Talk to Me diretto da Danny e Michael Philippou spinge fin da subito sull’acceleratore. Un piano sequenza che segue i passi di un giovane all’interno di una casa dove si sta celebrando una festa. Una porta chiusa a chiave buttata giù con la forza. Un ragazzo in preda all’isteria che improvvisamente brandisce un coltello e semina il panico attorno a sé.

Era dai tempi di Scream (1996) che il cinema horror non ci regalava un incipit così intrigante e promettente. A quanto pare servivano due fratelli australiani per farci saltare dalle poltrone a soli tre minuti dall’inizio del film.

L’attenzione si sposta successivamente sulla protagonista del film Mia (Sophie Wilde), un’adolescente che a due anni dalla morte della madre ancora risente della sua mancanza. Una sera decide con la sua amica Jade (Alexandra Jensen) e il fratellino di lei Riley (Joe Bird) di andare ad un party in cui si sta svolgendo una seduta spiritica. Desiderosa di farsi accettare dai suoi coetanei che tengono le distanze da lei, si offre volontaria. Stringe una misteriosa mano di ceramica e pronuncia le fatidiche parole “Talk to me”. Dinanzi a lei una arcigna figura si manifesta, una presenza che solo lei può vedere ma che, attraverso il corpo e la voce di Mia, terrorizza tutti i presenti. Nonostante la traumatizzante esperienza, Mia vuole riprovare giorni dopo la possessione, conscia del fatto che fin quando dura meno di 90 secondi nulla di male può accaderle. Ma la situazione sfugge di mano (scusate il gioco di parole, LOL) quando il giovanissimo Riley partecipa in prima persona, venendo posseduto da quello che par essere lo spirito della madre di Mia che, desiderosa di parlare nuovamente con la madre defunta, costringe Riley ad oltrepassare il limite di tempo.

Talk to Me, il nuovo horror targato A24, ha ottenuto consensi praticamente unanimi in tutta l’America, generando un’ondata di curiosità generale inarrestabile. Inutile dire che è sulla bocca di tutti, ma perché? Cos’ha di così speciale rispetto agli altri film di genere?

Onestamente ho sempre pensato che ciò che terrorizza di più l’uomo è l’ignoto e le infinite possibilità di contatto con ciò che non conosciamo. Archetipi come il vampiro, il licantropo, lo zombie, possono spaventare il pubblico ma sono figure irreali, totalmente fittizie. Ma il brivido lungo la schiena che ti genera una presenza maligna a te sconosciuta, la possibilità di non essere soli, l’invisibile che diviene visibile, è una paura tangibile. Talk to Me – che di certo è figlio del capostipite dei film sulle possessioni per eccellenza e cioè L’Esorcista del da poco scomparso William Friedkin – si nutre dei nostri timori tanto quanti gli spiriti maligni divorano le menti ed i corpi dei protagonisti.

Talk to Me però non vuole essere solamente un film di genere, ma si fa portavoce di un tema contemporaneo che è sempre bene portare allo scoperto: la dipendenza da droghe. Le sedute spiritiche altro non sono che la metafora dell’uso di sostanze stupefacenti, seducenti agli occhi più giovani e immaturi, totalmente devastanti per coloro che non sanno dire di no. Mia, dilaniata dal profondo dolore generato dal lutto, abbandona la retta via per abbracciare la perdizione, perché sentire qualcosa di diverso è meglio di avvertire il vuoto dentro.

Vediamo questi giovani filmare le varie possessioni coi loro telefoni, pronti a postare i video in rete, generando così un’ondata di interesse generale e curiosità. Le sedute diventano virali, un trend da provare sulla propria pelle, perché non ci si può sottrarre dalla boriosa e famelica collettività che t’inghiotte nel proprio caos. Ed è così che Mia e Riley vengono tentati e divorati da un circolo vizioso che non ha lieto fine. È così che si precipita nel tunnel sinistro della dipendenza.

Eppure, oltre la sanguinosa scia di morte, la pellicola vuole essere un invito all’ascolto, talk to me per l’appunto, parlami. Perché troppo spesso ci ritroviamo abbandonati al nostro stesso dolore, avvolti dalla solitudine, incapaci di dare voce ai nostri incubi interiori. La triste sorte di Mia appare quasi profetica quando ad inizio film la vediamo rifiutare di prestare soccorso ad un canguro agonizzante a terra. “Arriverà qualcun altro”, dice singhiozzante a Riley, sorpassando in macchina la povera bestiola ferita. Perché spesso e volentieri preferiamo girarci dall’altra parte, pensare che un’altra persona offrirà il proprio aiuto, evitando così di esporci, di venir toccati dal dolore altrui.

L’indifferenza dinanzi al malessere umano è una piaga orrenda tanto quando l’abuso di droghe, perché non si può combattere con alcuna arma se non con l’invito ad essere empatici ed i fratelli Philippou si fanno portavoce di questo dramma che negli ultimi anni più che mai sta infestando ogni generazione, specie le più giovani.

Tendere la mano al prossimo è più che mai necessario, ma è proprio la mano ad assumere un aspetto minaccioso, del resto non sarebbe il primo caso in cui questo soggetto anatomico viene sfruttato nel filone horrorifico per incutere terrore. Le mani nel cinema horror sono simbolo di tentazione, un richiamo irresistibile al commettere un passo falso. In Suspiria (2018) di Luca Guadagnino le mani fungono da traghettatori di potere fra una strega e l’altra, sublimando desideri ed orrori. Quando Susie (Dakota Johnson) manifesta il desiderio di diventare la mani della compagnia di danza di cui fa parte, si fa carico dell’enorme responsabilità di governare la congrega, non come una leader ma come una misericordiosa serva di un bene/male superiorie, capace di togliere la vita come di alleviare le pene. In La Mano (1981) di Oliver Stone l’arto reciso di un fummettista prenderà vita proria vendicandosi dei torti subiti. Sono molteplici gli esempi di mani come vere e proprie protagoniste dei film. Se siete interessati a saperne di più, vi lascio una lista di titoli a tema in fondo alla pagina.

L’opera prima dei fratelli Philippou regala goduriosi momenti di gore e jumpscare ben congeniati, presentando quello che solo all’apparenza pare essere un banale teen movie ma che in realtà è un film che offre dinamiche più profonde. Certamente la sceneggiatura essenziale (molti sono i punti interrogativi lasciati allo spettatore) ma ugualmente capace di Danny Philippou e Bill Hinzman è un elemento cruciale nel dipingere un ritratto così viscerale del dolore di Mia, ma il vero cuore palpitante di Talk to Me è la performance disarmante di Sophie Wilde. Con i suoi grandi occhi magnetici e la sua corporatura esile, a volte assomiglia più a un animale selvaggio che ad una giovane donna, costantemente curva su se stessa, in tensione e contorta come una tossicodipendente quanto più inizia a fare affidamento sul potere della mano.

Sophie Wilde dà vita a due distinte sfacettature di Mia in netto contrasto fra loro, quella addolorata ma umana d’inizio film e quella paranoica ed in preda ai deliri in seguito alle possessioni. Il fatto che siamo in grado di notare una differenza così netta del cambio di personalità del personaggio è testimonianza di quanto Sophie abbia pieno controllo della sua fisicità. Non nascondo che alcune scene sono tropes che abbiamo già visto in innumerevoli occasioni: prefigurazioni con animali morti, riflessi spettrali sui vetri delle finestre e sugli specchi, ma questi elementi sono impiegati a servizio di una storia così emozionante che è facile perdonare qualche cliché qua e là. Insomma, il fine (e specialmente, il finale di Talk to Me) giustifica i mezzi!

Capita a tutti, almeno una volta nella vita, di sentirci come un contenitore vuoto, senza stimoli, smarriti e abbandonati a noi stessi. Sappiate che ci sarà sempre quella persona pronta ad ascoltarvi, a cuore aperto, a prendervi per mano se necessario per riportarvi sulla careggiata, ma non cedete mai alla tentazione di perdervi nell’oblio. Talk to me.

Talk to Me arriverà nelle sale italiane dal 28 settembre 2023, distribuito da Midnight Factory.

– Angelica

E come promesso, ecco una lista di film horror in cui le mani regnano sovrane:

  • Orlacs Hände (1924), dir. Robert Wiene
  • Amore folle (1935), dir. Karl Freund
  • La mano del diavolo (1943), dir. Maurice Tourneur
  • Il mistero delle cinque dita (1946), dir. Robert Florey
  • Le mani dell’altro (1960), dir. Edmond T. Gréville
  • La mano strisciante (1963), dir. Herbert L. Strock
  • La famiglia Addams (1964), serie tv
  • Le cinque chiavi del terrore (1965), dir. Freddie Francis
  • La maledizione (1973), dir. Roy Ward Baker
  • La mano (1981), dir. Oliver Stone
  • La Casa 2 (1987), dir. Sam Raimi
  • Waxwork – Illusione infernale (1988), dir. Anthony Hickox
  • La famiglia Addams (1991), dir. Barry Sonnenfeld
  • Waxwork 2 – Scomparsi nel tempo (1992), dir. Anthony Hickox
  • Giovani diavoli (1999), dir. Rodman Flender
  • Splinter (2008), dir. Toby Wilkins
  • Suspiria (2018), dir. Luca Guadagnino