One Night in Miami, e non una notte qualsiasi.
Presentato Fuori Concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è l’esordio alla regia dell’attrice premio Oscar Regina King. Il film, un adattamento dell’opera teatrale di Kemp Powers, è ambientato in una notte storica (25 febbraio 1964), quando Ali (allora noto come Cassius Clay) sconfigge Sonny Liston e viene incoronato campione mondiale di box e dei pesi massimi.
Dopo il combattimento Cassius (interpretato da un perfetto Eli Goree non solo per la somiglianza fisica, ma anche per la credibilità emotiva) decide di festeggiare con degli amici d’eccezione: il cantante soul Sam Cooke (Leslie Odom Jr.), la star della NFL Jim Brown (Aldis Hodge) e l’attivista dei diritti civili Malcolm X (nei suoi panni uno straordinario Kingsley Ben-Adir).
Ciononostante, i festeggiamenti si trasformano in tensione quando i quattro uomini iniziano a dibattere su cosa significhi essere nero e famoso in America.

Sebbene sia principalmente ambientato in una notte, attraverso un breve prologo d’apertura nel quale i quattro personaggi si presentano e tramite le parole che vengono utilizzate durante il corso del film, lo spettatore capisce che il tutto ha inizio già da molto prima. Difatti, per quanto ognuno di loro sia ricco e famoso, non sono esclusi dal dover affrontare le molteplici forme di razzismo che si presentano di continuo.
Cassio combatte in un’arena piena di bianchi che lo fischiano per la sua sfrontatezza. Sam suona al Copacabana e ha di fronte un pubblico bianco contrariato dalla sua canzone. Jim (all’epoca uno dei più grandi giocatori della NFL) va a trovare un vicino di casa bianco che abbina degli elogi per la sua formidabile stagione sportiva ad un’agghiacciante saluto: “Mi spiace ma non facciamo entrare i negri in casa nostra”. E infine, durante un servizio televisivo, una presentatrice bianca introduce i filmati di Malcom descrivendolo come se predicasse “un vangelo di odio”.

In questi 110 minuti viene mostrato al pubblico che, nonostante i bianchi americani pensino di essere al di sopra dei neri, il potere stesso (argomento centrale di questa storia) è ciò che ottiene ogni membro del quartetto.
Ognuno di loro ha un potere, ottenuto con il duro lavoro e uno straordinario talento. Di conseguenza i bianchi non possono ignorarli perché loro sono ovunque: in TV, alla radio, nei locali…
Malcom esorta anche i suoi amici a non credere al sistema, perché se un nero diventa una star della musica, o della NFL ciò non vuol dire che le cose siano cambiate, e li invita a riflettere su come potrebbero usare la loro fama per fare di più per la comunità nera.

Benché il tutto venga raccontato in una comunissima stanza d’albergo, la King dimostra di essere Regina non solo davanti, ma anche dietro la macchina da presa. Cura ogni minimo dettaglio della sceneggiatura dove mostra del notevole controllo. Nessuno viene mai perso di vista, ogni debolezza, idea, discussione e speranza viene rivelata al pubblico.
Ma la vera autenticità di One Night in Miami sta nelle ultime scene: Regina King non ci fa dono di un finale consolatorio che urla vittoria, bensì ci regala una promessa, un progresso.
Personalmente credo che questo film sia arrivato proprio al momento giusto. Un periodo in cui si sta facendo la storia, in cui sta avvenendo un altro importante progresso: Black Lives Matter nel 2020, come il Black Power negli anni sessanta.

Oggi giorno una configurazione simile potremmo ritrovarla in artisti e sportivi come Serena Williams, LeBron James, Lewis Hamilton e Janelle Monae in una stanza (più o meno) simile che affrontano gli stessi argomenti.
In conclusione, il colore della pelle non è un crimine, ma un qualcosa di cui essere orgogliosi perché tutti proveniamo da persone della nostra stessa razza che in passato e nel presente scrivono la storia. Un esempio? Regina King con One Night in Miami è stata la prima regista Afroamericana a presentare un film alla Mostra!
India