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Che cose significa essere madre? Come si affronta la morte del proprio bambino e come si ritorna alla vita? Questi sono alcuni degli interrogativi che vengono sviscerati all’interno del debutto internazionale del regista Kornél Mundruczó e che vanta fra i produttori esecutivi Martin Scorsese. Pieces of a Woman, in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è un film che entra nel cuore del pubblico, che parla all’animo delle persone, che scuote e emoziona, una creazione artistica di altissimo livello che vanta delle performance eccellenti ed indimenticabili. I primi 30 minuti della pellicola sono fenomenali, lo spettatore è trasportato subito nella casa dei protagonisti, i meravigliosi Vanessa Kirby e Shia LaBeouf, durante il momento più magico nella vita di due genitori, quella del parto e della nascita del proprio bambino. Il lungo e soffocante piano sequenza apre le danze del film mostrando le fasi del travaglio, le doglie, i dolori, i pianti e le gioie che accompagnano un parto, raccontando in modo quasi cruento il momento della nascita, lasciando lo spettatore inerme sulla poltrona, capace solo di accettare il tragico esito della vicenda.

Vanessa Kirby (vincitrice della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile) è sensazionale nel mettere in scena questa storia così struggente e drammatica, capace di restare nella mente del pubblico per giorni dopo la visione del film. I suoi occhi carichi di dolore, gli scambi di sguardi col suo partner e i dialoghi con mamma e sorella costruiscono un tessuto narrativo denso di significati, ricco di spunti di riflessione. La sceneggiatura è brillante, in particolar modo nei lunghi dialoghi fra la protagonista (Vanessa Kirby) e sua madre (Ellen Burstyn) riguardanti il dilemma sulla sepoltura del neonato, la richiesta di giustizia nei confronti dell’ostetrica accusata di negligenza criminale e la scelta di porre fine alla relazione col marito (Shia LaBeouf).

Durante il film assistiamo al percorso emotivo della protagonista: prima l’accettazione della morte, poi l’esternazione taciturna e in solitudine del dolore e il confronto con il mondo esterno, fino ad arrivare alla rinascita, che culmina nell’aula del tribunale in una toccante scena con l’ostetrica interpretata da Molly Parker. Martha, come suggerisce il suggestivo titolo, perde una parte di se stessa, sia fisicamente che moralmente, e la sua ricomposizione, sebbene con delle cicatrici indelebili, avviene contemporaneamente con la simbolica costruzione di un ponte, dal quale poi spargerà in mare le ceneri della sua bambina.

Tante sono le metafore e i simboli, da quello del ponte appena citato a quello dei semi della mela che la protagonista riesce a far germogliare. La mela, infatti, frutto ricorrente per tutta la narrazione, diviene il simbolo della rinascita, della vita che continua nonostante i dolori e le avversità. Il tema della morte e della vita si incastrano fra di loro, rendendo la narrazione circolare e quasi con un lieto fine, ma comunque in grado di segnare indelebilmente l’animo dello spettatore e rendendo il film non solo un’opera di intrattenimento ma un vero e proprio insegnamento di vita.
Riccardo