Era il 15 marzo 2019 quando su Netflix arrivò Love, Death & Robots, serie antologica d’animazione che fu un vero e proprio colpo di fulmine per moltissimi, tanto da paragonarla all’originalità di Black Mirror.
Satira, splatter, sci-fi: questi sono solo alcuni dei componenti chiave che potete trovare in questa serie. Ma diciamocelo, la seconda stagione non ha raggiunto il livello qualitativo altissimo del lancio e non nascondo che all’annuncio di una terza stagione ho maturato diverse perplessità.
Fortunatamente mi sono ricreduta!

La terza stagione di Love, Death & Robots, pur essendo un mix di alti e bassi ed avendo solamente nove cortometraggi animati, mette in tavola tutti i temi cari alla serie, non risparmiandosi in poco velate critiche al genere umano, così ingegnoso ma allo stesso tempo avido e autodistruttivo.
Certo non si può dire che ogni singolo episodio sia originale, d’altronde Love, Death Robots è fedelissima al suo nome e dunque scenari post-apocalittici e conflitti fra uomini e macchine sono all’ordine del giorno, ma l’intrattenimento è assicurato.


A spiccare su tutti i corti è sicuramente Jibaro diretto da Alberto Mielgo, non nuovo all’universo della serie avendo presentato nella prima stagione The Witness.
Una “sirena” tempestata di diamanti e oro con la sua voce e le movenze suadenti attira a sé come una calamita un esercito che aveva osato avvicinarsi troppo alle sponde di un lago. Le sue urla portano alla pazzia ogni uomo lì presente, conducendoli ad una morte cruenta, ma un soldato è riuscito a salvarsi, un sordo che non potendo percepire il canto della sirena è totalmente immune al suo potere. I due si studiano, prima da lontano fino ad avvicinarsi, toccarsi, abbracciarsi, creando una danza d’amore e morte. Il soldato, così ammaliato dalle pietre preziose di cui è rivestita la creatura dinanzi a lui, decide di stordirla e strapparle di dosso ogni gemma luccicante, fuggendo col bottino e lasciandola esamine in un bagno di sangue. Ma la vendetta non tarderà ad arrivare.

Jibaro indubbiamente ammalia (come la sua protagonista) per la minuziosa cura dei dettagli e la bellezza scenica, contornata da un utilizzo intelligente del comparto sonoro. È un corto che si presta a differenti interpretazioni, quella di una relazione tossica fra due predatori interessati unicamente al loro tornaconto ma anche una critica all’operato dell’uomo nei confronti della natura. Non è un mistero quanto il genere umano nel corso dei secoli abbia devastato e usufruito senza ritegno delle risorse di madre Terra, ma la natura trova sempre il modo di ribellarsi, esercitando tutto il suo potere distruttivo.


Altro cortometraggio con una marcia in più è Bad Travelling, il debutto nel mondo dell’animazione del noto regista David Fincher basato su un racconto di Neal Asher.
Un gigantesco granchio divora parte dell’equipaggio di una nave ed è intento ad attraccare all’isola più vicina per continuare il suo pasto, ma un astuto marinaio decide di non sottomettersi al volere della viscida bestia e cercherà di combatterla.
Lungo il corso dell’episodio scopriamo che il granchio in realtà è una femmina e che ha dato alla luce centinaia di cuccioli intenti a cibarsi dei membri dell’equipaggio. Questo è sicuramente un velato riferimento alla saga di Alien, alla quale Fincher ha preso parte dirigendo il terzo capitolo Alien³ nel 1992. La creatura pedatrice di H.R. Giger ha una fisionomia scheletrica, meccanica, una lunga coda munita di uno spuntone ed il suo sangue è un letale acido capace di corrodere anche le pareti di un astronave. In Bad Travelling il granchio non ha l’aspetto di uno xenomorfo, ma è ugualmente terrificante. Dalla sua bocca scorgiamo una serie di zanne affilatissime, sangue e saliva che infettano l’aria. La sua progenie è esattamente come una colonia di uova aliene pronte a schiudersi per liberare tutta la loro insaziabile fame e il letale bisogno di prendere possesso dei corpi altrui per crescere, mutare, uccidere.

Questo corto animato non è solo un’epifania di morte e gore, Fincher vuole puntare ancora una volta la sua lente d’ingrandimento sulla bestialità dell’uomo evidenziando come quest’ultimo spesso e volentieri giustifichi le proprie azioni anche quando sono totalmente irresponsabili ed immorali. Non c’è giustizia divina che condanni la codardia dell’equipaggio, disposto a sacrificare un’intera cittadina per salvarsi la pelle, ma solamente le azioni di un uomo impavido e tutto d’un pezzo, un antieroe come quelli presentati in film come S7ven e Fight Club, qualcuno che consapevolmente sceglie di sporcarsi le mani a fin di bene.

Neal Asher torna alla scrittura di un altro magnifico episodio: Mason’s Rats diretto da Carlos Stevens. È decisamente più cartoonesco e presenta una vena comica che spicca in mezzo agli altri cortometraggi più horror e seriosi.
La trama è molto semplice: Mason è un vecchio contadino proprietario di una fattoria in Scozia. Scopre che il suo fienile è stato invaso dai topi e che questi sono più furbi di quanto ci si possa aspettare. Così Mason decide di ricorrere alle manieri forti chiamando una compagnia di disinfestazione che gli fornirà delle trappole ultra-tecnologiche.

La lotta si fa intensa ma i ratti non cedono alla resa, impossessandosi di uno dei robot e sfruttandolo per difendersi. Per contrastare il dominio dei roditori, Mason acquista un nuovo macchinario, una vera e propria mitragliatrice che sterminerà gran parte della colonia. Il contadino, dinanzi alla furia assassina della macchina ed alla tenacia con la quale i ratti lottano per salvare la loro famiglia, prova compassione e sceglie di annientare lo strumento infernale con un colpo di fucile e di lasciare i suoi ospiti pelosi liberi di vivere.
Mason’s Rats è una storia genuina che vuole infondere un messaggio di solidarietà, specialmente quando si ha davanti una “specie” diversa. Uomini ed animali posso convivere pacificamente e le differenze spesso possono essere colmate dal reciproco rispetto (e questo vale anche per tutto il genere umano).
Love, Death & Robots in questa terza stagione non ci risparmia momenti di pura satira, come i nostri affezionati e simpatici robot ci ricordano sin dalla primissima stagione. C’è spazio per chiunque in questa serie, per chi vuole restare suggestionato dall’estetica dell’animazione e per chi cerca un messaggio visionario dietro la storia, quell’x factor in più che rende Love, Death & Robots un prodotto senza eguali.


Angelica Lorenzon