“È un giallo. Visto uno, li hai visti tutti”.

Disse See How They Run, film che consacra la stagione autunnale dei whodunit al cinema e rientra, con orgoglio, nel Rinascimento del Giallo che ha colpito sale e piattaforme in questi ultimi anni. Si tratta di un signor debutto sul grande schermo per Tom George, il quale imbastisce, con la sua regia, quadri simmetrici e patinati delineati dalla formula scritta di Mark Chappel. La sceneggiatura gioca d’azzardo, lancia il segreto, la sua soluzione e, un po’ come direbbe Michael Caine in “The Prestige”: in realtà non lə troveremo, sotto sotto ciò che vogliamo, è essere ingannati. Il trucco che mette in scena è semplice e vuole essere funzionale all’intrattenimento che intende offrire. George e Chappel decostruiscono quel che ci aspettiamo da un delitto risolto come si conviene e ci chiedono di abbandonare i preconcetti in favore di qualcosa che, infine, avverrà comunque. Costruire per demolire, banalizzare per svecchiare. Seguendo una pulizia e un’estetica quasi maniacali – mai come l’occhio di Wes Anderson, ma ci andiamo quasi vicino – il film vuole essere una pantomima di sé stesso rasentando, laddove la camera parla per noi e per i personaggi, il metacinema. Così esplica al meglio l’intento d’infiorettare la storia nel proprio microcosmo calcando i cliché per sbeffeggiarli un attimo dopo. Vi sembra una sciocchezza, un metodo incongruo al mystery crime? Vediamo cos’altro è stato messo nel cilindro.

Il nostro incipit aprirà il sipario sulla centesima rappresentazione di “Trappola per Topi” (opera teatrale scritta da Agatha Christie e tratta dal suo racconto “I Tre Topolini Ciechi” che, ci tengo a ricordare, va tutt’ora in scena!), come da copione il West End di Londra verrà scosso da un crimine efferato e l’ispettore Stoppard (Sam Rockwell), insieme all’agente Stalker (Saoirse Ronan), sarà chiamato alle indagini per scovare il misterioso assassino. La voce fuori campo del problematico regista Leo Kopernick (Adrien Brody) – colui che scopriremo presto essere la nostra vittima – si fa narratore delle vicende e diventerà, in parte, la chiave del processo destrutturante enunciato poco sopra. I topos, illustrati con disprezzo da Kopernick e che a detta sua, rischiano di rovinargli il film (e dopotutto, sarebbe da folli non temere un fallimento nel campo, quando all’apice del genere c’è un nome quale Alfred Hitchcock), saranno gli stessi che arricchiranno i dettagli della sua morte combaciando ai tasselli del nostro film in visione in sala.
È tutto un sagace guazzabuglio inglese la cui vena più whimsical, rende la messa in scena tale da sfoderare la stessa autrice di Trappola per Topi come un Jolly inaspettato estratto dal mazzo. Mantenendo le proprie linee umorali, con la comparsa della carta vincente sul palco, il film ne delineerà un ritratto, se non veritiero, certamente consono al sardonico profilo dell’artista eccentrica fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i suoi libri e del cui risultato i suoi lettori si cibano …

See How They Run è un’opera che vuole giocare con lo spettatore fin dall’inizio. La sfilata di maschere quali presunti indiziati, cadenzata in singolari interrogatori, finisce in secondo piano tanto è forte l’impronta del caso stesso. Siamo noi, Stoppard e Stalker contro il mondo – e da quest’ultima rappresentati in quanto facile preda delle conclusioni troppo affrettate al primo astio svelato.

Non è solo un giallo che parla di un delitto, ma è un giallo che parla di sé stesso e della struttura su cui si basa un intero genere sin dai primordi. Nella sua modernità, diventa anche un film delicatamente puntuale, pensato e cesellato nella misura dal periodo corrente; di scrittori e scrittici che rivendicano la libertà di parola, di vittime inascoltate e sofferenti nel lutto, e di quanto sia fondamentale avere un pensiero in più piuttosto che uno in meno sulla gravità reale e la leggerezza romanzata.

Nelle sue tesi, antitesi e sintesi, See How They Run si traveste per mettersi a nudo e dimostra la propria consapevolezza senza prendersi mai troppo sul serio. Svela così il suo scheletro nell’armadio finendo per imbastire nella novità l’ovvio che tanto rifugge.
Eppure, ancora una volta, tutti noi siamo in sala per bearci dell’ennesimo giallo e ne usciamo alleggeriti e allietati.
Dopotutto, come diceva Hercule Poirot: “Uno specchio può mostrare a tutti la stessa verità, ma può esser vista da diversi angoli. Così come la morte è sempre affine a sé stessa, i delitti olezzano di banalità risultando tutti uguali ai più. Ciò non toglie, mon ami, che un buon crimine meriti sempre la nostra attenzione per essere risolto contro ogni diversa aspettativa”.
Laura
