Di tanto in tanto mi è capitato di ritrovarmi all’interno di discussioni particolarmente accese riguardanti film e serie tv ed il più delle volte quando gli animi si animavano un po’ troppo ho pensato “Perché si stanno sgolando così per un parere personale?”. Non ho ancora trovato una risposta, se sia la forte passione o una testarda convinzione d’aver assolutamente ragione a portare certi soggetti a farsi gonfiare le vene del collo ed alzare la voce. Fatto sta che se c’è un argomento che ha sempre diviso le masse di appassionati di serie tv (oltre alle note questioni quali Lost è davvero una serie rivoluzionaria?, Breaking Bad è eccessivamente sopravvalutata? e Chi non ama Twin Peaks è destinato ad un particolare girone dell’inferno?) è senza ombra di dubbio AMERICAN HORROR STORY.
Appena il tempo di nominare questo titolo che iniziano gli schieramenti: chi venera l’intera serie, chi difende a spada tratta una determinata stagione presa di mira da tutti, chi piange lacrime amare per l’abbandono di Jessica Lange (ma probabilmente questo lo facciamo tutti, ammettiamolo…) e poi ci sono io con la mano destra alzata in segno di pace. Penserete che la mia sia una richiesta di resa, ebbene no: le mie due dita ben tese simboleggiano le due sole stagioni che ho amato con tutto il cuore e che per me sono l’anima ed il corpo di American Horror Story e sto parlando delle prime due, Murder House ed Asylum.

Giusto per farvi capire quanto ero (e sono) ossessionata da queste due stagioni, ho seriamente pensato di tatuarmi qualcosa a tema e quel desiderio tutt’ora alberga nella mia mente e sono certa che un giorno riuscirò nella mia impresa. E probabilmente è proprio per questa mia grande ammirazione per quei due specifici titoli che nel corso degli anni ho sofferto profondamente nel vedere una serie tv come AHS perdere le sua fondamenta più salde, crollando di volta in volta nel baratro delle idee riciclate (male), delle sceneggiature poco solide, di soluzioni di trama al limite del ridicolo. Ammetto che nel corso del tempo ho intravisto qualche bagliore di speranza, qualche cenno di ripresa: Freak Show e Cult in particolar modo potevano fare la differenza e risollevare il nome della serie, ma il problema di Brad Falchuk e Ryan Murphy, gli ideatori della nota antologia dell’orrore, è che spesso e volentieri inseriscono troppi elementi che non sanno gestire, finendo per buttare tutto in caciara e lasciatemelo dire: oramai di horror è rimasto ben poco in American Horror Story che è ahimè diventata la sagra del camp e della black comedy. E la decima stagione dal titolo Double Feature ne è la prova.

A differenza delle stagione precedenti, Double Feature si divide in due parti: Red Tide (sei episodi) seguita da Death Valley (quattro episodi).
Red Tide ci presenta quella che pare essere una comune famiglia composta da Harry Gardner (Finn Wittrock), sua moglie incinta Doris (Lily Rabe) e la loro figlia Alma (Ryan Kiera Armstrong), trasferiti da New York City a Provincetown per dare una svolta alla loro vita. Si assapora sin da subito un rimando alla primissima stagione Murder House, specialmente quando la nuova dimora dei Gardner viene presentata come una casa spettrale e oscura, ma in questa stagione il male risiede al di fuori delle mura dell’abitazione.
Harry è uno sceneggiatore di serie tv scadenti, con centinaia di pilot alle spalle che non hanno mai preso il volo; Doris vuole ristrutturare casa per darle un nuovo aspetto più moderno dopo aver vinto un concorso di design d’arredo su Instagram; Alma sogna di diventare la più giovane e brava violinista del mondo e si esercita ogni giorno sulle note di un arduo componimento di Paganini. Ognuno di loro ha una personale missione, una prova per affermarsi o riscattarsi, ma c’è sempre qualcosa che li frena, che sia un blocco dello scrittore o l’ansia di fallire.

Un giorno però in un bar del paese Harry fa la conoscenza di due distinte figure: la nota scrittrice di romanzi erotici Belle Noir (Frances Conroy) ed il giovane sceneggiatore di successo Austin Sommers (Evan Peters). Quest’ultimo offre a Harry una sorta di cura alla sua mancanza d’ispirazione che lo paralizza da tempo dall’ultimare il suo nuovo lavoro. Si tratta di una misteriosa pillola nera che amplifica le capacità di chi ha talento, condannando però chi la assume ad una sete sfrenata di sangue. E chi invece non è particolarmente dotato e prende questa pillola? Beh, a loro spetta un destino assai peggiore: una progressiva trasformazione in zombie senza coscienza (chiamati Pallidi), capaci solo di divorare ogni essere vivente che gli si presenta davanti.

Harry dopo un rifiuto iniziale decide di assumere il farmaco e sviluppa sin da subito un’irrefrenabile stimolo che lo porta a scrivere la sceneggiatura di un’intera serie tv in una sola notte. Ma ogni azione ha le sue conseguenze e il ritrovato genio creativo verrà accompagnato dai disastrosi effetti collaterali della misteriosa pillola. La situazione peggiora ancor di più quando anche la piccola figlioletta Alma, insoddisfatta dei suoi lenti progressi al violino, prende di nascosto una pillola nera condannando il padre Harry a sporcarsi le mani procurandole sangue fresco e dunque uccidendo per lei.

L’interrogativo che ci viene posto da Ryan Murphy e Brad Falchuk è molto chiaro: fin dove si è disposti ad arrivare per perseguire il proprio sogno? Per i protagonisti di Red Tide la risposta è semplice: tutto è sacrificabile per l’altare dell’arte. Nutrire il proprio talento e raggiungere gli obiettivi preposti portano al divorare le vite altrui (in questo caso letteralmente), a consumare tutto ciò che si ha attorno compresa anche la propria famiglia se necessario. Essere senza doti è la nuova condizione di povertà sociale e chi non comprende tutto ciò viene tagliato fuori. C’è una certa bramosia nel raggiungere l’apice del successo, un sapore di vittoria ed appagamento che non hanno eguali e non a caso a rappresentare questi esseri divoratori di vite sono proprio i vampiri, una versione molto più alla Nosferatu che all’immagine “moderna” dei succhia-sangue a cui il cinema ci ha abituato negli ultimi anni.

Ma non bastano le straordinarie performance dei nostri adorati beniamini (Evan Peters, Frances Conroy, Sarah Paulson e Lily Rabe) a sostenere il peso di Red Tide che, man mano che si avvicina al suo epilogo, sprofonda in una pochezza dei contenuti che cancella tutto il buono fatto in precedenza. Ed a peggiorare ancor di più la reputazione di questa decima stagione è la sua seconda parte, Death Valley, una vera e propria apoteosi del ridicolo, uno spreco di opportunità (per gli ideatori di AHS) e di tempo (per noi).

La narrazione dei quattro episodi salta da un’era all’altra, passando dal 1954 col presidente degli Stati Uniti Eisenhower in carica al 2021 con un gruppo di giovani misteriosamente rapiti dagli alieni che li mettono incinti (ebbene sì, ragazze e ragazzi senza alcuna distinzione).
Death Valley porta la sola firma di Brad Falchuk il cui intento era quello di omaggiare il cinema di fantascienza e l’ossessione degli americani per la figura degli extraterrestri. Beh, missione fallita! Se l’obiettivo di Falchuk era quello di dare vita ad una storia prettamente camp, in quel caso può esserne soddisfatto, ma non è di certo ciò che ci s’aspettava da AHS. Insomma, se volessimo del sano e onesto trash guarderemo Scream Queens.

Death Valley mette in tavola cospirazioni e complotti, suggerendo risposte alle più popolari curiosità, come chi ha assassinato il presidente John F. Kennedy o il reale scopo dell’Area 51 ed indovinate un po’: c’entrano proprio gli alieni. Peccato che la rappresentazione di queste creature precipita nello stereotipo, non convincendo per niente lo spettatore e distruggendo ogni possibilità di offrire una visione diversa dell’alieno da quella che già ci è stata propinata nel corso del tempo. Risulta assai complesso prendere sul serio questa chiusura di stagione e ancor più sconsolante ammettere che molto probabilmente Death Valley riesce a battere persino Roanoke in quanto a peggior storia raccontata nell’altalenante universo creativo di American Horror Story.

La delusione per Double Feature è incrementata dal fatto che le aspettative per questa decima stagione erano alte, sia perché le atmosfere di Red Tide rimandavano alle prime stagioni, tanto amate dai fan, sia perché Death Valley ed il tema degli alieni potevano collegarsi ad Asylum rispondendo così ai punti interrogativi lasciati dalla seconda stagione. Ma a quanto pare Murphy e Falchuk hanno dimenticato (da tempo) di assumere la magica pillola nera ed il talento si è un po’ perso per strada. Almeno abbiamo avuto modo di ammirare la bravura di Macaulay Culkin che nella prima parte ci ha regalato la miglior performance dell’intera stagione.
Angelica
