Pablo Larraín torna alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con un nuovo dramma opulento ispirato ad una delle donne più carismatiche del ventesimo secolo, l’inarrivabile Maria Callas, l’usignolo greco-americano che ha incantato con la sua voce i palcoscenici più prestigiosi del mondo.

Maria si colloca all’interno della trilogia di ritratti firmati dal regista cileno e, come in Jackie (2016) e Spencer (2021), descrive alla perfezione gli stati d’animo più oscuri e viscerali di una donna che sembrava possedere tutto, ma che in realtà era divorata da una spietata solitudine.

Ad interpretare il leggendario soprano è l’eterea Angelina Jolie che, dopo Changeling (2008) e By The Sea (2015), si mostra nuovamente all’altezza di un ruolo complesso e ben noto al pubblico come quello di Maria Callas, definendo la performance più ambiziosa della sua carriera.

Il film si apre con il suo primo piano in bianco e nero durante il canto dell’Ave Maria tratta dall’Otello di Giuseppe Verdi e stabilisce immediatamente il tono dell’intera opera, la più malinconica e delicata di Larraín. Quest’ultimo si professa conoscitore della musica lirica e per questo traspare visibilmente il suo amore per il personaggio al quale attribuisce con il suo lavoro tutta la potenza e maestosità che le appartiene.

Ambientato negli ultimi quattro anni di vita di Maria, il film è una ghost story tra presente e passato, dove i grigi ricordi si scontrano con un doloroso presente nel quale la malattia annienta il suo fragile corpo e la sua mente in preda a deliri ed allucinazioni.

Nella sua affascinante dimora Parigina, in compagnia dei suoi devoti compagni, il maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e la governante Bruna (Alba Rohrwacher), il soprano rivive i momenti più importanti della sua vita a partire dalle performance di Violetta nella Traviata di Giuseppe Verdi e quella di Anna Bolena di Gaetano Donizzetti, fino alle sontuose feste con il magnate greco Aristotele Onassis. Quest’ultima cerca di aggrapparsi a quei ricordi immaginando di essere intervistata dal giornalista Mandrax, rinominato come il suo farmaco preferito, per la ricostruzione dei momenti focali della sua carriera e la scrittura della sua autobiografia.

Durante le sue passeggiate nei Jardin Du Luxembourg ed aperitivi nei Cafè, Maria ripercorre i traumi subiti durante l’occupazione nazista ad Atene ed il dolore di vivere il suo amore per Onassis all’ombra della rivale first lady americana Jackie Kennedy. Angelina Jolie in questa performance è regale, carismatica e quasi intangibile, capace di trasmettere con il suo volto il pathos e lo sforzo richiesti durante il canto lirico, dipingendo su se stessa alla perfezione il fascino di un’artista così rara ed indimenticabile.

Larraín, grazie alla scrittura di Steven Knight ed i magnifici costumi di Massimo Cantini Parrini, immerge lo spettatore all’interno del mondo dell’opera lirica, portandola al grande pubblico allo stesso modo in cui lo fece Maria Callas al suo tempo, consapevole che l’arte appartenga a tutti coloro che vogliano apprezzarla. Tra un’aria di Bellini ed una di Puccini, il regista ci fa scoprire il lato più fragile ed umano di una donna che ha paura di perdere la sua voce, la cosa più grande che per anni l’ha definita e l’ha fatta sentire amata, creando delle immagini eterne che con nostalgia e commozione elogiano una delle più grandi Dive degli ultimi tempi.

Riccardo