“Grazie Marie”. Se Malcolm avesse pronunciato queste due parole la serata avrebbe preso una piega differente. Lui, un regista emergente. Lei, ex-tossicodipendente e attrice mancata. Le danze si aprono nel momento in cui la coppia rincasa dalla premiere del film diretto da Malcolm. Il mancato ringraziamento è stato l’innesco di un confronto-scontro che ha animato quella che doveva essere una serata all’insegna delle celebrazioni.



Il non detto, a partire da quel grazie, è un elemento consistente agli occhi dello spettatore che assiste ad un duello di incomunicabilità: Malcolm & Marie è un continuo affronto fra due forti personalità vulcaniche che per troppo tempo hanno seppellito verità e sentimenti, eruttati improvvisamente e copiosamente, vomitando un malessere che necessitava da molto di essere esternato.

Entrambi come degli abili spadaccini sferzano parole taglienti. Si feriscono, si aprono a vicenda, lacerando il partner attraverso monologhi intensi e senza filtri che spazzano via i loro atteggiamenti indecifrabili. Marie toglie il fiato mentre riflette sul ruolo della donna, vista e rappresentata attraverso gli occhi dell’uomo, così come l’apnea continua nella vasca da bagno, dove io spettatrice vengo soffocata dal dolore, dalla frustrazione e dall’amore che lega Malcolm e Marie: “Amo il modo in cui vedi il mondo”. Sia Zendaya che John David Washington si lasciano attraversare dalla macchina da presa, sensuali, magnetici e sfiniti da due performance destinate a lasciare il segno.


Dove non arrivano le loro parole interviene la musica: Selfish di Little Simz ft. Cleo Sol rafforza l’ira di Marie mentre prepara mac and cheese, Get Rid of Him di Dionne Warwick riprodotta dal cellulare della stessa Marie con l’intento di deporre le armi, smorzare l’atmosfera e ammorbidire Malcolm è una vera e propria dichiarazione d’amore (letteralmente: ti amo anche se sei uno stronzo) in una delle scene più dolci e tenere del film, nonché uno dei momenti che permette anche allo spettatore di riprendere fiato.

Malcolm & Marie non è solo uno squarcio di vita di una coppia in crisi. È l’amore per il cinema, universale e appartenente a tutti, un omaggio a chi vive di cinema, chi lo fa, chi lo riceve e chi lo sviscera, talvolta demolendolo. Inaspettatamente, come un giro sulle montagne russe, salire su questa giostra mi ha investita emotivamente: non ho solo assistito a due persone in crisi che mettono a nudo le proprie vulnerabilità. Io ho rivisto tanto di me, della fatica nel dare voce a ciò che provo, mi sono riconosciuta – e ho riconosciuto persone a me care – in alcune dinamiche, isterismi e insicurezze. Non credevo che potesse toccarmi a livello così personale.

L’ultimo lungometraggio di Sam Levinson è nato dopo la pausa forzata della produzione della seconda stagione di Euphoria, in piena pandemia, eppure, assaporando le immagini girate su pellicola 35mm in una casa fuori dal mondo, non si direbbe affatto che si sia trattato di scelte prese a causa di forze maggiori né che sia stato realizzato in un momento in cui il cinema è in difficoltà. La percezione è quella di un’opera senza tempo – rafforzata anche dalla scelta del bianco e nero –, che fa un uso sapiente degli spazi, dei corpi e delle anime che ha a disposizione. Probabilmente avrei optato per un finale diverso, avrei concluso in due momenti precisi, antecedenti a quello effettivo che ho trovato piuttosto fiacco rispetto al resto della messa in scena, ma ciò non cambia la sostanza: Malcolm & Marie è un atto d’amore che dà voce a chi non ha voce.
Su Netflix dal 5 febbraio.
Marika