Il confine che divide la vita dalla morte è, al meglio, ombreggiato e vago. Chi potrebbe dire dove uno finisce e l’altro inizia? – Edgar Allan Poe.

Con questa citazione, il nuovo film di Scott Cooper, da lui scritto e diretto, apre il sipario e nella narrativa gotica trova il proprio respiro sin dal primo frame avvolgendo immediatamente lo spettatore. Il genere lo conosciamo ed è fautore del The Weird and the Eerie, – così come lo chiama Mark Fisher nel suo libro dall’omonimo titolo – il confine è quel limite che l’uomo impara, addirittura brama conoscere, nonostante lungo il percorso vi sia il terrore che attanaglia il cuore e l’orrore imperscrutabile, che si mostra ai nostri occhi, non manchi d’offrirci crudo sgomento. Dopotutto, siamo nel periodo dove scienza e religione si scontrano, dove razionalismo ed esoterismo tirano all’amo anime affamate di risposte – la curiosità che si fa mistero ed ambiguità.

Figurata quest’atmosfera, è qui che si snoda la trama di The Pale Blue Eye (2022) – tratto dal libro di Louis Bayard edito in Italia dal 2006. Siamo nel 1830 e l’Accademia Militare della West Point, (permeata, come ogni milizia, dal cameratismo e dalla severa disciplina), viene scossa da un macabro ed apparente suicidio. Quando al cadavere, ormai in rigor mortis, viene rimosso il cuore, l’ipotesi che un assassino seriale – devoto al satanismo – miri ai giovani soldati dell’Accademia, porterà i superiori del plotone ad assumere il veterano investigatore Augustus Landor (Christian Bale) per risolvere il caso. In seguito al militante silenzio insinuato tra i ranghi, il nostro si vedrà costretto ad accettare l’aiuto di un insolito collaboratore, la cui divisa stona se contrapposta all’animo malinconico e poetico che lo definisce per natura come un giovane eccentrico e solitario. Con il corvo sempiterno nell’estetica del film, un appuntamento al cimitero e il ricordo della madre a infondergli parole in sogno, per tutto questo e tanto altro, vuole il caso che proprio di lui si stia parlando: Edgar Allan Poe (interpretato da Harry Melling).

Siamo davanti a un gotico poliziesco di tutto rispetto, dove magia, superstizione ed antiche leggende hanno il compito di ottundere la ragione, quasi a metafora con la nebbia umida che avvolge il paesaggio della West Point e che offusca la vista intorpidendo le membra. Ma quelle oscurità non celano solo l’assassino. Ben altro si nasconde alle percezioni sensitive come passati turbolenti, traumi irrisolti e vendette insonni, per le quali solo il prezzo del sangue potrà render loro la pace tanto agognata. La presenza dello scrittore – nonché fondatore del genere a cui si fa riferimento – vuole strizzar l’occhio al gioco dell’insert omaggiando una prassi di tradizione che si sposa in maniera sempre suggestiva, quando si tratta dell’alienato ometto di Boston. Forse nel poeta dallo sguardo vacuo e melanconico, si cela un certo magnetismo che porta, ancora oggi, a volerlo come compagno d’avventura; lo stesso Lovecraft, a modo suo, ci era cascato. I due autori, non solo si conoscevano, ma il padre di Cthulhu fu tra i primi a celebrare Poe offrendogli un posto ne “La Casa Stregata”, uno dei suoi racconti più famosi.

Dunque, se tanto funzionava, perché spezzare tale consuetudine?

Come simbolo c’è il cuore rivelatore e un’amata mortale di salute cagionevole, poi sopraggiunge un detective pronto ad insinuarsi nell’immaginario febbricitante del ragazzo con l’intento di risolvere non solo ciò che concerni il delitto, ma anche l’animo umano.

Di Christian Bale, si sa, è stato immerso nella Fonte della Recitazione quand’era piccolo, con l’unica differenza che non possiede nessun Tallone d’Achille: ovunque lo metti sta bene e in The Pale Blue Eye fa l’eccezione offrendo un valore aggiunto inestimabile. Di Harry Melling le parole si sprecherebbero, ma per un talento giovane e spesso lasciato in sordina come il suo, è giusto spendersi in elogi e meraviglie.

Il Poe che porta in scena si guarda bene dall’essere una macchietta, né ha la valenza di un mero espediente narrativo. Nel viso pallido e tirato dove gli occhi offrono due spilli vivi all’osservazione attenta di uno scienziato delle parole, Poe, non è solo il ragazzetto interessato al macabro, ma è un giovane uomo della cui indole turbata non fa mistero, anzi, la incanala nella poesia e l’asseconda nelle storie. L’uso logico della sua sensibilità gli permetterà di elaborare il colpo di scena finale: una scorciatoia non nuova al gotico ottocentesco, ma certamente, per resa e movente, più consona alla nostra modernità. Essa segnerà lo stesso Poe nel profondo, in quella che potrebbe diventare la crepa da cui far sgorgare ogni creatività in lui innata. È una scelta di resa, di sconfitta, che si fa nobile per umiltà e cordoglio, e ricorderà, a tratti, l’azione condotta anni dopo da un certo detective baffuto di nostra conoscenza.

Quando la disperazione tramuta il colpevole in vittima e l’animo del poeta s’innalza al di sopra della bilancia della giustizia, poiché peccatore in egual misura, non gli riesce di giudicare, né tanto meno di giustiziare. Laddove la colpa esige una condanna, questa sarà l’esistenza stessa a darla. È la compassione per l’umana condizione di cui tutti noi facciamo parte e che ci rende grandi agli occhi dei filosofi.

Forse è vero quel che si legge in giro, che Hostiles (2017) – precedente lavoro nato dal connubio Cooper/Bale – sappia essere più elegantemente crudo e fiero, ma questo non dovrebbe comportare una detrazione nei confronti dell’opera che segue. Le necessità sono diverse e opposte per amor di soggetto e genere; la sceneggiatura stessa è controbilanciata per mantenere ogni sezione del film al giusto ritmo. Non pecca nemmeno sul gran finale, dove spesso altri film avrebbero preferito correre. La doppia rivelazione ha uguale valenza ed efficacia e lascia che sia lo spettatore ad incassare la più ardua e penosa ferita, l’ultima specialmente, destinata a diventare una cicatrice.

Liberi solo se quel nastrino bianco volerà lontano, oltre la nostra spalla.

Il già visto, dunque, è nullo quando la resa combacia con ciò che si è sempre letto e si è decisi ad onorare. Non trova rivali se si ha bisogno di tornare all’atmosfera che si ama tanto vivere e come miraggio poi torna a noi in sogno senza più muoversi, fermo sul busto pallido de l’uscio al limitare. Sembrano di sognante demoni gli occhi e i rai del lume ognor disegnano l’ombra sul pavimento, né l’alma da quell’ombra lunga sul pavimento sarà libera mai.

Laura

Nel cast del film anche Timothy Spall, Gillian Anderson, Lucy Boynton, Robert Duvall e Toby Jones; dal 6 gennaio The Pale Blue Eye è reperibile streaming sulla piattaforma Netflix.