Nel 2018 scrivevamo un articolo in cui esternavamo la nostra delusione per le ultime scelte artistiche di Michael Fassbender, sottolineando come ci fosse una sorta di declino cinematografico e un’attività stampa accennata per la promozione dei suoi lavori. Era un pezzo particolarmente sofferto, scritto senza dimenticare la profonda ammirazione che nutriamo nei suoi confronti… e con la speranza che il Fassy che tanto amavamo sarebbe tornato. Abbiamo pazientato, consapevoli che questo momento sarebbe arrivato… stiamo ufficialmente vivendo la Fassbenderenaissance. Finalmente.

Michael Fassbender fa il suo ritorno sul grande schermo affidandosi alle sapienti mani di David Fincher, che in lui vede il serial killer perfetto, e lo è e ci tiene a ricordarcelo ad ogni inquadratura del suo protagonista, mettendo in scena quello scritto da Alexis Nolent (in arte Matz) nell’omonima graphic novel a cui il film si ispira: The Killer. In concorso all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sancisce anche il ritorno sul Lido del regista statunitense 24 anni dopo Fight Club.

Metodico e maniacale, Fassbender è un sicario professionista, attento a non compiere errori, fino a che una missione non va a buon fine e i suoi piani vengono stravolti.

Il protagonista senza nome con infinite identità. Nella mente del serial killer: un narratore inaffidabile, aggrovigliato nei suoi stessi pensieri, attraverso cui lo spettatore segue la sua routine ripetitiva, portata avanti con estrema calma, una sorta di Patrick Bateman meno iconico.

Le atmosfere del film sono un’estensione del personaggio interpretato con precisione chirurgica da Fassbender: silenzioso, la sua voce fuori campo però parla sempre, fra sé e con noi, conduce una vita lenta e monotona. Non prova empatia per nessuno e per questo, per tutta la durata dell’opera, aleggia questa sensazione di respingimento. Non entriamo mai effettivamente nella storia, non ce lo permette, non si fida di noi perché la prima regola è non fidarsi di nessuno. Siamo sempre un passo indietro, curiosi di sapere quale sarà la sua prossima mossa. David Fincher fa di Michael Fassbender il suo burattinaio e di noi le marionette appese ai fili della sua narrazione meticolosa. Con cappello e occhiali si mimetizza per le strade di Parigi e non solo, cercando di passare inosservato per portare a termine indisturbato le sue missioni. Non esistono distrazioni, solo obiettivi da raggiungere.

La precisione delle sue azioni si riflette nella composizione delle immagini, così come nei combattimenti, le cui coreografie sono una danza violenta in cui i nostri sguardi si perdono incantati. A completare il tutto vi è un impianto sonoro che controlla il livello di tensione di un thriller che è un affresco della società contemporanea. Ciliegina sulla torta: la colonna sonora composta da Trent Reznor e Atticus Ross.

Un thriller quasi perfetto. Quasi. Suddiviso in sei capitoli, l’epilogo ha un sapore anonimo, quasi sbrigativo. Ciononostante, David Fincher ancora una volta ci ricorda di essere uno dei più grandi di tutti. The Killer non è ai livelli delle sue gemme precedenti, non ha quel guizzo che ti fa venire la tachicardia, eppure il suo uomo alla finestra (una finestra che non è sul cortile, ma sono abbastanza certa che sia nel cuore di Fincher, così come nel mio) resterà impresso. Grazie Fincher per averci ridato Fassbender. Il nostro squalo è tornato e pronto a divorarseli tutti.

Dal 10 Novembre su Netflix.

Marika