Il segreto che Liberato ha tenuto sotto il tappeto dal 2017, oggi con la sua rivelazione gli è valso davvero la liberazione: dal 9 maggio 2024 è diventato noto a tutti che l’identità della musica di Liberato ha consacrato un percorso avulso dalle dinamiche del mondo della produzione musicale, e si è consolidata assecondando solo le proprie condizioni.

A dispetto di quanto si sarebbe creduto, per tutto questo tempo, l’anonimato non è riuscito ad escludere congetture dalle menti più sospettose dei fan e non, e soprattutto non ha lasciato spazio alla scrittura di una storia propria, che è la vera dichiarazione di intenti di una non-identità come Liberato.

Grazie a questo documentario, che ci appare più il suo manifesto, Liberato sembra si sia definitivamente affrancato dalla narrazione che per anni ha cementificato le pareti della sua notorietà e ha preso le redini della scrittura della sua esperienza, della sua vita e della sua musica.

Adagiato con estrema spontaneità sul labirinto di cemento che aveva fatto da scenografia al video del primo e proverbiale singolo “9 maggio” del 2017, Francesco Lettieri immediatamente abbatte la fortezza dell’immaginario di chi ha sempre ipotizzato un segreto, indissolubile accordo tra l’anonimo cantautore e musicista, e il regista che nel 2017 sbarcava il lunario con i sedicenti “Cazzimma Brothers”.

Le testimonianze di chi con un salto nel vuoto ha scommesso tutto con lui e per lui, – ma non su di lui, perché lui soltanto lo ha fatto – ci sembrano rivelare che ora Liberato può essere veramente libero dai giochi di speculazioni e dalle ipotesi cospirative che attribuivano lo studio dell’idea arrangiata ad arte e la sua innegabile capacità d’insinuarsi a un “progetto”, a un’associazione di potenti con immani e indiscutibili mezzi in grado di assicurare la riuscita dell’impresa.

Mentre tutti ci stavamo chiedendo chi potessimo essere – qualora ne fosse stata ammessa la possibilità –, che foto postare a riprova della rinnovata identità, o quale coerentissimo influencer seguire, Liberato decideva che la determinazione del suo potenziale essere o non-essere non potesse passare per l’approvazione dell’esperto di turno e che più niente e nessuno potesse irretirlo con ammalianti promesse: «Nessuna città più di Londra ti chiede tutto senza dare nulla in cambio» dice con la propria voce Liberato quando spiega che sin dall’inizio i suoi progetti gli avevano fatto pensare di doversi allontanare da Napoli.

Adesso si potrebbe ancora insistere a parlare dell’ennesima storia scritta nel segno dell’autoreferenzialità venata di narcisismo, ma non è questa la versione che più si avvicina alla verità: Liberato ha scelto di essere nessuno, neanche sé stesso, nelle sue dichiarazioni musicali non vi è mai nessun riferimento spiccatamente né lontanamente assimilabile alla sua vita personale, tale da permettere che lo si riconosca dalle avventure che canta e che fa mettere in scena.

La passione di Liberato per la musica, come si vede dal lungometraggio e ancor di più dalla sua carriera, non indulge mai all’autocompiacimento né all’esibizionismo, e anzi ignora – non ci è dato sapere se intenzionalmente o meno – le rappresentazioni negative e discriminatorie dell’identità meridionale che passano proprio per il suo peculiare dialetto e per quell’atteggiamento eccessivamente mellifluo e struggente che invece qui diventano l’emblema della sua narrazione testuale, musicale e visiva e sua marca distintiva.

Se in qualche elemento pur occorre che si ammettano le sue presenza e padronanza sull’impresa, risiede certamente nella volontà di apparire così lontano, impercettibile e non identificabile, da essere incondizionatamente libero di esserci accanto per sedersi e mangiare una pizza, proprio là mentre siamo occupati a spiegare agli amici che no, ormai non importa più scoprire chi è Liberato.

Simona Maione