primo ricordo è di me che piangevo disperato guardando E.T. (1982): mi ci porto mio padre, figura complessa. Ma non è la storia che voglio raccontare. La storia da raccontare è quella infinita (1984), come infinito è il mio amore per il cinema. Ci andai con mia madre e mio padre: coppia complessa.
Lo ho ancora presente il momento in cui il film finì.
Mi è capitato nella vita di rendermi conto perché certe espressioni popolari siano tali: recentemente ho capito cosa significa avere il cuore in pezzi, ma anche cosa vuol dire piangere di gioia. Quasi 40 anni fa capii cosa vuol dire rimanere a bocca aperta. Perché fisicamente rimasi a bocca aperta: io ero Bastian, lo sfigatello, il sogna avventure pauroso, ma che poi affronta la vita con coraggio. Ed Atreiu uno dei miei primi amori gay e anche una delle mie prime attrazioni erotiche. E poi in quel film c’è l’eroe, l’eroe che sembra fallire. E ci sono le macerie, tra le quali spesso ci ritroviamo. Ma questi sono pensieri da adulto. Niente mi ha più fatto rimanere così a bocca aperta. Anche se so che ogni volta che si spegne la luce, quella potrebbe essere la volta buona.


 VERONICA

Se devo essere sincera non ricordo con chiarezza la mia prima volta al cinema ─ chissà qual è stato il mio primo film, chissà quanti anni avessi, chissà quali sono stati i miei pensieri nel vedere qualcosa su uno schermo così grande, probabilmente sentendomi ancora più piccola di quanto fossi ai tempi. Un po’ come quando, durante l’Epifania, andai a vedere Il Gigante di Ferro (1999) e a causa dell’elevato numero di spettatori mi ritrovai in primissima fila.
Ricordo, però, con tantissimo affetto la volta in cui andai al cinema a vedere Harry Potter e La Pietra Filosofale (2001). L’impazienza di raggiungere il cinema, il profumo di pop corn appena fatti che riempiva quasi tutta la struttura e la fila che allora sembrava eterna, quasi interminabile. Non dimenticherò mai il momento in cui, presa forse dall’emozione e dal nervosismo, strappai per errore una banconota da 20mila lire che i miei genitori mi avevano dato per vedere il film e comprare qualcosa da stuzzicare. La mia prima volta al cinema senza i miei genitori e con un’amica (e il padre, non eravamo ancora abbastanza grandi per andare completamente da sole). Sono passati anni da questo episodio, eppure nonostante tutto ricordo con chiarezza il batticuore nell’entrare in sala, una sensazione che, se devo essere sincera, mi accompagna anche oggi (e che spero di provare nuovamente al più presto).


 ANTONELLA

Le prime volte sono importanti nella vita di tutti noi. E ognuno di noi ha qualcosa che ci fa andare oltre ciò che siamo in grado di vedere… in questo caso: il cinema. La prima volta al cinema è sempre in esperienza indimenticabile, un insieme di sensazioni nuove, elettrizzanti che, però, in fondo, ci portiamo dentro ancora oggi quando varchiamo l’ingresso della nostra sala preferita. Il mio primo ricordo al cinema appartiene ad un’esperienza scolastica, in occasione dell’uscita del film La musica del cuore (2007). Ad oggi non è uno dei miei film preferiti, non ricordo nemmeno la trama a grandi linee… ma ricordo benissimo la sensazione di rapimento che ho provato in quella situazione, come se fossi finalmente nel posto giusto. L’ansia di un’esperienza nuova, la gioia di condividerla con i propri amici, l’attesa che ti accompagna quando cerchi il tuo posto e tieni ben stretto quel biglietto in mano, fino alla magia delle luci che si spengono e così vieni catapultato in un altro mondo. E pensavo “Sarà ancora più bello quando sarò io a scegliere un film che mi piace?”. E così è stato. Ad oggi, provo ancora le stesse sensazioni entrando in quella sala. Il mondo del cinema è grande, davvero grande, ma la cosa più bella è che ha un posto per ognuno di noi.


 NICK

Una delle esperienze più significanti che ho avuto al cinema è stata sicuramente la visione di Parasite (2019) sul grande schermo. La condivisione di un film così forte con degli sconosciuti in una stanza al buio ha reso la visione ancora più potente. Il cinema, o, per essere precisi, la visione di esso, ha un impatto più immediato nel momento in cui ci si isola dal momento e ci si dedica solo a quella. Che siano essi 90, 110, o addirittura 160 min, se un film colpisce, il tempo scorre. Parasite è uno di quei film. L’ansia, lo stupore, l’incertezza sono solo alcuni degli stati d’animo che un film del genere, o meglio, di tanti generi, ti provoca. Avendolo visto sia al computer che sul grande schermo, posso affermare che la differenza c’è. Ci sono determinate scene che hanno bisogno di un’attenzione diversa, di un’atmosfera particolare che ti faccia entrare nella storia e rapiti per quelle due ore e passa. La cosa più bella è sicuramente guardarsi intorno alla fine della proiezione e accorgersi, dalle espressioni facciali delle persone intorno a te, che molto probabilmente non ero l’unico ad aver vissuto quell’esperienza così intensamente, di essere stato all’interno del film con tanti sconosciuti che hanno provato le mie stesse emozioni.


 ARIANNA

Il cinema è quel luogo fisico dove – pellicola permettendo – si entra nella dimensione del sogno. Non accade ogni volta, è vero. Bisogna che vi sia una certa alchimia di fattori: l’umore, il tempo fuori, l’orario, il film scelto, la compagnia. A volte basta anche la compagnia di se stessi, o degli sconosciuti accanto a te. A volte, non importa quale siano l’umore o il tempo o l’orario: basta che il film sia quello giusto, per dimenticare tutto. Per vivere nel sogno quei novanta e più minuti. Mi accadde al cinema Anteo di Milano, dove andai una mattina per vedere Portrait de la jeune fille en feu (2019), di Céline Sciamma, con una sessione di domande alla regista a seguito del film. Avevo aspettato tanto quel momento; fui felice di vedere la sala piena di persone, con le quali percepivo una comunione quasi parrocchiale. Sullo schermo, un film che mi prese per mano e mi portò nel suo mondo, trasportata dalle immagini e dalle emozioni. Nell’applauso in piedi alla regista cercai di comunicare quello che provo a dire qui: grazie per avermi fatto scoprire cose che erano già dentro di me, nascoste, ad aspettare che la giusta opera d’arte le facesse uscire. Ed è, secondo me, la cosa più bella che il cinema possa fare.


 AGNESE

Tendiamo ad avere spesso una versione distorta dei momenti da noi vissuti. Ricordi che si mescolano tra fantasia e realtà e di cui non saremo mai certi.
Eppure, a volte, qualcuno di questi squarci del passato rimane vivido nella memoria, come se fosse appena accaduto.
Il primo film visto al cinema, per esempio, ha ancora una gran potenza se parliamo di me, quasi come se lo stessi vivendo adesso.
Scuola materna, io completamente terrorizzata da questo grande luogo con tende pesanti e colori scuri. “Ma no tranquilla, appena si spegneranno le luci ti divertirai col film!”. Le luci??? Pensavo la maestra fosse matta.
Poi, succede tutto in meno di pochi secondi.
Tutto buio, solo tanti bambini che bisbigliano tra loro, ed io che mi aggrappo forte alla poltrona per paura di sparire.
Parte subito, con un boato fortissimo, La Gabbianella e Il Gatto (1998).
Qualcosa dentro di me cambia: smetto di far caso al solito bambino che si lamenta nelle mie vicinanze, non sento e vedo altro… a parte quella incredibile storia che ancora oggi mi fa vibrare dentro. Ed è strano pensare che questo genere di amore duri da così tanto, soprattutto perché nel corso degli anni avrò cambiato generi e registi preferiti un miliardo di volte.
Che dire se non che il vero amore sono quella sala e quella poltrona scomoda, che fanno vibrare il mio cuore ogni volta che le luci si spengono.


 ANNA

Stop. Fermo immagine. Riavvolgiamo il nastro. Chiudiamo gli occhi.
Della mia prima volta in sala ricordo il fascino catartico della partecipazione, quando per la prima volta ti ritrovavi a condividere momenti con degli estranei che nel buio della proiezione si lasciano, come te, permeare dalle immagini che scorrono inafferrabili sullo schermo.
Quando le luci in sala si spengono, surrealmente si aprono occhi su diversi mondi. Quale sarà la mia nuova destinazione? Sarà un’esplorazione oltre i confini, una nascita di nuove idee, passioni, desideri, scoperte in un viaggio attraverso il quale cambierà più il mio punto di vista o il mondo circostante?
Torneremo presto a farci raccontare tante nuove storie, ne sono certa.


 CHANTAL

Non ricordo esattamente qual è stato il primo film che ho visto al cinema, i miei genitori non me l’hanno mai saputo dire con esattezza, né sono riusciti a scovare quest’informazione nelle polverose agende in cui annotavano ogni attività che facevo da bambina. Probabilmente, come la maggior parte dei bambini, avrò visto un film d’animazione. Ho un breve ricordo della prima volta in cui vidi L’Era Glaciale (2002) minimo un anno dopo l’uscita nelle sale su uno schermo all’aperto, montato in un parco, durante una festa del mio quartiere a Roma. Oltre il caldo afoso dell’estate, le zanzare che non mi davano pace e l’odore di citronella ho memoria del momento in cui lo scoiattolino Scrat prova a seppellire la sua ghianda, probabilmente l’unica cosa che aveva trovato da mangiare in mezzo al ghiaccio, ma causa un’enorme crepa facendo sbriciolare tutto. Avevo circa quattro anni e risi talmente tanto durante quella scena che è una delle poche cose che ricordo di quella sera. Nel mio quartiere c’è un solo cinema, quello che ho frequentato prevalentemente durante l’infanzia e l’adolescenza, con i miei genitori, con i miei compagni di classe durante le proiezioni organizzate per le scuole, poi con i miei amici. Questo cinema piccolino che non ha neanche l’uscita e l’entrata separate, perciò spesso si diventa vittima di spoiler da parte del pubblico dello spettacolo precedente che non vede l’ora di commentare ciò che ha appena visto, ha rappresentato e rappresenta un punto di riferimento per me e per il quartiere. Purtroppo negli ultimi anni proietta principalmente blockbuster e cinepanettoni e quindi è difficile che riesca a trovare tutti i film che mi interessano nelle sue tre sale. Infatti negli ultimi anni ho dovuto raggiungere i multisala del centro città e ciò significa attese talvolta lunghe per prendere l’autobus o il tram che mi porterà in un’oretta a destinazione. Una destinazione meravigliosa, però, perché non appena ci si avvicina al botteghino si inizia già a sentire l’odore di quei popcorn salatissimi in tutti i sensi (infatti quando ero bambina mamma portava con sé sempre una bustina con i popcorn fatti da lei) e ci si sente in un’altra dimensione, popolata da una comunità eterogenea che però condivide la stessa passione per la settima arte. Ecco controllo il numero della sala, mi strappano il biglietto, mi avvio verso la porta d’entrata e attraverso quel tendone rosso che mi ha sempre messo un po’ di paura a causa del buio della sala, ma anche eccitazione perché non vedo l’ora di scoprire quali emozioni mi riserverà questo film, quanto tempo ci metterà papà ad addormentarsi di fianco a me, con quanti minuti di ritardo arriverà la vecchina che farà alzare tutta la fila e mi farà perdere la scena iniziale, se riuscirò a leggere sui volti illuminati dalla luce dello schermo le sensazioni provate dai miei vicini di posto. Si stanno spegnendo del tutto le luci e sono pronta a questo nuovo viaggio, tenendo in mano il mio biglietto che poi conserverò con cura in una scatola di cartone insieme a tutti gli altri.


 MARGHERITA

Per me andare al cinema da piccola era un’avventura indescrivibile (non che ora sia cambiato molto, in realtà), l’occasione più bella per passare il tempo con la mia famiglia, sapere che avevamo quelle 4 ore la domenica tutte per noi che poi magari durante la settimana non avremmo avuto. Non mi ricordo esattamente quale sia il primissimo film visto al cinema, probabilmente sarà stato un cartone, ma ho questo ricordo molto vivido di quando ho visto Harry Potter e la Camera dei Segreti (2002). Avrò avuto 4 anni e non avevo visto il primo film quindi alcune cose non le capivo, però mi ricordo che mi spaventai tantissimo per alcune scene però ero allo stesso tempo incantata ogni volta che i protagonisti pronunciavano quegli incantesimi strani e facevano magie con la bacchetta. Una volta finito il film tornai a casa convintissima di poter fare le cose che facevano i personaggi nel film, mi bastava agitare una matita e avrei trasformato un bicchiere in un gatto oppure potevo nascondermi sotto le coperte e sarei diventata invisibile anche io. Col passare del tempo mi sono resa conto che non tutto quello che vedi al cinema è reale, ma la capacità che ha il cinema di trasportarti in luoghi e scenari diversi, di farti sentire mille emozioni nello stesso momento, la bellezza di un film che rimane con te anche quando torni a casa… quello è molto reale ed è il motivo per cui amo il cinema.


 INDIA

Odore di pop corn. La fila che avanza e il rumore dei biglietti che vengono strappati. Le luci si spengono e la magia si fa spazio in quelle quattro mura.
Il mio primo ricordo in sala è Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza (1977).
Era estate, avevano rimesso la trilogia in programmazione, e mio padre (grande fan di quella saga e autore del mio amore verso essa) aveva deciso di portarmi con se per farmelo vedere.
Se mi concentro riesco ancora a sentire le risate e gli applausi che la gente emetteva durante determinate scene. Tante persone che, catturate da uno schermo, provavano le stesse emozioni.
I miei occhi da bambina erano ipnotizzati da esso, da quella storia, dalla curiosità che provai in quei brevi istanti in cui la tagline (“Tanto tempo fa in una galassia lontana, lontana…”) sfumava via ed io non sapevo letteralmente cosa aspettarmi.
E poi, da i brividi che avevo sulla mia pelle quando, come per magia, era apparsa la famosa sequenza di apertura di Guerre Stellari. Il tutto accompagnato dalla potente colonna sonora di John Williams.
È incredibile se penso che il primo film che mi ricordo di aver visto al cinema, e quindi quello che mi ha presentato a questo mondo è proprio quella storia che ha introdotto ad esso un mondo nuovo, inesplorato, insolito, ma spettacolare e sul quale sperare.
Non ho dei ricordi vividi dell’intera esperienza poiché ero solo una bambina, ma un momento che non dimenticherò mai e che mi piace dire che è stato proprio quello a farmi amare il cinema in modo ineguagliabile è stata la scena che a mio parere spicca di più tra tutte, Binary Sunset.
L’emozione che provai in quel momento è tuttora indescrivibile.
Di sostanza la scena è abbastanza breve, non ha dialogo e come sempre è accompagnata dalle brillanti note di Mr. Williams, ma è così intensa da trasportarti via.
Tutti in quel momento abbiamo compreso le sensazioni che stava provando il giovane Skywalker, perché tutti prima o poi abbiamo provato sulla nostra pelle cosa vuol dire avere degli ostacoli (un esempio lampante è il periodo in cui stiamo vivendo adesso: pieno di impedimenti).
Ma poi sullo schermo passa in primo piano il maestoso Binary Sunset (allo stesso tempo la musica di fondo cresce) e tu capisci che essi non sono altro che una metafora, un passaggio che ci porta dall’Atto Primo all’Atto Secondo del film.
Ecco, a me bastò guardare quella scena una sola volta per capire che non sarei mai più voluta andar via di lì.
E adesso mi logora profondamente che un posto che a me ha sempre trasmesso sicurezza sia uno dei luoghi dove al momento non si ci può recare perché non ci protegge.


 ALESSIA G.

Il mio primo ricordo legato al cinema risale a quando avevo circa quattro anni e mio padre mi portò a vedere La Gabbianella e Il Gatto (1998). Ovviamente non ricordo molto né del cinema in questione, né della proiezione sé, ma nonostante la giovane età, mi lasciò qualcosa che ad oggi mi porto dentro: la gioia di aver passato un pomeriggio con mio padre (ahimé non era una cosa che accadeva così spesso) e il bel messaggio che mi trasmise quel piccolo capolavoro cinematografico.


 ALESSANDRA

I più bei ricordi che ho sono legati a quando mia madre mi portava in estate al cinema all’aperto nei giardini pubblici. Non so spiegare perché percepivo quello schermo più intensamente degli altri, al chiuso, ma c’erano una serie di fattori che me lo facevano vivere quasi come fosse un’avventura e per me determinate dinamiche in quel luogo erano diventate quasi ritualistiche. Ricordo che a pochi minuti dell’inizio del film mi voltavo per osservare gli spettatori dietro di me e puntualmente dai cespugli in alto, spuntavano silenziosi e agili i ragazzi che volevano godersi il film senza pagare il biglietto. Sembravano quasi spiritelli spuntati dal bosco. La cosa interessante era che non davano alcun fastidio, volevano genuinamente godersi la visione e questo inconsciamente mi fece amare il cinema ancora di più, come se il loro entusiasmo diventasse anche il mio. I sedili posti sui gradini di pietra non erano nemmeno comodi, eppure non sono mai stata scomoda, ero troppo contenta di trovarmi lì per farci caso. Ricordo quanto era strano tornare poi a casa, perché era come se all’aperto avessi vissuto davvero il film, come se si fosse svolto in quei giardini e io vi ero immersa, tornare dentro le mura domestiche spezzava l’incantesimo ma portavo in casa qualcosa in più.


 BEATRICE

Non ricordo quando è stata la prima volta in cui sono entrata in un cinema (sicuramente ero molto piccola, difficile poter dire quale sia stato il mio primo film in sala senza l’aiuto dei miei genitori), ma ricordo bene il giorno in cui il cinema è entrato a tutti gli effetti nella mia vita. Devo ammettere che è un mondo a cui mi sono avvicinata molto tardi, poco più di tre anni fa. Un mio grande amico, appassionato cinefilo, era da Venezia73 che mi suggeriva con non poca insistenza di andare a vedere La La Land (2016) poiché ne era rimasto estasiato. Quando uscì qui in Italia lo andai a vedere, incuriosita, alla Cineteca di Bologna (posto che prima di allora avevo frequentato una volta sola). Non so dirvi se è stato merito della atmosfera che solo il Lumière di Via Azzo Gardino riesce a creare o se di Mia e Sebastian – molto probabilmente la scintilla è scattata grazie ad entrambi, ma da quel giorno la Cineteca è diventato il mio posto del cuore, quasi la mia seconda casa, e il cinema ha assunto per me nuove, emozionanti, coloratissime sfumature.


 MARTA

Ammetto di rientrare nel cliché di chi piange per un nonnulla quando si trova seduto sulle poltroncine di una sala cinematografica, ma raramente ricordo di essermi sentita talmente travolta dalle emozioni come mi è successo durante l’epilogo e i titoli di coda di La mia vita con John F. Donovan (2018). 
E qui subentrano diversi fattori: la lunga attesa, quasi snervante, per poter finalmente vedere quel film al cinema, le aspettative di fronte al lavoro di uno dei tuoi registi preferiti, il timore che alcune recensioni massacranti possano rivelarsi veritiere. Si entra in sala con un certo formicolio nello stomaco a quel punto, impazienti che le luci si spengano ed inizi il viaggio. Ma voglio ricordare la fine, di questo viaggio. Non le emozioni che ho provato nel mentre, non ciò che mi ha rapito e ciò che mi ha convinto di meno (anche questo è da mettere in conto, anche questo fa parte del “percorso”) ma l’emozione che mi ha attraversato, mi ha pugnalato, mi ha rigenerato, negli ultimi attimi. 
Parte Bitter Sweet Symphony dei The Verve e già qui fatico a trattenere le lacrime. Poi accade una cosa magica, inaspettata, proprio quella che smuove le corde del mio cuore, ovvero un rimando alla scena di un altro film che amo, un omaggio ad un attore che se n’è ormai andato da tempo ma la cui memoria vive ancora in molti, tra cui me. River Phoenix. E allora questa combinazione di elementi si rivela essere particolarmente toccante per la mia persona, tanto da scatenare un pianto senza che io potessi controllarlo. Mia mamma è al mio fianco e si gira per chiedermi cosa mi avesse commosso a tal punto, incontrando un accenno di risposta tra i singhiozzi. Ancora oggi non saprei mettere giù a parole come mi son sentita in quel momento: piena e svuotata allo stesso tempo. Felice ma con un prepotente tocco di malinconia. Il film l’ho poi rivisto con i miei amici, qualche settimana più tardi. L’ultima scena ha continuato ad avere un certo impatto alla sua seconda visione ma non ho più avuto la stessa reazione ben visibile. Quella reazione, credo, appartiene ad un luogo e ad un tempo che ormai se ne è andato, che si è esaurito in quell’istante; viene smossa da qualcosa di apparentemente astratto ma che ci tocca nel profondo, e fa parte della miriade di riflessi che viviamo sulla nostra pelle nel buio della sala.
Voglio tornare, tornare a condividere le stesse emozioni di estranei dei quali non vedo nemmeno il volto, ma anche ad essere la sola che si commuove, per ragioni personali, magari assurde, ad una certa scena. Uscire dalla sala, guardarmi intorno e pensare “Quello che ho provato io, in un certo senso, lo sai soltanto tu. Perché eri qui con me.” E il più delle volte non è nemmeno vero. Questo lo so bene, e vorrei saperlo ancora, ed ancora.


 CARLOTTA

Il mio primo incontro con il cinema fu traumatico, lo ammetto. 
Avevo quattro anni, andai a questo “cimena” (non riuscivo a pronunciarlo giusto!) perché mi avevano detto che lì c’erano i cartoni animati che mi piacevano tanto (ho un’infanzia da “Anna dai tetti verdi” a livelli di salute fisica, ma non divaghiamo), infatti mio padre portò me e mia cugina, che di anni ne aveva sei, a vedere Il Gobbo di Notre Dame (1996) di Walt Disney. Ricordo questo cinema dalle scale ripidissime, la cosiddetta galleria, l’odore di polvere delle poltrone, situato in un piccolo paese dell’Appennino Tosco-Emiliano (resiste e lotta con noi ancora tutt’oggi). 
Sul proseguo, so solo che non sono sicura di essere giunta ai titoli di testa. Immagini enormi, musiche altissime, la storia non proprio delle più rassicuranti: scoppiai a piangere terrorizzata e dovemmo fare dietrofront con nonna che ci chiese perplessa: “Ma come? Già finito il film?”. 
Ci riprovai a sei anni compiuti, l’occasione fu Mulan (1998), sempre di Walt Disney. 
Il cinema era un altro, ma sempre su quello stile, mi accompagnò mamma.
Andò così bene che mi ci riportò, su mia richiesta, altre due volte. Ero ipnotizzata.
Certo, saltavo sulla poltrona a ogni “jump scare” (mi capita ancora adesso), ma mi immedesimavo in Mulan così tanto e amavo le canzoni (possiedo la colonna sonora su cd) e già allora non volevo pop corn e altre sciocchezze, io volevo vedere il film. E basta.
Per anni, ricordo che ero troppo timida per parlare con una maschera, anche solo al telefono, allora aspettavo che a quel numero fisso partisse la segreteria telefonica del “Cinema Ariston” per sapere i titoli dei film in programma. Mi regalavano videocassette a pioggia, a otto anni mi innamorai di Tim Burton e rimanevo incantata davanti a La leggenda del pianista sull’oceano (1998) di Giuseppe Tornatore, con somma perplessità dei miei.
Da lì tantissime tappe, ma il luogo principe è sempre stato quello: il cinema.
Cinema, ancora oggi, indipendenti, mai catene. Più sono vecchi e impolverati più li amo.
Ho imparato nel tempo che il Cinema è una cosa seria, potente, meravigliosa, un’Arte, ma anche intrattenimento, fonte di emozioni di ogni tipo, perché su quelle poltrone ho riso fino alle lacrime, ho condiviso momenti di amicizia, o sono andata sola, perché avevo bisogno di singhiozzare senza vergogna, ho fatto km e preso treni, per il cinema, l’ho persino studiato, per un po’, non a caso, la mia tesina di maturità parlava di cinema (sempre lui: Tim Burton) e che dire dei cinema all’aperto? Poesia. È un luogo che amo e che amerò sempre, nonostante l’inizio così traumatico tra noi.
Mi manca tantissimo, attendo il 15 giugno come un bambino attende Natale, ricordo perfettamente l’ultimo film che ho potuto vedere in sala prima del lockdown: La Dea Fortuna (2019) di Ferzan Ozpetek. La stessa che auguro, di tutto cuore, al cinema e a chi ne fa parte. Per la miglior ripartenza possibile.


MARIKA

La maggior parte dei momenti più belli della mia vita sono fortemente intrecciati alla sala e per un attimo ho pensato di raccontare la prima visione di Mad Max: Fury Road (2015), di come ogni scena fosse un’iniezione di adrenalina, così potente che non riuscivo a stare un attimo ferma sulla poltrona… sembrava quasi che stessi per spiccare il volo. Eppure, fra i tanti ricordi, ho deciso di condividere il primo che ho. Non la mia prima volta al cinema, quella non la ricordo, ma la prima volta in cui ero pienamente consapevole di essere in un Cinema.
Era settembre 2006, come tanti giovani della mia età trascorrevo parecchio tempo su Disney Channel (R.I.P.) e una sera mi sono ritrovata casualmente a vedere in tv le immagini della premiere de Pirati dei Caraibi – La maledizione del forziere fantasma e – ricordando quanto mi fosse piaciuto il primo capitolo – ho pregato mio padre di accompagnarmi a vedere il seguito al cinema. Da quel giorno la visione di un film in sala si è trasformato in una sorta di rituale che richiede una preparazione mentale e sentimentale. Ovviamente mi sono resa conto della sacralità dell’esperienza cinematografica col passare del tempo, non ero così profonda a 12 anni.
E così mio padre una domenica pomeriggio mi ha portata in questo cinema parrocchiale dalle luci soffuse e i pop corn sparsi ovunque. Il colore rosso era dominante, fra la moquette, le tende e le enormi poltrone che ci hanno accolto e inghiottiti per qualche ora. Quel week-end mi ha cambiato la vita perché ha fatto sì che andare al cinema diventasse parte integrante della mia quotidianità, contribuendo a definire la persona che sono oggi. Inconsapevolmente avevo bisogno di trovarmi in uno luogo in cui non ero più io in controllo, un luogo privo di pregiudizi che mi aprisse le porte su delle realtà in grado di estraniarmi da quella che stavo vivendo. Forse perché non mi sono mai sentita pienamente accettata e a mio agio con i miei coetanei, il Cinema era ciò che più si avvicinava ad un amico. Ed è ciò che oggi posso definire il mio posto sicuro, in cui “non ho paura di sognare un po’ più in grande”, prendendo in prestito le parole di Eames in Inception (2010). Si spengono le luci, lo schermo si accende ed è l’unico a cui consento di vedermi in tutta la mia vulnerabilità. Non ho paura. Respiro, consapevole che, malgrado alcuni scenari possano toccare corde delicate e lati di me che non sono pronta ad esplorare, ne uscirò arricchita. Al Cinema ho imparato che non sempre esistono delle risposte. E che va bene così.
La scena in cui Jack Sparrow fugge dalla tribù dei Pelegostos è il momento che più mi è rimasto impresso di quella giornata. Ero talmente fomentata che mi sono aggrappata ai braccioli della poltrona, ma non bastava. Nel buio della sala ho cercato il braccio di mio padre, non tanto perché avessi bisogno di un qualche tipo di sostegno. No. Cercavo una reazione. Volevo essere compresa. Non volevo sentirmi sola. Perché quel giorno ho anche imparato che il Cinema è condivisione. Con chiunque sia in sala con noi. Che sia uno scambio di sguardi, delle risate contagiose che talvolta ci sembrano fuori luogo, dei silenzi assordanti, delle imprecazioni urlate nel bel mezzo della proiezione e che rompono l’incantesimo, o dei singhiozzi soffocati nella speranza che nessuno ci senta. L’esperienza cinematografica non riguarda solo me e il grande schermo, ma anche tutto ciò che entra a far parte di quel magico microcosmo che è la sala. Da quel giorno non l’ho mai dato per scontato. Così come non dò per scontato che torneremo a meravigliarci come Antoine Doinel la prima volta che ha visto il mare.


FEDERICO

La sala cinematografica è per me quel luogo dei sogni dove, al calare del buio, una nuova luce è pronta ad accendersi. È una delle poche certezze della vita. Quando cala l’oscurità, sai che sorgerà presto un nuovo bagliore. E che le immagini che vedrai, in un modo o nell’altro, ti resteranno dentro e ti faranno conoscere lati della tua stessa persona che magari non sapevi fossero lì. Le storie formano le nostre vite. Le storie ci fanno crescere. Le storie esorcizzano la morte e le nostre paure più profonde. Le storie plasmano la nostra identità. Noi siamo le storie che raccontiamo.
Per me, l’esperienza cinematografica è sempre stato tutto ciò. Ho quattro momenti indelebili legati al cinema. Essendo ognuno diverso dall’altro, li passerò velocemente in rassegna tutti e quattro.
Il primo ricordo legato alla sala è del 2005, con l’uscita di Star Wars – La Vendetta dei Sith. Avevo 8 anni e avevo già recuperato tutti i film della Saga. I miei mi portarono per la prima volta al cinema. Era un cinema di Milano che ora non c’è più. Mi ricordo ancora le persone vestite con i costumi dei personaggi del film (cloni, molti jedi, pochi sith), in coda davanti alla biglietteria. Può darsi che io avessi con me una spada laser. Ora l’età avanza e la memoria non mi assiste. È strano perché non mi ricordo l’intero film, ma solo scene del terzo atto – sì, quando inizia la carneficina. Ho un ricordo fisso che mi terrorizzò non poco. SPOILER!!! Anakin che brucia vivo dopo essere stato sconfitto da Obi Wan. In effetti, La Vendetta dei Sith è, tra tutti gli Star Wars, il film più tragico e atroce. E quell’immagine mi rimase impressa per molti molti anni. Diciamo che il mio amore per la saga di Lucas non iniziò al cinema, ma fu la sala a renderlo così potente e indelebile.
La più grande esperienza cinematografica la ebbi però con Avatar. Anno 2009. Regista James Cameron. Forse conoscete sia il film sia chi lo ha realizzato. Ebbe poco successo in sala, divenne solo il film con il più alto incasso della storia del cinema. Avatar è il film che mi ha cambiato la vita. Avatar mi ha fatto pensare “Se il cinema è un ambito in cui si può realizzare tale magnificenza, voglio fare di tutto per farne parte, in futuro”. Diciamo che ho puntato subito basso basso. Avatar fu totalizzante per me. Il potenziale di ogni reparto tecnico legato al cinema al suo massimo. Regia. Fotografia. Musica. Effetti visivi. Il cinema tornava ad essere quella meraviglia visiva e inaspettata che era stata nei suoi primissimi inizi, col treno dei Fratelli Lumiere. Una magia per gli occhi. Per me, possiamo dire fu magia per gli occhi, ma anche consapevolezza per la mente.
Gli ultimi due episodi cinematografici degni di essere raccontati sono la proiezione di Mad Max: Fury Road (2015) e Avengers: Endgame (2019). Nel primo caso, mi ricordo di aver avuto difficoltà a stare fermo sulla poltrona. Nella scena della tempesta di sabbia mi scese una lacrima incontrollata. Mi stupii quasi. Il corpo andava da solo. Non era una scena strappalacrime, nessuno moriva etc. Era una scena enorme d’azione. Eppure, reagii così. Era la potenza dell’immagine audiovisiva. Non mi ricordo un’altra scena, forse addirittura nella storia del cinema, in cui suono, musica, fotografia e regia si mescolino così incredibilmente. La scena, in questo caso, colpiva direttamente tutti i sensi dello spettatore. E non li lasciava andare. La sala era la tempesta di sabbia. Una tempesta di sabbia emotiva.
Nel secondo caso. Avengers: Endgame (2019). Anteprima di mezzanotte. Non un posto lasciato libero. Non ho mai visto una connessione schermo-spettatore più intensa. La gente reagiva alle scene in maniera viscerale, istintiva, primordiale. Io compreso. Lacrime. Urla. Gioia. Dolore. Il cinema viveva nei cuori delle persone. Le persone erano il Cinema. Erano i personaggi che vedevano. Facevano le loro stesse imprese. Gli aiutavano a sconfiggere Thanos. Erano “Assemble”. Uniti con gli Avengers. Questo è il potere delle storie. Questo è il potere delle storie al cinema.


LAURA

Il primo ricordo vago che ho di una sala, sovviene per via di diverse sensazioni e immagini precise; eppure non era proprio una sala, ma per soffitto avevo il cielo stellato e un giardino con ghiaia al posto del tappetto rosso ben pulito profumato di deodorante. Quando sento l’odore d’inizio estate del tiglio misto al profumo del burro salato dei pop-corn, la mente va spesso a questa rimembranza e diventa più facile sorridere. Ero con la mia famiglia al cinema estivo di Modena, sedevo esterna e – cosa che non ripetei più, laddove fosse possibile – in prima fila! Mamma e papà sembravano eccitati quanto me, o forse era il riflesso tipico del bambino, per cui tutti sembrano a te conformi in giochi e attese. Guardavo per la prima volta Toy Story su uno schermo immenso, grande quanto i palazzi che dietro a questo svettavano. Va ammesso che sapessi quel film a memoria; i miei primi anni di vita li avevo passati torturando un povero registratore inserendo una vhs dietro l’altra. Il primo grande Pixar non fece eccezione, la cassetta mi fu regalata proprio per il mio compleanno. Fu però la prima volta che potei vedere i miei amici Woody e Buzz formato gigante. Con gran sorpresa di mamma e papà non mossi nessun muscolo e guardai tutto il film a bocca aperta, le mani strette ai braccioli della seggiola di legno. Toy Story coincide anche con il mio lento risveglio di un’emotività più consapevole: prima della scena in cui Woody involontariamente butta oltre la finestra il suo avversario, non avevo mai provato l’imbarazzo accecante della vergogna, né sapevo che quella stretta alla bocca dello stomaco, potesse chiamarsi tale. Prima della scena in cui Woody urla dalla casa di Sid in cerca di aiuto, non mi ero mai sentita tanto sola e in seguito tradita dal chiudersi delle persiane amiche. Erano emozioni forti da contenere tutte in un corpicino piccolo di bambina, eppure le tenni dentro di me, vibrando di eccitazione e ridendo acuta quando tornavano momenti più allegri e sereni. Il cinema le stava restituendo ben più amplificate di quanto non potesse fare il fido televisore. A quello mi affidavo quando in famiglia c’ero solo io e stavo, da brava lavativa, a casa dall’asilo.
Delle sere restavo con i nonni perché i miei genitori uscivano:
“Andiamo al cinema. Andiamo a vedere un film per grandi su una tv grandissima!”
“Grande come voi?”
“Di più! Più grande. Grande come una casa”. Allora facevo una pernacchia, perché chi pensavano d’ingannare. L’interesse poi svaniva e, tra una barbie e un disegno, attendevo il loro ritorno.
Così mentre in quel momento vedevo il faccione plastico di Woody svettare veramente a fianco dell’abitato, facendo invidia alle villette più basse e infelici, comprendevo che dovevo valere davvero molto, se al cinema proiettavano qualcosa che potessi vedere anch’io. Ero parte del pubblico, le mie emozioni e attenzioni valevano tanto quanto quelle degli adulti, abbastanza pensavo, da occupare tutto quel posto per un cartone animato – e osservai bene, non c’erano nonni brontoloni pronti a cambiar canale per vedere l’ultima partita di calcio. Il cinema parlava anche a me, poco importava che prendessi ancora la camomilla nel biberon prima di dormire – Woody e Buzz non lo sapevano comunque, e se anche l’avessero scoperto, non ci avrebbero dato troppo peso. Sono due tipi a posto, quei due! E davvero lo avrebbe fatto sì, per tutti gli anni a seguire, di crescita o di svago, mi avrebbe parlato. Fino ad ora. È un gran sollievo sapere che io e il cinema invecchieremo insieme adattandoci l’uno all’altra, come fa il pongo sotto le mani febbrili di un bambino.


 RICCARDO

Era il lontano 2002 l’anno in cui per la prima volta mi sono avventurato nel magico mondo del cinema. Il secondo capitolo della saga di Harry Potter, La Camera dei segreti, era da pochi giorni nelle sale cinematografiche e mia zia mi aveva promesso di accompagnarmi al cinema per poterlo vedere in occasione del mio compleanno. Un’attesa che ricordo ancora chiaramente, durante la quale fantasticavo su come si potesse vedere un film insieme a tante persone in una sala, al buio, senza poter interrompere la visione e senza poter parlare… quando arrivò il fatidico giorno ricordo perfettamente l’adrenalina nelle vene e l’agitazione che contraddistingueva i momenti prima della visione. Il cinema scelto da mia zia era il multisala di Napoli di Fuorigrotta e ricordo ancora la meraviglia che avevo nel guardare tutti i poster dei vari film in sala sull’alta vetrata della biglietteria, le file di persone che correvano per non essere in ritardo alle proiezioni, l’odore dei pop corn che inebriava l’intera struttura. Ricordo ancora quel biglietto, arancione e rettangolare, il suono dello strappo e la voce dolce della cassiera che mi diceva dolcemente: “Buona visione”. Risuonano ancora nella mia mente le parole di mia zia che preoccupata diceva: “Signora ma il film potrebbe far paura? Sa ha solo 5 anni”. E nel frattempo l’emozione cresceva ed io non vedevo l’ora di scoprire le nuove avventure di Harry, e soprattutto di Hermione della quale ero perdutamente innamorato. Poi arriva quel momento, quello che ancora oggi suscita in me le più belle emozioni, i più caldi ricordi, il momento in cui si spengono le luci e la magia inizia. Di questa esperienza, oltre che di un film meraviglioso ed avvincente, porto il ricordo di un’esperienza molto dolce, forse proprio perché condivisa con una persona a me molto cara, ma anche un’esperienza così significativa che per sempre ha cambiato il me stesso e i miei futuri sabato sera. Si, perché da quel momento in poi non ho mai smesso di affollare con i miei amici le sale cinematografiche, e non ho mai smesso di sognare, a volte anche da solo, davanti a quello schermo magico che tanta gioia riesce sempre a regalarmi. 


CARMEN

Certo che me la ricordo, la mia prima volta al cinema… E come dimenticare la mia piccola manina che scivolava dentro quella di papà, mentre cercavamo il nostro posto in sala? Come dimenticare il famoso multisala Warner, odiato teatro di periferia al cui odore di fritto e arredamento giallo-blu mio padre si piegò comunque pur di farmi vivere l’emozione del grande schermo?
Mi portò a vedere T come Tigro, correva l’anno 2000 ed io avevo 5 anni non ancora compiuti (“quattro e mezzissimo, quasi cinque” dicevo a tutti), ma ricordo ancora come fosse ieri la sensazione di impotenza e meraviglia provata di fronte alla grandezza surreale delle immagini colorate, alla provenienza incerta del suono che sembrava pervadere la sala e prendermi alle spalle, avvolgermi, rapirmi, a tratti stordirmi.
Inutile dire quanto indelebilmente quell’esperienza segnò la mia vita, perché tuttora il cinema posso dire essere stato sempre e da sempre la mia più intensa fonte di emozioni -gioia, malinconia, dolore, rabbia, angoscia, amore, je-ne-sais-quoi.
A papà piace ricordarmi il suo ruolo e conseguente merito nell’avermi avvicinato al magico mondo dei sogni in celluloide, e gli balza ancora ogni tanto per la testa (l’ho sentito canticchiarla) quella canzoncina “noi tigri siam così”…
Ed io, a vent’anni ormai da quella prima esperienza in sala, quei colori e quella canzoncina, ancora devo tutto al cinema: vestiti che ho indossato, canzoni che ho ascoltato, viaggi che ho fatto, parole che ho scritto, emozioni che ho trasmesso, emozioni che ho sentito nel cuore e sulla pelle e forse molto, molto di più.
Per tutta la vita ho sognato di vivere nel cinema, e ancora non mi sono arresa al fatto che dentro un film non mi ci posso proprio tuffare.
Ancora sogno la notte l’ouverture di Via Col Vento (1939), convinta che prima o poi, in una prossima vita, sarò io a sollevare la terra dal suolo e a dirmi che “dopotutto, domani è un altro giorno”.
E se non nella prossima, in quella dopo ancora.


“Il cinema è una possibilità di sopravvivenza di fronte alla delusione che ci offre ogni giorno la realtà”.

La Grande Bellezza (2013)
dir. Paolo Sorrentino

Nella speranza di avervi riportato, anche solo per un attimo, in sala. Per noi è stato così. 

E tu, caro Cinema,
aspettaci.