Quando sono al Lido non ho la più pallida idea di quello che sta succedendo là fuori, nel mondo. È automatico e per quanto io possa cercare di rimanere un minimo connessa, arriva quasi immediatamente l’estraniamento. Siamo solo io, i film e persone con cui ho il piacere di condividere il Festival.

Tuttavia, a volte capita di imbattermi in storie così potenti da riportarmi con i piedi per terra, in grado di ricordarmi che in quella realtà che mi sembra così lontana devo tornarci e devo anche farci i conti. Quest’anno è successo con Nowhere Special.

Presentata in concorso nella sezione Orizzonti della 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, l’opera terza di Uberto Pasolini è la storia – ispirata da fatti reali letti in un articolo di giornale dal regista e sceneggiatore – di John (un intensissimo James Norton che in un mondo giusto sarebbe sommerso di premi), padre single malato terminale che impiega i suoi ultimi istanti di vita nella ricerca di una famiglia a cui affidare il figlio di quattro anni.

Pasolini, sette anni dopo Still Life, torna a trattare la morte, questa volta usandola in quanto “scusa per raccontare la vita”, come ha spiegato lui stesso nel Q&A dopo la prima a Venezia. Attraverso inquadrature precise, essenziali e mai lasciate al caso si compone la quotidianità di John, impegnato nel suo lavoro come lavavetri di Belfast, nella ricerca della famiglia giusta per suo figlio Michael e soprattutto nel trascorrere il poco tempo che gli è rimasto con lui, costruendo nuovi ricordi.

Lo spettatore è quindi di fronte ad una relazione padre-figlio, nella quale il primo cerca di insegnare a vivere al secondo, ma anche ad altri esempi di genitorialità nei momenti in cui il protagonista incontra i candidati per l’affidamento di Michael. Il cuore del film è proprio il rapporto fra John e Michael, che trasporta per tutta la narrazione il carico emotivo della vicenda. Il merito è sicuramente degli interpreti, dell’intesa e della palese fiducia che si è creata fra i due: non vi sono espedienti di montaggio, quell’affetto è vero e gronda dallo schermo.

Il rischio, raccontando un dramma così forte, era quello di cadere in scelte narrative e registiche banali che avrebbero spianato la strada ai soliti cliché che contaminano opere che trattano storie di malati terminali. Pasolini, invece, è sapiente nell’evitare l’ostentazione e l’estetizzazione del dolore che avrebbero condotto i personaggi al patetismo assoluto e il pubblico a provare solo pena per loro. Tutto segue il suo corso, senza orpelli e nel modo più dolce, delicato e vero possibile. Non si cerca di ostacolare il trascorrere del tempo, lo si accetta e se ne fa tesoro.

Nowhere Special è una carezza al cuore.

Prossimamente al cinema distribuito da LuckyRed.

Marika