
Ci sono meraviglie conclamate, aspettative eccessive e incessanti attese mischiate al terrore che una cocente delusione possa celarsi dietro l’angolo. The Batman (2022) di Matt Reeves è tutto questo – meno la delusione, che a mio parere, possiamo trasformare in appagante soddisfazione. Il rilancio di Gotham City e del suo Cavaliere è un omaggio all’opera tutta e, dalla carta, attinge a quell’atmosfera gotica e del sentimento oscuro, il quale consuma, ma il logorio anziché sfibrarti, fa crescere inesorabile il bisogno di averne ancora.

Un caloroso benvenuto a tutti voi nella città di Gotham, presentata in tutto il suo degrado, contornata da un’incessante pioggia battente che trasuda marciume e orrore. Gotham ti fa male, può essere la trappola dalla quale non vuoi fuggire, ma che merita, al tempo stesso, di scattare e liberarsi dal giogo di chi vuole vederla fallire. Gotham è lo specchio dove, da sempre, abbiamo visto il riflesso del Cavaliere Oscuro, dell’uno che non possa esistere senza l’altro. E di quel riflesso Batman ne viene delineato come la città che sorveglia: silenzioso prima della tempesta, violento e incalzante all’occorrenza. Gotham a sua volta gli restituisce corruzione e malavita, celate entrambe nei bassifondi peggiori della città.
Mai come in questo film la città diventa vera e propria protagonista dell’opera, facendoci immergere nei suoi labirintici vicoli ricolmi di criminalità, dove regna l’oscurità. Ed è proprio nell’ombra che opera il nostro Cavaliere Oscuro (Robert Pattinson), così giovane e così grezzo.

Come ci suggeriscono le parole dei Nirvana, something in the way lo spinge ad indossare il suo costume, lasciare la sua dimora e scovare ogni traccia di delinquenza. Il motore di tutto ciò è la vendetta, non abbastanza goduriosa ed appagante da portargli pace nel cuore, ma al tempo stesso una scarica di adrenalina che lo induce a proseguire nel suo viaggio.

È Halloween, nelle strade si riversano maschere e goliardia, ma non c’è spazio per alcun innocente dolcetto o scherzetto: il sindaco viene cruentemente assassinato da un serial killer pochi giorni prima della sua potenziale rielezione, lasciando dietro di sé il primo di numerosi corpi mutilati ed indizi sparsi qua e là sulle scene del crimine. L’élite di Gotham trema dinanzi all’Enigmista (Paul Dano), che in The Batman presenta un profilo psicologico molto similare a quelli del Joker e di Jigsaw (villain della saga di Saw – L’Enigmista). Nessun procuratore, giudice, ufficiale di polizia è al sicuro qualora abbia percorso la strada della corruzione.

Ed è proprio qui che Batman e l’ispettore Gordon (Jeffrey Wright) setacceranno ogni club della malavita, indagando senza sosta (e sì, finalmente vedremo il nostro caro pipistrello fare il lavoro del detective) ed incontrando singolari figure come il boss del crimine Carmine Falcone (John Turturro), il suo scagnozzo Oswald Cobblepot comunemente chiamato Pinguino (Colin Farrell) e la sfuggente e sensuale Selina Kyle (Zoë Kravitz), la talentuosa ladra che noi tutti conosciamo col nome di Catwoman e che si alleerà col Cavaliere Oscuro per smascherare gli inganni e i torbidi segreti che albergano a Gotham.
“They think I’m hiding in the shadows, but I am the shadows.” – (The Batman, 2022)

Batman e Bruce Wayne, Bruce Wayne e Batman. Una maschera che cela l’identità di chi la indossa ma non la profondità del suo dolore. Ci troviamo davanti ad un Cavaliere introverso, distaccato e scostante, raggelato dal tumultuoso peso che porta dentro di sé, un lutto che non riesce a perdonare, lo squallore che lo circonda e che non osa giustificare.
Ciò che ha sempre reso molto amato il personaggio di Batman è la sua mancanza di superpoteri compensati però da un’impareggiabile perseveranza e dedizione nel ripulire le strade di Gotham dalla criminalità, senza mai commettere omicidio. Ed in questo film non si può che apprezzarlo ancor di più perché ci mostra ciò che precedentemente non avevamo mai visto: le sue insicurezze. Non ci troviamo davanti al supereroe senza paura alcuna capace di ogni impossibile impresa, bensì ad un Batman alle prime armi che sbaglia, cade e trema. Quello interpretato da Robert Pattinson è la rappresentazione dell’impotenza dinanzi al male, di cui lui stesso cade vittima, perché alla fine dei conti Batman è semplicemente la cicatrice cresciuta sul volto di Bruce Wayne, il frutto di un trauma ancora in corso d’opera.
Ci si rispecchia in questo ragazzo, inevitabilmente il suo sentirsi fuori posto e inadeguato diventa uno specchio col quale osservare i nostri stessi profili, perché chi di noi non si è mai sentito un pesce fuor d’acqua in questo mondo così disumano?

Con l’assetto dei monologhi, il film intende definire i primi anni del Crociato e lo fa attraverso pensieri plasmati in dubbi e dicotomie. È una travagliata giovinezza shakespeariana che fa capolino oltre la maschera e nonostante il minutaggio di Robert Pattinson in costume sia ben superiore rispetto a quello del civile, l’anima in subbuglio dell’orfano magnate di Gotham City rappresenterà un’ombra ben più possente del suo alter ego. Bruce Wayne è qui ancora un ordine in divenire. È Vendetta prima di essere Batman, è rabbia e pugni tesi, prima di diventare giustizia. Ma la sua è una metamorfosi lenta e procedurale, in cui da pipistrello avvolto nell’oscurità diverrà un fascio di luce e speranza per gli abitanti di Gotham.

L’enorme fascino umano, che questo film riesce a mettere in scena, lo deve in gran parte alla scelta di definire il personaggio, ormai iconico, in quello scorcio del sé ancora nel bozzolo e a svilupparlo, in ciò che è sempre stato tra le pagine, solo sul suo finire. Gotham e Batman si fondono in un dipinto che attinge dunque dalle pennellate di Johns e Frank il fallibile e vulnerabile Dark Knight di “Terra Uno”, di Loeb e Sale “Il Lungo Halloween” sfondo solido d’atmosfera e personaggi e di Miller e Mazzucchelli con “Anno Uno” sposato perfettamente alle trame dei sopracitati, creando per il film una storia ex novo.

Della percezione sensitiva che permea l’opera e che scivola dal thriller al noir senza difficoltà, si coglie un setting gotico, più ambiguo e sporco – sicuro omaggio all’estro creativo di Azzarello (Joker e Città Spezzata) – mescolato al contrasto di colori freddi e caldi – simil “Città del Crimine” di Lapham e Bachs. La vena così realista combacia con ogni scelta più fumettistica del caso, ponendo forse qualche doveroso paragone con la trilogia nolaniana – opera prima nel suo realismo impeccabile. Il passaggio a setaccio però, sarà solo in onore del nostro Cavaliere Oscuro, celebrato con grande orgoglio e stima da entrambi i registi. Batman è ormai un topos, un simbolo. Matt Reeves, come ogni artista del campo che si rispetti, dimostra d’aver osservato, colto e portato con sé ogni peculiare aspetto di chi lo ha preceduto.
Non è passato molto tempo da quando un film dichiarò apertamente quale strada possa intraprendere il cinema fumettistico. Era il 2019 e Todd Phillips presentò il suo Joker, un lampante esempio di come un’opera che ha avuto origine da un fumetto sia tutto tranne che un cinecomic. E The Batman di Matt Reeves non è da meno, nei suoi 176 minuti trova più affinità a film come Se7en, Zodiac e The Warriors rispetto a tutto ciò che ha creato Zack Snyder o il mastodontico MCU. Non c’è spazio per la comicità, per la teatralità della risata, per la saturazione esplosiva di paesaggi e costumi.

The Batman miscela sapientemente noir e grunge, assume la verve dei thriller degli anni ’70 e pur consapevole del proprio posto all’interno della cultura pop, attinge dalla tradizione dei fumetti per reinventare in maniera audace la figura del giustiziere. In The Batman possiamo trovare un po’ Nolan, un po’ Burton e potremmo spendere intere serate a discuterne con gli amici, ma non cambierà il fatto che, da un immaginario collettivo condiviso, Reeves abbia forgiato qualcosa di nuovo, da materia conosciuta abbia restaurato qualcosa che smentirà l’insofferente in sala: la creatura di Bob Kane e Bill Finger è più viva che mai e non smette d’incantare.

The Batman è puro cinema, un’accattivante e seducente splendore per i nostri occhi, un’orgasmica esperienza visiva in cui spicca il magistrale lavoro del direttore della fotografia Greig Fraser, fresco di nomination ai prossimi Academy Awards con Dune di Denis Villeneuve. Le luci dei neon si fondono con la pioggia imperturbabile, le silhouette e le ombre regalano tensione e suspense. E in tutto questo contrasto accentuato che ci rimanda alle atmosfere cupe di Sin City di Frank Miller, risaltano le vampate di rosso e arancione, simboli di forza e vigore, in alcuni momenti anche di speranza se pensiamo ai meravigliosi tramonti che fanno da sfondo alle scene più intime e profonde.

Ed a contornare cotanta meraviglia estetica vi è la colonna sonora di Michael Giacchino, graffiante come le unghie che scavano una voragine nei nostri pensieri. Giacchino parla a Batman, a Gotham, a noi spettatori e lo fa mettendo un’anima nelle sue musiche.
Non possiamo non menzionare lo straordinario cast che è stato capace di levare la maschera fumettistica per regalarci delle performance fresche e moderne. In primis Robert Pattinson, uno dei migliori attori della sua generazione che non smette mai di mettersi alla prova collaborando con autori di tutto rispetto, da Cronenberg a Eggers.
Paul Dano ha dato vita ad un villain singolare la cui astuzia, celata da un aspetto tutt’altro che intimidatorio, ci ha magistralmente donato momenti agghiaccianti.

Zoë Kravitz ci ha ammaliato con la sua Selina Kyle, così selvaggia, dirompente e felina, dando vita ad una chimica innegabile ed una certa tensione sessuale con Batman.
Menzione speciale a Colin Farrell, un Pinguino alle prime armi ma con degli sviluppi assai promettenti, a tratti tragicomico e goffo quanto l’animale a cui è paragonato, protagonista di una delle scene d’azione più eclatanti e registicamente meglio riuscite del film: l’inseguimento in macchina fra lui e Batman al volante di una Batmobile molto simile alle vetture modificate e punk presentate in Mad Max: Fury Road.


La bellezza di The Batman sta nella sua reinvenzione. Ogni volta che esce dall’oscurità ci mostra qualcosa di più di sé, ci porta ad interrogarci inevitabilmente su noi stessi, sui principi morali ed i dogma della nostra società. Il film di Matt Reeves sa essere maledettamente contemporaneo nel rappresentare una comunità fin troppo alienata dal pensiero urlato attraverso i media, che questi siano la televisione o il web. Gotham City in fondo non è poi tanto diversa dal mondo che conosciamo, un pianeta fatto a pezzi dalla disumanità e dall’egoismo che tenta di ricomporsi, di credere in qualcuno, un salvatore che può assumere vari volti. C’è chi pone la sua fiducia nel caos, chi nella giustizia (quella poca che c’è), chi in un stendardo di coraggio e moralità.

Ciò che Matt Reeves ha creato è forse il più oscuro capitolo dell’universo del Cavaliere Oscuro, un’opera senza timori e remore che cela nel suo epilogo un sospiro di sollievo perché per quanto Batman sia figlio stesso di quella Gotham tanto agognata e visceralmente corrotta, per quanto il cognome che porta sia un valore ma allo stesso tempo una condanna, per quanto la città sia una bocca dell’inferno in costante tumulto capace di divorare sé stessa, ci sarà sempre lui, il vigilante che opera nell’ombra pronto a salvarci, proteggerci e ricordarci che non può piovere per sempre.
Angelica & Laura