Benché crediamo poco in questa giornata, abbiamo deciso di dare un senso all’8 marzo omaggiando delle artiste donne che abbiamo a cuore.

ANGELICA
Mea vulva, mea maxima vulva!
Le donne mi hanno sempre suscitato un fascino profondo, un’ammirazione per tutto ciò che sono e devono sopportare nel corso della loro crescita. Diverse sono le figure femminili che negli anni mi hanno ispirata e che in qualche modo ho sentito vicine, come delle amiche, delle consigliere che hanno saputo indirizzarmi ed incoraggiarmi nelle mie scelte. Penso a Tilda Swinton ed al suo ripudio per qualsiasi etichetta perché in fondo siamo tutti persone nonostante le migliaia di sfumature che ci distinguono. Penso a Phoebe Waller-Bridge che con Fleabag ha dipinto l’immagine di una donna che non ha bisogno di esser equiparata agli uomini per la sua forza d’animo ed il suo carisma. Ma oggi vorrei elogiare una persona che con le sue coraggiose scelte nell’ambito cinematografico mi ha fatto riflettere molto su un fatto sociale.
L’uso che facciamo del nostro corpo dovrebbe essere una questione propriamente personale e non soggetta al giudizio altrui, ma viviamo in una realtà in cui anche una semplice foto scattata al mare è perseguibile dai cultori del moralismo e perbenismo. A quanto pare esporre delle natiche alla luce del sole è un crimine, e sì che non viviamo più nel Medioevo. Poco importa chi sei e quali siano i tuoi ideali: una donna che vanta una certa sicurezza mostrando un po’ di pelle scoperta sui social viene immediatamente marchiata. Insomma, non sei una VERA DONNA!
Ma sapete qual è la cosa peggiore? Donne che accusano altre donne di poca serietà, donne che mettono alla gogna altre donne per una posa ammiccante, per una silhouette provocante, per uno scatto in costume o in intimo, come se chi mostra passività e delinea il suo profilo come pudico e casto fosse nel giusto, nel socialmente accettabile. Quanta tristezza farci la guerra!
È per questa ragione che apprezzo con ogni cellula del mio corpo un’attrice come Stacy Martin che ha esordito a ventitré anni nel mondo del cinema con un ruolo da protagonista nel discusso Nymphomaniac diretto da Lars von Trier in cui la morigeratezza non è di casa. Stacy non ha avuto bisogno di fare la gavetta d’attrice come la maggior parte dei suoi colleghi, ma sarà sempre grata alla sua carriera di fotomodella per averle permesso di pagarsi i corsi di recitazione e gli studi, d’altronde era un lavoro part-time ben pagato che l’ha portata ad ottenere un provino con Lars von Trier. Stacy Martin non è solo l’immagine di una ragazza fresca e posata, è il volto di un’emancipazione, del coraggio delle proprie scelte, di una ragazza che non ha provato vergogna o imbarazzo nel mostrare la propria nudità perché ciò che conta per lei è lavorare con registi in grado di creare dei meravigliosi quadri. Che siano audaci come in Nymphomaniac, allegorici come in Il Racconto dei Racconti di Garrone, dalla verve contemporanea come in Vox Lux di Brady Corbet, Stacy Martin vuole lasciare la propria impronta in film che abbiano qualcosa da dire, perché anche solo prendere parte ad un prodotto che possa invitare alla riflessione su tematiche odierne è un piccolo mattoncino per costruire una battaglia più grande.
Per i possessori di Letterbox, lascio una mia lista di film in cui le donne sono le protagoniste indiscusse: Donne turututu~

MARIKA
Correva l’anno 2016 e durante l’88ª edizione della cerimonia degli Oscar le note delle tracce composte da Junkie XL riecheggiavano per tutto il Dolby Theatre ad ogni vittoria di Mad Max: Fury Road. Fra queste il trionfo della costumista Jenny Beavan, che quel 28 febbraio accettava la seconda statuetta della sua carriera.
Sciarpa al collo, pantaloni, stivaletti e una giacca in pelle vegana con impresso sul retro il simbolo di Immortan Joe, il villain del film diretto da George Miller. È con questo outfit iconico che Jenny Beavan ha ritirato il suo premio, inconsapevole che la reazione fredda della platea avrebbe dato vita ad un Vine destinato a diventare virale. Ricordo l’emozione nel vederla salire sul palco proprio con quella giacca addosso, indossata con la stessa fierezza con cui verrebbe indossata un’armatura, in quello che avrebbe dovuto essere a lovely day. In quel momento non ho pensato che la sua scelta potesse destare scandalo o indignare i presenti, eppure tante persone sono rimaste impassibili. Immaginate partecipare ad una cerimonia che dovrebbe celebrare il vostro lavoro e invece diventare virali perché non indossavate uno strascico. Ed inevitabilmente mi domando: sarebbe successo lo stesso ad un uomo?
Consapevole della tossicità e del marcio che da anni ormai contaminano il business noto anche come Academy Awards, non dovrei stupirmi di fronte a tali avvenimenti, ma le “critiche” rivolte a Jenny Beavan mi hanno ferita, sarà che mi sono rivista tanto in lei, o semplicemente perché nel suo completo non ho trovato nulla di sbagliato: come lei stessa ha dichiarato, non è a suo agio con dei tacchi ai piedi, né con un abito sfarzoso. Quella notte non voleva mancare di rispetto a nessuno. Celebrava il cinema, che in fondo dovrebbe essere l’unica cosa che conta.
Ho pensato a lungo a chi avrei voluto dedicare le mie parole… all’amore per la vita che gronda da ogni opera di Agnès Varda, al modo in cui Céline Sciamma ed Eliza Hittman mettono in scena con estrema delicatezza infanzia e adolescenza senza mai giudicare i personaggi che raccontano. La prima persona che mi è venuta in mente però è stata Jenny Beavan, quella giacca che ancora oggi bramo nel mio armadio e l’estrema ammirazione che ho provato e tuttora provo nei suoi confronti. In lei ho rivisto me e la forte necessità di non lasciarci determinare dall’opinione altrui. In Jenny Beavan e nelle parole che sono seguite a quell’evento ho visto un’integrità che spero di avere anche io, sempre. We do what we love and fuck the rest.
Per chi ha letterboxd due mie liste in cui le donne (artisti e personaggi) sono protagoniste indiscusse:
• remarkable films directed by women besides Lady Bird
• 𝐠𝐨𝐨𝐝 𝐟𝐨𝐫 𝐡𝐞𝐫 cinematic universe

LAURA
“Praticamente perfetta sotto ogni aspetto”.
Quanti anni avevate quando avete compreso che l’esser perfette (nel senso più generico del termine), fosse giusto esserlo SOLO per sé stesse seguendo i propri voleri e necessità? Mary Poppins, nell’iconica scena, dimostra d’esser all’altezza delle aspettative e delle richieste, non per gli altri, ma perché sente di esserlo. “Come sospettavo” dice. Ne è sicura e lo è di sé stessa. Non le importa se all’inizio i bambini sono scettici, perché sperano da lei ben altro, o se Mr. Banks abbia di lei una prima impressione errata, perché si aspettava tanto altro. Ho sempre desiderato essere come Mary Poppins. Vivere su una nuvola, volare nel mondo scendendo come fatta di sogno e mistero, vestita di fuliggine ma sempre con impareggiabile portamento. Ancora di più avrei voluto esserle simile in quella sicurezza che infondeva nei bambini e che sentivo tanto mancare in me. Poi si cresce e ti rendi conto che Mary Poppins era lì per salvarci da piccoli, quanto a farlo pure ora che siamo grandi. Si diventa tutti Mr. Banks prima o poi, a dimostrazione che il mondo a volte è troppo difficile anche per gli adulti – e se sei donna un po’ di più. Pamela Lyndon Travers aveva inventato Mary Poppins per salvare suo padre di una salvezza che non aveva nulla a che vedere con patetismo e crocerossine – archetipi con cui ancora oggi ci tassano in ogni modo e maniera. La sua era una salvezza vera e umana alla quale anche una donna può aspirare, senza diventare per forza un cortese cavaliere. Attraverso la parola scritta e dunque alla sua capacità artistica, Travers aveva creato la possibilità, che per vie realmente traverse, non le era stata concessa; di quell’impossibile che poteva diventare possibile, sia pure in un mondo sempre pronto a remar contro. Forse non è lungimirante scegliere una tata bambinaia per parlare di donne e nostre libertà, ma non è il suo ruolo né lavoro a definirla, quanto più il simbolo che è diventata: l’ancora nero su bianco la quale ha dato alla sua creatrice le ali per essere una scrittrice in un mondo che avrebbe preferito lo pseudonimo maschile.
Non so quante pillole insieme allo zucchero dovrò ancora mandar giù prima di trovare la sicurezza che tanto Poppins ostenta con fierezza. Dopotutto chi può dirlo, nessuno attende il cambiamento a braccia aperte, ma è altrettanto vero che il vento dall’est può tornare a soffiare quando meno ce lo aspettiamo.

INDIA
Inizialmente avevo deciso di incentrare questo pezzo sulla Principessa/Generale Leia Organa. Volevo parlare di come guardando il quarto (nonché primo) episodio della saga Star Wars da piccola, crebbi con la convinzione che la figura di una principessa non era soltanto quella di indossare una corona, vivere in un castello, o avere al proprio fianco un principe, bensì di lottare in prima persona per il giusto e avere la forza e la determinazione in ogni scelta che si prendesse.
Poi mi è venuto in mente di quanto noi donne nella nostra quotidianità dimostriamo di essere delle vere supereroine (non tutti gli eroi indossano un mantello), così avevo pensato di omaggiare questo pezzo alle protagoniste femminili della Marvel e di quanto abbiano cambiato il modo di vedere di tante giovani bambine che probabilmente cresceranno con la stessa convinzione con cui sono cresciuta io, e cioè che vedere donne in ruoli di leadership, dove mostrano la loro indipendenza, ci portano a voler essere come loro: abbastanza tenaci da combattere da sole le nostre battaglie.
Alla fine però ho deciso di spendere due parole su Sandra Bullock (ma chi mi conosce sa già che avrei scritto di lei), perché oltre ad essere la mia attrice del cuore e colei che con le sue molteplici interpretazioni coraggiose e indipendenti, ironiche ma anche riflessive mi ha portato ad amare il cinema in un modo così intenso da far sì che diventasse il mio futuro, è anche una donna che nella vita ha dovuto affrontare grandi sfide.
Tutte le insicurezze che sono subentrate quando è diventata la nuova ‘America’s Sweetheart’, o il periodo dopo la vittoria dell’Oscar (con The Blind Side), nel quale i mass media hanno preferito focalizzarsi sul tradimento del suo oramai ex marito piuttosto che sulla sua brillante interpretazione nei panni di Leigh Anne Tuohy.
Ciò nonostante lei è sempre andati avanti per la sua strada e senza aver bisogno di una figura maschile al suo fianco, ha adottato un bambino e lo ha iniziato a crescere da sola, continuando a fare il suo lavoro in modo impeccabile e a dimostrare il suo forte lato femminista: “the most beautiful woman in the world is the one who protects and supports other women.”
In conclusione, avrei così tanto da dire in supporto di noi donne che andrei oltre il limite massimo di parole concordate e non racconterei solo di personaggi correlati al mondo del cinema, o comunque famosi.
Perciò mi limito a concludere con una breve lista di film proprio diretti da donne.
• Forces of Nature (1999) dir. Bronwen Hughes
• 28 Days (2000) dir. Betty Thomas
• The Proposal (2009) dir. Anne Fletcher
• An Education (2009) dir. Lone Scherfig
• Mustang (2015) dir. Deniz Gamze Ergüven
• Booksmart (2019) dir. Olivia Wilde
• The Farewell (2019) dir. Lulu Wang
• Miss Juneteenth (2020) dir. Channing Godfrey Peoples
• The World to Come (2020) dir. Mona Fastvold
• Nomadland (2020) dir. Chloé Zhao