The biggest challenge doing Dune was by far to deal and master with Timothée’s hair…
because it’s alive and I have to direct Timothée and his haircut”.

Scherza così il regista québécois Denis Villeneuve durante la conferenza stampa veneziana di Dune, presentato Fuori Concorso durante la 78a edizione della Mostra internazionale d’Arte Cinematografica. Quasi come un miracolo il 3 settembre è giunto, il Lido gremito di gente ha avvolto la delegazione del film come il verme delle sabbie inghiottisce chiunque passi per la sua strada. Finalmente l’ultima fatica di Denis Villeneuve è stata consegnata nelle mani del pubblico. Dune è nostro.

Dopo la versione non del tutto riuscita di David Lynch (1984) e il tentativo incompiuto di Alejandro Jodorowsky (2013), è il turno di Villeneuve che con mano salda e idee precise dà vita alla sua personale visione del romanzo sci-fi di Frank Herbert (1965).

In un futuro remoto vi è Arrakis, noto anche come Dune, pianeta desertico su cui si trova la spezia, una sostanza pregiata e pericolosa in grado di allungare la vita, potenziare la mente umana e permettere viaggi nello spazio. Il pianeta è governato da un sistema feudale, in cui vi sono due casate in conflitto fra loro, gli Atreides e gli Harkonnen. Il controllo di Arrakis viene affidato ai primi, che scopriranno in seguito di essere stati traditi e che è in atto una congiura ai loro danni. Sarà Paul, giovane erede di Casa Atreides dotato di particolari poteri, a prendere le redini della situazione.

Lo afferma lo stesso Villeneuve: il suo Dune non sarebbe potuto esistere senza aver prima realizzato le altre opere che compongono la sua filmografia e che lo hanno portato fino a qui. Reduce dalla scottante delusione della versione di Lynch, non nutrivo interesse per l’universo nato dalla penna di Herbert. Tutte le mie aspettative e il forte desiderio di vedere il film erano riposti in Villeneuve – che si conferma tassello dopo tassello una mia personale costante cinematografica, ma anche una colonna portante del panorama mondiale – e in Timothée Chalamet. Per la prima volta in assoluto non ho intravisto nemmeno per un secondo il fanciullino che si è sempre celato dietro ogni sua interpretazione; la trasmutazione è completa, è cresciuto arrivando ad una maturità tale da poter reggere sulle sue esili spalle un film di tale portata. Enchanté. (Senza affatto dimenticare o tralasciare gli altri interpreti che condividono con lui lo schermo, i cui talenti si amalgamano e incastrano perfettamente. Rebecca Ferguson! Oscar Isaac! Javier Bardem! Charlotte Rampling!).

Oserei dire che ora esiste un cinema pre-Dune e post-Dune. Uscita dalla sala ero disorientata, faticavo a trovare le parole per descrivere le emozioni che ha suscitato in me, così come tuttora sto avendo difficoltà a dare una forma sensata ai miei pensieri. Dune è stato uno dei viaggi più incredibili che abbia intrapreso.

L’intento di Villeneuve era restituire sullo schermo un universo complesso ed intricato in maniera equilibrata, per poter permettere a coloro che non hanno familiarità col libro di ricevere tutte le informazioni necessarie evitando però di sovraccaricarle. Io sento di poter dire di essere la prova del successo dell’autore canadese.

Fin dal primo momento in cui veniamo introdotti alla storia spicca una forte dualità. Da una parte vi è la rappresentazione di un futuro che apparentemente non ci appartiene, ma se osservato attentamente è molto prossimo alla realtà e ci porta a mettere in dubbio i nostri stili di vita. In parallelo a queste tematiche sociali, ambientali ed anche politiche vi è una sfera introspettiva: Dune non è solo un viaggio verso la sopravvivenza e sull’evoluzione dell’umanità, è anche la ricerca dell’identità e del proprio posto nel mondo di un giovane ragazzo. La caratterizzazione dei personaggi è certosina, ogni elemento che compone quest’opera mastodontica è essenziale. È un incontro di talenti unici che coesistono l’uno in funzione dell’altra per dare (e mantenere in) vita una creatura monumentale. Una menzione speciale va sicuramente a Hans Zimmer, compositore di una colonna sonora che entra sotto pelle e rimbomba nelle vene. Zimmer reputa le donne i personaggi più potenti della storia, le tracce della soundtrack sono guidate da cori femminili sia per questa ragione, ma anche per conferire un’aurea più eterea ai paesaggi. È stupefacente.

Le luci si spengono, è come se la sabbia di Arrakis mi si appiccichi addosso, mi sento soffocare dal calore del pianeta della spezia nonostante l’aria condizionata regni sovrana nelle sale del Lido, il mio corpo trema sulla poltrona quando percepisce l’arrivo del verme delle sabbie. È la magia della sala. È Cinema.

Dune è stato sognato e approntato per l’esperienza cinematografica. Il grande schermo non è semplicemente un altro format, è il centro del linguaggio cinematografico. La forma originale. Quella che resisterà alla prova del tempo”.

Dune, dal 16 settembre al cinema. Fatevi questo regalo.

Marika