Luca Guadagnino nel 2020 in un incontro online con Jefferson Hack per Nowness diceva: “When you offer something to an audience, you better respect your audience.”
Settimana scorsa volavo a Londra per vedere Oppenheimer al BFI IMAX, consapevole che quello che mi veniva offerto era stato creato appositamente per me, in quanto fruitrice, con il massimo rispetto. Christopher Nolan e Luca Guadagnino sono probabilmente i miei più grandi pilastri esistenziali, hanno molto in comune, soprattutto il loro costante pensiero rivolto al pubblico. E per questo ogni passo verso di loro, breve o lungo che sia, verrà sempre ripagato. Sempre.

Ci sono stati momenti in cui ho messo in dubbio la scelta di andare fino a Londra per vedere il film, ma non ho mai avuto davvero dei ripensamenti, in fondo ho sempre saputo che era lì che dovevo viverlo per la prima volta. Era la mia prima volta al BFI IMAX, così come la prima volta che vedevo in generale un prodotto cinematografico in una sala IMAX. A Nolan devo tanto, forse tutto, e l’unico modo per ricambiare quello che lui mi ha dato con il suo lavoro era vedere il film nel formato in cui lo ha pensato e girato. In 70mm, in IMAX. E alla fine il regalo lo ha comunque fatto lui a me.

Dei miei giorni a Londra il ricordo più nitido e dettagliato è quello legato alle ore trascorse al BFI IMAX, è stato come andare in pellegrinaggio verso un luogo sacro, entrare nella sala è stato come mettere piede in un tempio dalla forma cilindrica pronto ad avvolgerti in quella struttura così accogliente e futuristica dalle luci rossastre dove sul grande schermo si alternavano i poster e le immagini di Oppenheimer. In questa stessa sala, appena entri, sali degli scalini verso una balconata che si affaccia sullo schermo infinito, sembra sospesa in un’altra dimensione, in bilico fra la realtà e le storie che quella tela bianca ha da raccontare. Quel momento è stato solo mio, dell’amica che mi ha tenuto la mano durante quest’avventura e di tutte le altre persone che hanno fatto sì che lo spettacolo fosse sold out. Quello stesso giorno ho visto Barbie (yes, I survived Barbenheimer) e non potevano che essere due esperienze completamente diverse, e perfette nella loro unicità. Il film diretto da Greta Gerwig è stato una festa, un continuo ballare, applaudire, gridare. Una vera e propria celebrazione collettiva. La visione di Oppenheimer, al contrario, è stata vissuta come un patto tacito con gli altri spettatori. Sapevamo a cosa stavamo andando incontro. Per tre ore nessuno ha fiatato, a stento cambiavo posizione sulla poltrona col timore che i miei movimenti potessero disturbare i miei vicini. C’eravamo solo noi, e a volte solo io dentro il respiro di Cillian Murphy. Tutto il resto è rimasto là fuori.

L’ultima opera di Christopher Nolan si basa su American Prometheus (2005), biografia incentrata sulla figura di Robert J. Oppenheimer, il padre della bomba atomica, che nel 2006 è valsa il premio pulitzer a Kai Bird e Martin J. Sherwin. Lo sappiamo, Nolan con ogni sua pellicola ci conduce nella profondità dei soggetti che tratta ed è così anche con questa. Quello che viene messo in scena ovviamente non è il classico biopic, è un genere ibrido in cui il regista inglese si serve della storia del fautore della più grande arma di distruzione mondiale per raccontare di noi. Del genere umano, del male che siamo in grado di raggiungere. Dell’orrore che si consuma di fronte a noi, impotenti e inorriditi. Lo stesso Nolan ha dichiarato che chi ha visto il film è uscito dalla sala ammutolito. Non è un’esagerazione. Io a distanza di una settimana fatico a trovare le parole per descrivere quello che ho vissuto. So solo che quello che ho avuto davanti ai miei occhi è un compimento. Christopher Nolan ha raggiunto una vetta che non pensavo nemmeno esistesse. Una vetta che lui stesso ha costruito con tutte le opere che hanno preceduto questa. Ogni suo film precedente è genitrice di Oppenheimer.

“Prometheus stole fire from the gods and gave it to man. For this he was chained to a rock and tortured for eternity.” In un continuo viaggio temporale – il lavoro di montaggio di Jennifer Lame è monumentale – assistiamo alla nascita dell’idea nel laboratorio di Los Alamos durante il Progetto Manhattan fino ad arrivare al culmine, il momento di svolta e uno dei più emozionanti del film: il Trinity Test, il punto di non ritorno da cui deriva la distruzione e i continui interrogatori ad Oppie – lo chiamano così anche nel film – per le sue posizioni politiche. Oltre ai salti temporali, il film prende forma attraverso due punti di vista: il primo a colori e soggettivo, è quello dello stesso Oppenheimer, il secondo in bianco e nero è quello di Lewis Strauss (un Robert Downey Jr. che mi ha piacevolmente sorpresa), figura centrale del racconto, fra i fondatori della Commissione per l’Energia Atomica e soprattutto rivale del padre della bomba atomica.
Quando l’immagine è a colori siamo Oppenheimer, siamo l’uomo col fardello e viviamo tutto insieme a lui. All’inizio sono frammenti di immagini di un’idea, una visione irraggiungibile ed incredibilmente spiazzante. Siamo nel suo sogno. E credetemi, in IMAX 70mm è come esserne ingoiati, masticati dalle poltrone che tremano ogni volta che la mente di Oppenheimer torna alle scintille delle esplosioni. Mastodontiche, prestigiose e spaventose. Oppenheimer ha riconcorso quell’idea, l’ha concretizzata e dopo il Trinity Test è sfociata nell’incubo. Gli orrori causati dalla sua invenzione si sostituiscono a quelle immagini astratte. Deve scendere a patti con le conseguenze della sua creazione. È tormentato, eppure non lo vediamo mai prendere una posizione. Cillian Murphy è strabiliante nel trasmettere il malessere, l’illusione, l’ossessione di quest’uomo. Il suo turbamento interiore prende vita nei suoi primi piani, non serve altro. I fitti dialoghi e le immagini frenetiche lo accompagnano, mentre lui si prende i suoi tempi. Lui è tutto. Lui, il cappello e la pipa.

Tuttavia, Nolan ha il dono di far spiccare chiunque appaia sullo schermo. Ogni attore da lui diretto è memorabile, supportato da una scrittura rigorosa e coerente: Emily Blunt è disarmante nei panni di Kitty Harrison (poi Oppenheimer, una volta sposata col fisico), così come il magnetismo di Florence Pugh (Jean Tatlock, psichiatra con cui Oppenheimer ha avuto una relazione) incanta e incatena chiunque posi gli occhi su di lei. Entrambe danno vita a donne complesse, pensanti e determinate. Perché sì, Nolan prova ancora una volta di saper scrivere grandi personaggi femminili.
Il BFI IMAX è il luogo perfetto per vivere una delle esperienze cinematografiche più immersive e indimenticabili di sempre. È lì che ogni elemento che compone il film si intreccia nel modo migliore. Il formato IMAX e la pellicola, nella fotografia certosina di Hoyte van Hoytema, conferiscono all’immagine un equilibrio fra l’intimità, enfatizzando la psicologia dei personaggi, e lo spettacolo visivo glorioso e impattante, dove ogni esplosione è frutto di un lavoro che presta notevole attenzione all’accuratezza storica e scientifica della detonazione stessa.

L’impianto sonoro alterna i silenzi e le esplosioni alla colonna sonora composta da Ludwig Göransson, alla sua seconda collaborazione con Christopher Nolan (la prima era stata Tenet, 2020). Le tracce di Göransson sono un’estensione delle emozioni di Oppenheimer, il violino domina le melodie romantiche dalle tinte horror. A volte, generalmente, sembra quasi che la colonna sonora dica allo spettatore come si deve sentire, nel caso di Oppenheimer, soprattutto nella parte a colori, viene amplificato ciò che lui prova. Le mie emozioni sono solo una risposta alle sue, ai suoi sguardi che a lungo andare si fanno sempre più titubanti, e forse è da qui che deriva parte dello sconvolgimento a fine visione. La sopraffazione e poi la consapevolezza. Il terrore puro.

C’è un prima e un dopo Oppenheimer. Persona e film. Noi, genere umano, ne paghiamo ancora le conseguenze, sentendoci moralmente inadeguati. Dopo il Trinity Test, che ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale, il mondo non è più lo stesso, così come il Cinema non è più lo stesso dopo un progetto come questo. Il 23 agosto uscirà nelle sale italiane. Vedetelo sullo schermo più grande possibile e dotato di un impianto sonoro che vi faccia sbriciolare le ossa sotto pelle. Lasciatevi cambiare l’esistenza.
“Now I am become Death, the destroyer of worlds.”
Caro Christopher Nolan, grazie non sarà mai abbastanza. Ci vediamo in sala, sempre.
Marika











