La difficoltà di chiamarsi M. Night Shyamalan, perché quando a neanche trent’anni realizzi un’opera come Il Sesto Senso incassando più di 670 milioni di dollari con tanto di candidatura all’Oscar per miglior regia, sai bene che quel titolo sarà la tua lode ma anche la tua condanna. Un film che ha saputo mettere d’accordo la critica e il pubblico più variegato, operando con un doppio registro – drammatico e horror – e dando un nuovo valore al termine plot-twist. Shyamalan ha creato una vera e propria unità di misura della suspence, è divenuto metro di paragone in primis con se stesso. E ha poca importanza quanto impegno abbia messo nei progetti successivi, l’ombra di quel film sarà sempre presente, come un nome altisonante che si pronuncia con immenso rispetto e un briciolo di timore.

Ciò nonostante Shyamalan ha saputo regalarci nel corso degli anni un’autentica montagna russa di film, comprendente titoli più che riusciti (per citarne alcuni, Unbreakable, Signs, The Village, Split) alternati da opere meno coraggiose (E Venne il Giorno, Lady in the Water, L’Ultimo Dominatore dell’Aria). Dunque il timore di un possibile insuccesso è sempre dietro l’angolo perché, come i suoi film, Shyamalan è imprevedibile e non sai mai cosa aspettarti da una sua pellicola. Allontanando però qualsivoglia perplessità, ho provato una certa curiosità all’annuncio dell’uscita di Bussano alla Porta – Knock at the Cabin, che ho avuto modo di vedere in anteprima al Cinema Troisi di Roma e che arriverà nelle sale italiane il 2 febbraio. Il film è tratto dal romanzo horror The Cabin at the End of the World di Paul Tremblay, vincitore del  Premio Bram Stoker nel 2019.

Knock at the Cabin ci presenta sin da subito la coppia omosessuale composta da Andrew ed Eric (rispettivamente Jonathan Groff e Ben Aldridge) e la loro figlia adottiva Wen (Kristen Cui) in viaggio verso una località isolata nel New Hampshire, una casa circondata dai boschi nella quale trascorrere una serena vacanza. Qui la piccola Wen, impegnata a catturare delle cavallette, fa la conoscenza di Leonard (Dave Bautista), un uomo apparentemente innocuo e gentile che le confida di aver bisogno dell’aiuto della sua famiglia per salvare il mondo. Spaventata dalla visione di altri tre sconosciuti che le vengono incontro brandendo delle misteriose armi, Wen corre in casa ed avverte i suoi genitori che però non riescono a tenere gli estranei fuori dalla propria dimora. È qui che il film alza il livello della tensione, presentando le quattro sinistre figure e la loro missione. Questi infatti non si sono mai incontrati prima di quel giorno ma hanno avuto tutti delle agghiaccianti visioni sull’imminente apocalisse che devasterà il pianeta e tutti i suoi abitanti e, dopo aver legato gli increduli Andrew e Eric, chiedono loro di sacrificare un membro della famiglia affinché tutti i mali del mondo possano cessare.

Il film gioca immediatamente col nostro scetticismo, non rivelando se siamo dinanzi ad un possibile evento soprannaturale o solamente a un gruppo di persone intente a fare del male ad una famiglia innocente. Il dubbio s’insinua nella mente dei protagonisti quando nella nostra. Decidere di credere o rimanere saldamente ancorati alla razionalità? Impossibile non ricollegarsi a Signs, successo di Shyamalan del 2002, un film che s’interrogò molto sul concetto di fede. Il regista ha da sempre manifestato una certa ossessione nell’analizzare e mostrare l’alienazione e la scarsa capacità di comunicare dei suoi personaggi e Signs e Knock at the Cabin ne sono due validi esempi. Eppure nel cinema di Shyamalan non esiste il caos, tutto è ben architettato con un ordine quasi maniacale per i dettagli, dando vita ad un autentico puzzle che solamente alla fine si rivelerà nella sua interezza a noi spettatori.

È interessante cogliere come il regista opera su due distinti livelli, differenziando i personaggi in piedi da quelli seduti e legati alle sedie. Quest’ultimi, in particolar modo, sono posizionati su un livello inferiore, più basso, e dunque simbolicamente riconducibile all’inferno (interiore) che è ciò che stanno vivendo a tutti gli effetti, costretti a compiere una scelta impossibile attanagliati da paure e sensi di colpa. Le persone in piedi invece sembrano conoscere chiaramente il loro destino, spogliandosi man mano delle loro vergogne e fragilità.

La paura è la costante di tutto il film, in particolar modo la paura del diverso e dell’ignoto, rappresentata sia dall’omofobia citata da uno dei genitori che evidenzia come abbiano dovuto lottare duramente nel corso degli anni (e tutt’ora) per essere accettati dalla comunità e dalle loro famiglie, sia dal timore di credere o meno in un’entità superiore, un Dio che opera noncurante dei drammi umani. Azzeccata la scelta di dipingere diversamente i due genitori di Wen, un padre fortemente scettico e diffidente, l’altro con un passato da credente. I due più volte si scontrano verbalmente, interrogandosi sulla possibilità effettiva di un’apocalisse e sulle loro responsabilità. Cosa si è disposti a sacrificare per il bene comune? Dopo tutte le difficoltà incontrate nel corso della vita per costruire un sicuro nido familiare, è così semplice lasciar andare tutto quanto? A chi devono tanta pietà, loro che raramente hanno ricevuto comprensione ed accettazione dal mondo esterno? Questi ed altri i dilemmi che attanagliano Andrew ed Eric, un incubo che si dirama sulla pellicola ma che riflette cupamente i tempi odierni che noi tutti viviamo.

Come nelle precedenti opere di Shyamalan, la famiglia e la sua incomunicabilità sono costantemente sotto la lente d’ingrandimento. Ripensiamo al giovane protagonista de Il Sesto Senso, intimorito dal rivelare il proprio segreto alla madre che ha non poche difficoltà a comprenderlo. Oppure il nucleo famigliare in Signs, contraddistinto da un uomo che ha abbandonato la fede (sua professione) e non sa più come essere un padre né per la sua comunità né per i suoi cari, che invece parlano una lingua differente, divenendo quasi degli alieni ai suoi occhi poiché incapaci di capirsi. Ed in Knock at the Cabin è presente il medesimo dramma in cui i protagonisti si ritroveranno indifesi ed intrappolati, esattamente come le cavallette ad inizio film, costrette in un piccolo universo di vetro che ci permette di vederle con lucidità, notando ogni movimento e tremore. Ma come sempre nel cinema di Shyamalan, sono proprio i bambini le sole creature capaci di vedere oltre lo specchio, mostrando tutta la loro profonda umanità e misericordia.

Molto intelligente il lavoro di sottrazione del regista nello scegliere di non mostrare apertamente la scene di violenza. Queste infatti vengono negate al nostro sguardo, lasciando spazio al sonoro, alla carne che si squarcia e le ossa che si spezzano coi loro caratteristici rumori, questo per aumentare esponenzialmente la tensione. Perché è nei limiti fisici e mentali che la suspence trova arricchimento, nel presentare i volti dei personaggi racchiusi dall’inquadratura quasi a farci provare un senso di claustrofobia, di impossibilità di fuga, che è d’altronde la condizione che vive la famiglia protagonista.

Knock at the Cabin è però un film che pone tutti noi sotto esame, non solo dinanzi alla possibilità di una scelta fatidica, ma anche per il nostro operato in quanto comunità. Perché non sono solo Andrew, Eric e Wen a soffrire, ma anche la stessa Madre Terra, pianeta devastato dal continuo abuso dell’uomo che Shyamalan sottolinea senza tanti vezzeggiativi. La minaccia di un’apocalisse è l’ultimo avvertimento che ci viene consegnato, ma a quante tragedie dobbiamo ancora assistere prima di capire definitivamente cosa è bene fare per porre rimedio? Fra tutti, è l’interpretazione magistrale di Dave Bautista a spiccare, dilaniato dalla mancanza di empatia altrui e dalla propria rassegnazione poiché, in quanto singolo individuo, non può far granché per impedire l’inevitabile.

L’ultima opera di M. Night Shyamalan è un disperato invito all’ascolto reciproco, alla condivisione, alla responsabilità. C’è più anima di quanto si possa credere ad una prima visione, perciò vi invito ad andare al cinema per ammirare Knock at the Cabin con il cuore in mano e la speranza sempre viva.

– Angelica