Io non so se mi piace Ari Aster. Parto così, perché ogni suo film ha qualcosa che non mi convince, tranne Midsommar (2019) che col tempo ho imparato ad amare nella sua totalità. Eppure, Aster non riesce mai a conquistarmi nell’immediato. E Beau Is Afraid, come Hereditary (2018), l’ho trovato altalenante nel suo essere incredibilmente estenuante.

Si sta avvicinando l’anniversario della morte di suo padre e Beau deve raggiungere sua madre per trascorrere la giornata insieme come da tradizione, ma tutto sembra remargli contro e intraprendere il suo viaggio è impossibile. Quello di A24 è innegabilmente uno dei più grandi atti di coraggio e di completa fiducia nei confronti di un autore: Ari Aster ha carta bianca e mette in scena tutto ciò che di assurdo e fuori dal normale la sua mente abbia partorito.

La prima parte del film prende vita nel quartiere dove vive il protagonista, un luogo ad alto tasso di criminalità abitato da zombie in cui cominciamo a familiarizzare con Beau, apprendendo che ha dei disturbi mentali e che è particolarmente paranoico. Questo è l’atto che secondo me è il più riuscito: claustrofobico ed angosciante, a tratti ricorda il periodo del lockdown e strizza un po’ l’occhio a Joker (2019). Mi è mancato il fiato e sentivo lo spazio intorno a me restringersi sempre di più.

All’inizio, per descrivere il film, ho usato la parola altalenante proprio perché l’ho vissuto come se fosse a scompartimenti, con parti più o meno riuscite delle altre. Inizia benissimo, continua a convincermi, la mia attenzione scema per un po’, dopo torna a conquistarmi per poi lasciare che la perplessità abbia la meglio nell’atto finale.

Beau Is Afraid è un film imprevedibile, ma a lungo andare mi sono ritrovata a domandarmi quale fosse lo scopo finale di questi twist che sembrano creare un loop infinito, non portando ad un vero e proprio sviluppo che conducesse la storia ad una conclusione. Probabilmente avrebbe potuto andare avanti per altre tre ore e non incontrare mai una fine. Io credo che Ari Aster sia un regista incredibile, che con idee limpide sa come creare immagini impattanti e disturbanti (il terzo atto nel bosco è una gioia per gli occhi).



Tuttavia, ho come avuto l’impressione che con questa storia non ha solo cercato di raccontare come il male si annidi nelle nostre menti, nutrendosi dei nostri traumi e delle nostre paure, ma che abbia confezionato un film in cui collezionare dei personali compiacimenti, senza pensare troppo a stimolare lo spettatore. Un’odissea per molti versi faticosa, sia per la durata, sia per il modo in cui eventualmente mi sono sentita respinta dalla sua vena troppo intellettualoide e poco sostanziosa.

Tutto ciò che mi arriva lo devo a Joaquin Phoenix. È incredibile, un talento che inonda e irradia, non si risparmia facendo sì che la paura di Beau diventi anche la mia. Empatizzo con lui, percepisco la pressione della figura tossica materna e vorrei che riuscisse a prendere quell’aereo per arrivare in tempo, gli credo nonostante sia un narratore inaffidabile. Decido di imbarcarmi nella sua avventura, senza lasciare indietro i mostruosi (in tutti i sensi) Patti LuPone e Denis Menochet.

Beau is Afraid è un film che in ogni caso sorprende, intrecciando comicità e momenti grotteschi a sequenze di pura ansia. Ari Aster, malgrado tutto, scrive un genere tutto suo, che può non convincere totalmente, ma riesce ugualmente a lasciare il segno. Anche questo è talento. Come è un talento sguazzare nel suo Cinema senza affogarci.
Dal 27 Aprile al Cinema.
Marika
