Ci sono film che non hanno età, film che mantengono la loro freschezza, film che nonostante siano stati diretti quarant’anni fa sanno essere più che mai contemporanei. E Videodrome ne è un validissimo esempio. David Cronenberg nel 1983 realizzò quello che, a mio avviso, è il manifesto della sua filosofia cinematografica, fatta di body-horror, alienazione sociale, mutazione dell’identità, carne che diventa macchina. Videodrome è un puro costrutto cerebrale delle tendenze masochiste e sottomesse del genere umano, la testimonianza della nostra rovina come esseri pensanti.

Ho avuto il grande piacere di godere della visione della versione restaurata di questo film distribuita dalla Cineteca di Bologna grazie al progetto Il Cinema Ritrovato. Inutile dirvi l’emozione che ho provato nell’ammirare questo capolavoro di Cronenberg sul grande schermo!

Max Renn (James Woods) è il direttore di un’emittente televisiva che distribuisce contenuti dalla dubbia qualità, principalmente porno scadenti e perversi. Un giorno s’imbatte in un filmato piratato, così violento e disturbante da risultare reale. Scoprirà col tempo che quelle registrazioni provocano allucinazioni che lentamente lo consumano e divorano, fino a disconnetterlo con la realtà, portandolo ad atti di una ferocia inaudita.

Videodrome è un film che trasuda lo stile degli anni ’80, sia per la sua estetica che per gli effetti speciali animatronici, ma ciò che lo contraddistingue è il suo tema centrale che è socialmente consapevole di essere più che pertinente ad un contesto odierno. È un film realizzato nell’era delle VHS, tempi che ora ci paiono molto lontani, ma se sostituite le vecchie e care videocassette con la fruizione di internet il messaggio del film rimane invariato. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia facilita l’interazione umana quotidiana su scala mondiale, l’interconnessione è senza precedenti e le informazioni vengono elaborate e condivise rapidamente, come un mare in tempesta senza controllo alcuno.

Il protagonista di Videodrome s’interroga sulla pericolosità della diffusione di filmati provenienti da entità sconosciute e dalla dubbia morale. Questa è la satira di Cronenberg sul consumismo e sul culto della tecnologia, così facilmente fruibile quanto dannatamente rischiosa. Ma è proprio qui che emerge la genialità del regista perché diciamocelo pure senza fronzoli: il buon David ci conosce bene, forse fin troppo.  Egli è un maestro nell’attingere al nostro subconscio collettivo, sa come sconvolgerci tanto quanto tenerci incollati allo schermo nonostante ciò che stiamo vedendo ci disturbi. Per quanto il film metta in mostra la progressiva follia del protagonista, Cronenberg ci serve un’autoanalisi, una riflessione sulle nostre paure e su quei desideri che teniamo ben celati, il nostro personale demone sotto la pelle. Ci seziona ed espone al mondo le nostre fragili interiorità tanto quanto i contenuti torture-porn immortalati sulle cancerogene pellicole di Videodrome.

È la dicotomia di Cronenberg, è la dicotomia di Videodrome. Il suo cinema è pulsante e viscerale, eppure non possiamo farne a meno. È l’orrore allucinatorio che ci attrae, è il provare quel brivido di piacere nell’osservare e sentirsi osservati di rimando. Siamo lì, comodamente seduti sulla nostra poltrona che assistiamo ad una donna che spegne una sigaretta sul proprio petto. Il protagonista fa un passo indietro, spaventato, vagamente inorridito ed incredulo davanti a quel gesto perverso, eppure i suoi occhi sono focalizzati sulla cenere che si fonde con la pelle nuda di lei. E noi come lui trasaliamo, per un attimo distogliamo lo sguardo dal grande schermo, ma poi rieccoci lì fissare l’immagine davanti a noi. Il film di Cronenberg è terribilmente profetico nell’evidenziare le connessioni fra violenza, sesso e tecnologia.

“Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell’uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione.” (Brian O’Blivion)

Ogni forma di mass media ha da sempre promosso la sessualità come contenuto d’intrattenimento, sia in Videodrome che nella nostra realtà quotidiana. In particolar modo è il corpo femminile a divenire oggetto e desiderio dello spettatore, mero strumento del piacere visivo. Per Cronenberg il sesso è la valvola di sfogo di una società repressa e non c’è da stupirsi di come il pubblico di Civic TV sia affascinato davanti alle riprese violente nei confronti delle donne. I filmati registrati su Videodrome altro non sono che snuff movie, film che riprendono torture reali non esenti da conseguenti morti. Max Renn non è in alcun modo disgustato davanti a cotanta violenza, anzi ne risulta affascinato, questo perché oramai i suoi standard sono mutati, è insensibile alla classica pornografia e prova un piacere diabolico solo nella perversione.

In un’intervista Max cita Freud e non è un fatto così casuale dato che quest’ultimo sosteneva che il masochismo fosse fortemente radicato nella psiche femminile. Le vittime dei filmati di Videodrome sono infatti donne; Nicki Brand (amante del protagonista interpretata da Debbie Harry) prova piacere nel mutilarsi e non lo nasconde. Da qui la scelta di Cronenberg di rendere femmineo il corpo di Max che nel corso del film svilupperà una fessura nel suo addome, vagamente simile ad una vagina. In contrapposizione, la sua mano si tramuterà in una pistola, da sempre simbolo del genere maschile. Max dunque diviene sia uomo che donna, libero dall’oppressione sociale e destinato ad evolversi in qualcosa di nuovo, in nuova carne.

Essa si scinde, si spezza, si scioglie e s’amalgama a parti meccaniche. Il corpo umano diventa innaturale, lontanissimo dalla forma biologica della nascita. I pensieri ed i sentimenti perdono di unicità, l’identità non è più sacra ma contaminata da fattori esterni, che siano essi persone o pensieri. Ma ciò che il regista vuole comunicare è che la vera arma distruttiva non è la trasmissione di Videodrome, non è il lavaggio del cervello che ne consegue, ma la televisione stessa che porta il pubblico a distaccarsi dalla realtà stabilendo quella che è una connessione fittizia con lo schermo a tubo catodico.

Cosa rende Videodrome un film terrificante? Che le fantasie narrate da Cronenberg ora sono parte della nostra quotidianità. Stiamo assistendo alla lobotomia di una società ad opera dei mass media.

Morte a Videodrome. Gloria e vita alla nuova carne!

Angelica