The World to Come
“L’unica cosa che può salvarmi dall’infelicità, è la mia autoeducazione”

Il Queer Lion 2020 di Mona Fastvold non è solo una voce importante per la comunità LGBTQ, ma anche una pietra d’angolo per l’emancipazione femminile: quella delle donne dell’800; per coloro che trovarono un’ancora nella scrittura e nella propria educazione mentale, per non morire impantanate nelle strette gabbie sociali a cui erano destinate conformarsi. Così fa la protagonista Abigail (Katherine Waterston), la quale sopravvive alla morte di una figlia, giorno dopo giorno, aggrappata al suo diario e noi con lei, nella cadenza del tempo. Le circostanze cambieranno quando un’altra coppia di pionieri giungerà in zona e Abigail conoscerà Tally (Vanessa Kirby). La regia di Fastvold è pulita, per nulla forzata, a volte silenziosa e a volte assordante. È uno sguardo lento e curato, necessario per comprendere il rapporto tra due donne, le quali osano amarsi in un’epoca che non permette loro di farlo. Per quanto si possa presagire un finale amaro, The World to Come entra con ragione nella lista di film di cui avevamo bisogno, non solo per la tematica ma anche per la poetica sceneggiatura nata dall’omonimo racconto di Jim Shepard.
Laura
Miss Marx

Andate in un museo preraffaellita con ipod alla mano, nelle cuffie brani punk e una buona dose di socialismo nelle vene: avrete una prima fresca impressione di quel che proverete in sala guardando Miss Marx di Susanna Nicchiarelli. Costumi impeccabili, scenari pittoreschi e un’interpretazione, quella di Romola Garai, all’avanguardia, passionale e a volte dura e viscerale. Il punk – come sinonimo di modernità – scorre nella mente di Eleanor Marx, definendo una personalità a noi ancora tanto vicina: la storia di una donna socialista, tra le prime ad occuparsi della condizione femminile del suo tempo. Il film scorre e s’insinua nella vita della protagonista, fin quando, per scelta stilistica, la Garai non rompe la quarta parete e aggancia lo spettatore. Il dialogo con il pubblico è fondamentale: l’attimo in cui ci parla, è lo stesso che deve farci riflettere. Condivide la sua filosofia, il suo lungimirante pensiero quasi a monito: che tutto ciò per cui ha lottato, non è stato raggiunto. Non ancora e non a pieno. Vale la pena, dunque, lottare per l’uguaglianza e la Nicchiarelli lo fa in grande stile, imbastendo un biopic che riflette la modernità, pur restando fedele alle basi di un buon period classico.
Laura
Nomadland – Leone d’Oro al Miglior Film

Il Leone d’Oro che consacra la regista – e in questo caso anche sceneggiatrice – Chloé Zhao, ridefinisce il genere road movie portandolo a un livello più intimo, del luogo collettivo trasformato in viaggio spirituale del singolo. Le vicende sono quelle di Fern (Frances McDormand), donna rimasta vedova e che in seguito alla recessione del 2008, fa i bagagli e parte insieme ad “Avanguardia”, il così chiamato fidato furgone. Fa sua la vita nomade, una vita scelta, una vita che la chiamava da sempre. Il film di Zhao dona voce alla comunità nomade americana, di cui pochi conoscono vicende, sogni e quotidianità. Le scene sono scandite da albe e tramonti degni dei colori di William Turner, e da paesaggi di un’America a cui siamo tutti poco avvezzi e che per tale ragione, meravigliano e stupiscono. Il rispetto e la bellezza sono parte integrante, così come Zhao ne dimostra nei confronti dello stesso cast, persone reali, le vere anime che hanno vissuto e vivono l’esperienza nomade ogni giorno. Einaudi e la sua poesia in forma di musica concludono il quadro di un film che lascerà il segno con giusto interesse e pacato silenzio.
Laura
In Between Dying

Se il cinema è un mezzo per mettere in luce ciò che solitamente nella vita di tutti i giorni cerchiamo di nascondere, l’opera di Hilal Baydarov ne è un valido esempio, un film che non spreca un solo minuto nell’analizzare gli aspetti ordinari della quotidianità, quanto più vuole ergersi a lente d’ingrandimento sul percorso del protagonista Davud, in cui ogni sua tappa è segnata dalla presenza di una donna. Queste figure femminili sembrano attendere il suo arrivo, come di un angelo salvatore anche se pare essere più un mietitore dato che ognuna di loro finisce per morire. Ma in questo caso la morte è la loro salvezza da una vita fatta di dolore e privazioni, una prigione circoscritta dalle mura della propria casa o dal loro stesso corpo. Chi vuole fuggire da un fratello violento, chi da un male incurabile, Davud le accompagna nei loro ultimi passi portando con se però l’ansia di dover fare lui stesso i conti con la morte alla fine del suo tormentato viaggio. Saranno l’amore e l’accettazione del dolore la sola speranza per la sua redenzione. Un film sicuramente allegorico ma che non pretende di esser sviscerato in ogni sua metafora, perché ogni interpretazione sarebbe futile dinanzi alla realtà dei fatti narrati.
Angelica
Laila In Haifa

Il noto regista israeliano Amos Gitai torna a Venezia con un altro film in cui la crisi israelo-palestinese è la protagonista. Il suo percorso artistico ha da sempre sottolineato l’esigenza di approcciarsi a differenti punti di vista etici, ponendosi faccia a faccia con la complessità del proprio paese d’origine. Il regista cala i suoi occhi su di un microcosmo, in questo caso un bar dove Laila (che in arabo significa notte), una ragazza che vuole fare carriera e lasciare la città che l’ha cresciuta, si divide fra il marito magnate ed il suo amante nonché collega. Insieme a lei, altre due donne e le loro storie. Ma queste donne sembrano avere le idee molto chiare e soprattutto un desiderio comune di non voler dipendere dalle decisioni di un uomo. Ma in quest’intreccio di racconti, cocktail, ormoni e danze, non v’è alcuna rivelazione, alcun climax, alcuna svolta. Ci si chiede se quello sia davvero il locale più in voga di Haifa perché non c’è nessun’animazione. Insomma siamo usciti dalla sala con l’aria sperduta, confusa e la voglia di fare davvero festa in qualche bar a ridosso della spiaggia del Lido.
Angelica
Dorogie Tovarischi! (Dear Comrades!) – Premio Speciale della Giuria

Dinanzi le proteste dei lavoratori di Novocherkassk che chiedevano migliori condizioni di vita e prezzi del cibo più bassi, il 2 giugno 1962 l’esercito aprì il fuoco contro il popolo, firmando un massacro messo a tacere dai funzionari del KGB ma che venne portato alla luce ben trent’anni dopo. Tutto gira attorno al dramma vissuto da Lyudmila, una funzionaria del Partito Comunista (la splendida Julia Vysotskaya) in preda al panico per il mancato ritrovamento della figlia che in quell’occasione partecipò alla rivolta. Andrei Konchalovsky firma un altro piccolo gioiello in bianco e nero, ponendo al centro della scena il volto gelido della protagonista, una fedele stalinista che pare disdegnare lo sciopero dei lavoratori e l’affronto della figlia. Ma è proprio la scomparsa di quest’ultima che crea delle crepe nell’aspetto composto e diligente della Vysotskaya, calpestata dal partito che ha tanto a cuore ma che le proibisce di cercare la verità. La bravura del regista sta nel trasmettere quel senso di soffocamento e costrizione non mostrando gratuitamente la violenza, ma celandola dietro una vetrata in frantumi, portando l’attenzione più alle nostre orecchie che ai nostri occhi con un sonoro incisivo. Lyudmila diviene così il volto di un cambiamento in corso d’opera, un’identità che ha bisogno di gridare per poter sovrastare il frastuono degli spari. Dear Comrades! è una pellicola che scuote gli animi ma è in grado anche di rincuorarli, miei cari compagni di lettura non temete, c’è sempre speranza per il futuro, ce lo dice pure Konchalovsky!
Angelica
Spy No Tsuma (Wife of a Spy) – Leone d’argento per la miglior regia

Kiyoshi Kurosawa dall’alba della sua carriera cinematografica ha sempre trovato divertimento nel saltare da un genere all’altro, passando dall’horror al drama. Ma chi se la sarebbe mai immaginata una spy story/melò hitchcockiana presentata in concorso a Venezia77? Certo, non aspettatevi una storia ricca di azione, l’eleganza del film sta proprio nella sua freddezza e lucidità che man mano viene coperta da quella nebbia di confusione ed incertezza che caratterizza il cinema del regista nipponico. Non tutto è come sembra, non lo è nemmeno il titolo del film che pare suggerire la soluzione al caso, ma è realmente così? È il dubbio costante la chiave seducente di quest’opera. Ci troviamo davvero davanti ad una spia? Sua moglie da che parte sta? Quanto può divenire fragile un matrimonio dinanzi ad una verità non confessata? Ed ecco che prende via il gioco dell’accusarsi a vicenda, fra amici di vecchia data ed ispettori di polizia pronti a tutto per sviscerare la realtà dietro all’apparenza. Kurosawa ci fa dono di un film arguto e che non cede alla compostezza dell’immagine. Tutto è ben delineato, ogni singolo fotogramma, come a voler catturare il nostro sguardo attento alla ricerca di dettagli celati. Ma non c’è bisogno di strizzare l’occhio, tutto è come dev’essere ed allo stesso tempo è l’esatto opposto, anche un bombardamento aereo può divenire un inizio e non necessariamente un punto alla fine di una frase.
Angelica
Khorshid (The Sun) – Premio Marcello Mastroianni a Ruohollah Zamani

Teheran. Quattro bambini vivono o meglio, cercano di sopravvivere alla giornata in condizioni di una povertà estrema, spesso senza casa, “costretti a lavorare” e commettere qualche piccolo furto per mantenere loro stessi e le proprie famiglie, con figure genitoriali spesso assenti, in prigione, in ospedale, o decedute.
Khorshid (The Sun), film diretto da Majid Majidi, è un dramma iraniano molto intenso, a tratti commovente che condanna il lavoro minorile. Difatti come ci viene presentato dalla didascalia iniziale, il film è dedicato ai 150 milioni di bambini costretti a lavorare piuttosto che a vivere la propria fanciullezza in modo spensierato. La storia parla di Ali, un bambino di dodici anni, al quale un giorno viene rivelato da un uomo cinico che aveva derubato di uno dei suoi uccelli, che nel sottoterra si nasconde un tesoro. L’adulto gli affida quindi il compito di addentrarsi nel sottosuolo per trovare il bottino e l’unico accesso è dai sotterranei della Scuola del Sole, un istituto che cerca di salvare i bambini dalla strada e dal lavoro minorile.
Così Ali e i suoi tre amici, che sono dei bambini che sognano un altro mondo in cui possano vivere come gli altri bambini, decidono di iscriversi alla scuola e, tra una lezione e l’altra, a turno scavano nel tunnel che si spera li condurrà al tesoro nascosto. La vera rivelazione di questo film è proprio il personaggio di Ali (interpretato da un eccezionale Rouhollah Zamani, il quale ha ricevuto il Premio Marcello Matroianni per miglior attore emergente). Un bambino che, nonostante non abbia nessuno a guidarlo, se non l’affettuoso e volenteroso vicepreside della scuola (Javad Ezzati), è pronto a fare di tutto per difendere i propri amici e la bambina di cui è innamorato. Nei suoi occhi emerge una tale grinta che buca lo schermo e arriva dritta al cuore dello spettatore; pronto a farlo commuovere in ogni scena per la forza di volontà che ha nel rialzarsi e riprovarci sempre, malgrado la sua strada sia spesso costellata da nuovi ostacoli.
Khorshid è un inno alla speranza e a tutti quei bambini iraniani e afghani che hanno quella voglia inarrestabile di lottare per avere una vita migliore.
India