Tratto dall’omonimo manga di Minoru Furuya pubblicato nel 2001, Himizu è una pellicola di Sion Sono presentata alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ricevendo il premio Marcello Mastroianni di migliori attori emergenti a Shōta Sometani e Fumi Nikaidō.

Ci troviamo in Giappone dove la triste vita dell’adolescente Sumida (Shōta Sometani) si consuma fra i banchi di scuola e casa, od almeno ciò che sembra esserlo. Vive vicino ad un laghetto dove aiuta la madre a gestire un noleggio di piccole barche, anche se il più delle volte passa le giornate ad assistere agli incontri sessuali occasionali di lei, finendo per essere sbattuto fuori casa. Il padre invece è uno scapestrato, assente per la maggior parte del tempo e sommerso dai debiti. A tenergli però compagnia ci sono gli strambi vicini di casa, una piccola comunità di derelitti sopravvissuti al disastro di Fukushima che hanno perso ogni fortuna. Sumida vuole condurre una vita silente, quanto più tranquilla e normale possibile. A differenza dei suoi coetanei non ha grandi aspettative per il futuro, ma a spronarlo ed incitarlo c’è la compagna di classe Chazawa Keiko (Fumi Nikaidō), innamorata follemente di lui che condivide con Sumida una situazione famigliare poco piacevole. Nel corso del film Sumida si ritroverà ad affrontare la violenza, fisica e psicologica, del padre e quella di una società che gli nega ogni possibilità di riscatto personale.

Per quanto siano presenti tutti i temi cari al regista nipponico, Himizu si discosta fermamente dal resto della sua filmografia per la componente ottimistica e la speranza che traspaiono durante il finale della pellicola. Sion Sono è sempre stato un regista che ci ha mostrato gli aspetti più marci ed opprimenti della società giapponese, evidenziandone l’alienazione e l’impossibilità di elevarsi come individuo all’interno del macrocosmo che è il Giappone, ma questa volta qualcosa è cambiato.
Inizialmente il soggetto doveva essere molto simile a quello dell’opera originale, cioè il manga, ma i terrificanti terremoto e tsunami che si sono abbattuti nel marzo 2011 hanno portato il regista a rivoluzionare la sceneggiatura del film, introducendo proprio questa catastrofe e le sue conseguenze all’interno di Himizu. A differenza di altri suoi colleghi che hanno prontamente sospeso i loro lavori in corso, Sion Sono ha coraggiosamente scelto di continuare, di portare l’opera ad un livello più realistico, umano e toccante, abbracciando le vite di tutte le vittime e di coloro che hanno sofferto quella tragedia sulla propria pelle. Come ha dichiarato lui stesso durante la presentazione del film a Venezia: “Mi sono sentito in dovere di riprodurre in qualche modo questa realtà nel film. Per me è stata un’esperienza molto intensa e dura dirigere un film e collegarlo al mondo reale che avevo sotto gli occhi in quel momento. Questa è la storia di un ragazzo e di una ragazza che si confrontano con la loro orrenda realtà.”

A fine film vediamo i due protagonisti correre ed urlare a squarciagola “Ganbare!” che in giapponese significa “coraggio, non mollare, non arrenderti”. Questo non è solo il grido di due giovani, soffocati dalle proprie famiglie opprimenti e da una società ancor più asfissiante; questo è anche l’urlo di Sion Sono, un incitamento al Giappone a rialzarsi, a combattere le proprie battaglie, a risollevarsi dal dolore. Himizu è un autentico grido di speranza.
Il film non è visivamente audace quanto le opere precedenti del regista, sicuramente meno violento ed estremo di Love Exposure, Suicide Club o Strange Circus, pellicole che hanno degnamente affermato il regista nel panorama cinematografico non solo giapponese ma anche internazionale, ma Himizu a differenza dei suoi predecessori è sicuramente un titolo che arriva al cuore, trasmettendo disperazione, calore e fervore. Una narrazione ellittica e vari simbolismi portano il film a descrivere l’ardua rinascita dei protagonisti, giovani soppressi dalle figure genitoriali, costretti ad ucciderli (metaforicamente e non) per poter sopravvivere.

Un tema profondamente caro al regista e che ritroviamo in un po’ tutto il suo cinema è l’alienazione comunicativa che affligge il nucleo familiare. Regolata da un rigido ed inflessibile controllo, la famiglia giapponese descritta da Sion Sono vive in un profondo stato di disagio e caos, una carcere che ingabbia le identità individuali dei suoi componenti, in particolare dei figli. Nella famiglia di Himizu la comunicazione è assente e quando avviene sfocia nell’abuso e nella perversione. Il claustrofobico microcosmo familiare risulta così violento, aggressivo, disarmante, ma d’altronde fu lo stesso regista a dichiarare che per lui l’odio è l’emozione che più di tutte include l’amore. Insomma, per Sion Sono non esistono famiglie felici.
“I know flies in milk.
I know the man by his clothes.
I know fair weather from foul.
I know the apple by the tree.
I know the tree when I see the sap.
I know when all is one.
I know who labors and who loafs.
I know everything but myself.”
Questo è il monologo recitato dalla protagonista Chazawa Keiko nel corso del film, tratto da una poesia di François Villon. “Io conosco ogni cosa. Ogni cosa eccetto me stesso.” Sono parole forti, crude, essenziali, che descrivono perfettamente i personaggi di Himizu, in particolar modo Sumida, perché lui non è solo un adolescente oppresso dal mondo che lo circonda, Sumida è lo specchio dell’intero Sol Levante messo in ginocchio dalla crudeltà, propria e della natura.

Quello narrato da Sion Sono è un universo dominato da diavoli che si aggirano fra noi, che mangiano al nostro tavolo, che condividono il nostro spazio e tempo, che si nutrono della nostra umanità. E Sumida vuole essere semplicemente ordinario, forse perché essere straordinari in questo mondo è impossibile. Forse perché dinanzi a tanta ferocia e crudeltà è meglio vivere con la testa abbassata, come delle talpe che si nascondono sotto terra (il titolo stesso del film significa proprio talpa).
Ma il regista dice no, Chazawa dice no e Sumida stesso inizia pian piano a crederci, a volersi riscattare, a realizzare che anche lui è degno di una vita migliore, perché gli sbagli dei genitori non dovrebbero mai riversarsi sui figli.

Eccezionali e toccanti le interpretazioni di Shōta Sometani e Fumi Nikaidō che hanno conferito al film freschezza ed umanità. Himizu è una piccola perla all’interno del vasto campionario di film estremi di Sion Sono, un gioiello che arriva dritto al cuore dello spettatore.
– Angelica