It’s the most magical place in the world. Isn’t it?”

Una delle mie più grandi debolezze sono i film che parlano di Cinema. Cosa significa farlo e vederlo. Durante il primo lockdown che ha portato alla chiusura forzata dei cinema, Variety ha pubblicato un pezzo che parlava dell’esperienza in sala, della sua unicità e dei motivi che ci spingono ad andarci. “I go to the movies, though, is to escape. And that sometimes means… escaping my home. But it’s all to get to a different place that I call home. A place where it’s dark and safe and anonymous, but where that safety affords me the privilege of luxuriating in something adventurous or even dangerous. A place where I’m inside myself, but also out there in the universe.” Nellie LeRoy, l’aspirante attrice interpretata selvaggiamente da Margot Robbie, dice qualcosa di simile. Sentirla proferire quelle parole con così tanta convinzione ha ovviamente innescato qualcosa in me. Succede sempre. E continuerà a succedere. Non riesco a restare impassibile. Il Cinema sarà sempre il mio posto preferito al mondo, dove tutto è amplificato, ogni emozione è concessa e non ho nulla di cui vergognarmi o nascondere. Il velo cala, le maschere sono tolte. Tutto è permesso. Dare forma a quell’amore per il Cinema che io non so esprimere è uno dei modi per conquistarmi totalmente. Questo ha fatto Babylon.

Ispirata al libro “Hollywood Babylon” di Kenneth Anger, l’ultima opera di Damien Chazelle mette in scena l’ascesa e il declino del cinema muto ad Hollywood, coprendo dal 1920 al 1952. Babylon. La città lussuriosa. Luogo di esilio e oppressione. Quella bolla di illusioni in cui restano incastrati i protagonisti convinti di realizzare i loro sogni in un’industria che ti divora, mastica e consuma fino a risputare i tuoi resti. Le vite dei personaggi si sovrappongono, intrecciano e confondono in una baraonda caotica e sopraffacente. Una serie di coincidenze, “essere nel posto giusto al momento giusto”, porterà Manny – immigrato messicano interpretato dal folgorante Diego Calva – a ritagliarsi un posto sul set di un film di Jack Conrad (un Brad Pitt spumeggiante), star del cinema muto, e ad incontrare (ed innamorarsi) di Nellie LeRoy, aspirante attrice.

You don’t become a star, honey. You either are one or you aren’t. And I am.”

The Boogie Nights-itification of Singing in The Rain”. Babylon è una baraonda fra l’imprevedibilità del set che sta mutando, il sonoro che prende piede spazzando via le vignette dei film muti; e il lato glamour e lascivo di Hollwood tradotto in feste all’insegna di orge, fiumi di alcol ed escrementi, montagne di cocaina sulla cui cima ci sono i sogni che i protagonisti cercano di raggiungere. Quegli stessi sogni di cui La La Land (2016) si nutriva, lasciandoci credere che fossero realizzabili ed eterni. Babylon ci ricorda costantemente che tutto potrebbe sgretolarsi da un momento all’altro. L’altra faccia della medaglia: la grazia e la dolcezza che ci tenevano sospesi in La La Land vengono a mancare, decadenza e caos dominano la narrazione disordinata e squilibrata. Un periodo di transizione a cui i personaggi vanno incontro, sicuri di loro stessi e pieni di ambizioni, per poi scontrarvici e restarne distrutti. Perché il cambiamento arriva improvviso, travolgente e veloce; alcuni si oppongono, alcuni abbracciano il progresso e altri, inevitabilmente, non riescono a stare al passo e vengono messi da parte. Come a ricordarci che nessuno è indispensabile, chiunque è rimpiazzabile.

Eccessi, situazioni portate all’estremo che si sovrappongono fra di loro. Apparentemente senza senso, sembra non avere una meta, Chazelle la butta in caciara (non saprei spiegarlo meglio), come se si facesse da parte, ma non è così. La sua presenza si percepisce, fortissima, in tanti elementi che ormai portano il suo nome, primo fra tutti Singin’ in The Rain (1952) e, durante quelle tre ore che sono volate, è stato immediato immaginarmelo battere a tempo dei leggeri colpi sulla spalla dell’operatore di macchina per fargli cambiare di scatto inquadratura. Un risultato finale così credibile raggiunto anche grazie a delle solide performance: i tre protagonisti che si abbandonano completamente al volere di Chazelle, affidandosi a lui e alla sua visione. E non sono da meno gli altri interpreti, a partire da uno spettrale e disturbante Tobey Maguire fino ad arrivare alla magnetica Li Jun Li – che sicuramente avrebbe meritato più screen time –, il cui personaggio è completamente ispirato alla storia dell’attrice Anna May Wong.

Altro personaggio altrettanto importante – sì, è protagonista tanto quanto gli interpreti – è Hollywood nella sua età d’oro, ricreata in una scenografia maestosa ed imponente accompagnata da una colonna sonora martellante e memorabile firmata dal geniale Justin Hurwitz, a cui sia alternano tracce più dolci – quelle dedicate a Nellie e Manny – che sembrano fare nostalgicamente eco a La La Land.

La La Land. L’ho nominato tante volte. È stato inevitabile. Ma Babylon non è La La Land. Così come La La Land non è Babylon. Entrambi grondano di amore per il Cinema. E per me entrambi sono riusciti. E come dice lo stesso Chazelle, è un bene che un film sia divisivo. Avrebbe davvero senso se tutti fossimo d’accordo?

Dopo essere stato sulla luna (con First Man, nel 2018), torna di nuovo a raccontare il mito di Hollywood – prendendosene anche gioco – senza restituire quel senso di coerenza e compiutezza che permeava in La La Land: asseconda il caos, ci chiede di abbandonarci e fidarci di lui, imbarcandoci in questo mare di follia e (dis)illusioni. Damien Chazelle corre il rischio, confezionando un film respingente e goliardico, facendo anche una scelta scontata e prevedibile come quel finale, che sapevo sarebbe arrivato, l’ho aspettato temendo mi deludesse. Un’ansia che non ha trovato fondamenta. Volevo sentire l’esplosione, volevo andare in cortocircuito, tanto da non riuscire a formulare un pensiero di senso compiuto. E così è stato. Ancora una volta, Chazelle ha saputo arrivare dritto al cuore e solo chi ama il Cinema può mettere su pellicola qualcosa di così indescrivibile a parole. Il montage finale di Babylon è un’esperienza che non può essere raccontata, non esistono termini esaustivi, semplicemente non è possibile, lo si può solo vivere. Sul grande schermo. Quello schermo che ha il potere di farci sentire minuscoli.

Perché tornando a ciò che ho scritto sopra, una delle ragioni principali per cui andiamo al cinema è fuggire dalla realtà, dal mondo là fuori, ma andare al cinema è anche un rituale che compiamo per sentirci parte di qualcosa, un qualcosa che talvolta sia più grande di noi e sfugga al nostro controllo. La caoticità controversa di Babylon, quel portare ogni situazione all’estremo, rende molto bene questo concetto. Non è un film perfetto, ma quando ami tanto qualcosa ne abbracci anche i difetti fino ad apprezzarli più di tutto il resto.

Babylon è dal 19 Gennaio nelle nostre sale. Permettetegli di capirvi. Dategli la possibilità di entrarvi sotto pelle.

Marika