Quanto è bravo Franz Rogowski? Il suo personaggio, Tomas, è insopportabile, perennemente confuso, terribilmente infantile e capriccioso. Chiunque altro ce lo avrebbe fatto odiare, mentre Franz ha quel qualcosa in più che provoca un senso di tenerezza nei suoi confronti.

Ma chi è Tomas? Tomas è un regista.  Passages si apre con la realizzazione delle scene finali del suo film. È meticoloso, preciso, vuole che tutto sia perfetto. È al party di fine riprese che incontra Agathe (Adèle Exarchopoulos). Il compagno di Tomas (Ben Whishaw) non è in vena di festeggiamenti, rincasa prima mentre il suo partner trascorre la notte con la donna appena incontrata. Da qui prende vita un triangolo amoroso che ci ricorda quanto le persone siano vulnerabili e profondamente indecifrabili.

Il personaggio interpretato da Franz Rogowski è un eterno indeciso, vuole tutto e un attimo dopo cambia completamente idea, elettrizzato dalla nuova dinamica in cui si ritrova. È egocentrico, e benché quello raccontato sia un triangolo amoroso, lui resta ed è il centro di tutto. È nei suoi tumulti interiori che la storia si sviluppa, in un continuo cambio di rotta per i protagonisti.

Ed è proprio nel trio che il film trova la sua forza. Ira Sachs sa molto bene come sfruttare i suoi attori, facendo spiccare le peculiarità di ognuno senza oscurare l’altro: la voce impastata e il petto prorompente di Franz Rogowski accentuato in top trasparenti, attillati e striminziti (oh sì, sono rimasti tutti impressi, dal primo all’ultimo… ma, scherzi a parte, hanno davvero contribuito alla caratterizzazione del personaggio); la delicatezza pacata di Ben Whishaw e l’innocenza sensuale di Adèle Exarchopoulos si intrecciano senza mai scontrarsi.

Dopo Frankie (2019), Ira Sachs torna con un affresco sui mutamenti degli esseri umani lasciando che sentimenti e pulsioni costruiscano le immagini. Quello messo in scena non è un triangolo amoroso in cui i personaggi sono alla ricerca della loro identità: Sachs racconta persone già realizzate, che non stanno affrontando un percorso di accettazione, ma che stanno semplicemente andando incontro ai tumulti della vita. E lo fa con un pizzico di ironia, conducendoci in questo viaggio sensuale (le scene di sesso mozzano il fiato, in una in particolare non riuscivo nemmeno a deglutire, stavo lì immobile ed incantata), facendoci sentire parte di questa dinamica, quasi agenti che influenzano il trio quando in realtà siamo solo dei voyeurs del gioco di seduzione creato da Tomas.

Osserviamo il continuo tira e molla fra Tomas e Martin, Tomas e Agathe. Quando Tomas è con uno vorrebbe essere con l’altro. Sachs calibra in maniera equilibrata il dramma e l’ironia, senza sbavature, costruendo la sua narrazione fatta di immagini pulite e decisive. Perché alla fine Passages prende forma nelle decisioni. E poi c’è sempre Parigi, che non stanca mai.

Presentato al Sundance e poi alla Berlinale, uscirà nelle sale italiane il 17 agosto, per poi approdare successivamente su MUBI.

Marika