“Hai mai sognato di avere una versione migliore di te?”

Presentato in concorso alla 77a edizione del Festival di Cannes dove ha vinto il Prix du Scénario, The Substance segna il ritorno dietro la macchina da presa – dopo sette anni dal suo primo lungometraggio, Revenge (2017) – di Coralie Fargeat. E che ritorno, signori miei. Che ritorno.


Elizabeth (Demi Moore) è un’attrice in declino ormai reclusa ad un network dedicato a programmi di fitness. La sua vita ormai ruota intorno a questo, non ha famiglia né amici, la pubblicità di “the substance” è il primo appiglio di speranza. Si tratta di una che promette di creare una versione migliore di noi stessi, più giovane e bella. Una volta assunta, dalla sua schiena squarciata esce Sue (Margaret Qualley), il suo alterego giovane e semplicemente… perfetto.

Le due versioni si alternano ogni sette giorni e devono coesistere in maniera equilibrata ricordando costantemente che esiste sempre e solo un noi: l’uso del siero verde fluo (un po’ brat) ha delle regole da rispettare per evitare di incorrere in spiacevoli controindicazioni.

Il corpo femminile sempre perfetto, tonico e prestante al servizio degli uomini, il branco a capo del network televisivo. Glutei, seno, labbra carnose e cosce in vista: perché alla fine questo siamo ai loro occhi, dei pezzi di carne. E alle donne non si perdona che invecchino. Non è permesso. Elizabeth insegue degli standard di bellezza malsani e irraggiungibili. E Coralie Fargeat – come in Revenge (2017) – ribalta il concetto di male gaze: noi vediamo tutto ciò che compiace l’uomo pur percependo quel senso di disagio che quegli sguardi non richiesti trasmettono.

È monumentale il lavoro sul sonoro, in cui c’è un’enfasi particolare sul ripugnante. Liquidi corporei, vomito, sangue che sgorga, ma anche il rumore del cibo mangiato a 2 cm dalla macchina da presa da Dennis Quaid. È disgustoso. Tutto questo che si contrappone a quella patinatura da polvere di stelle che la sostanza finge di promettere. Perché alla fine tutto è momentaneo e per quanto Sue voglia prevalere su Elizabeth e godersi la sua serata da “principessa del ballo” deve svegliarsi dal sogno e rendersi conto di non essere in Cenerentola, ma in Carrie (1976). Più si va avanti più la perfezione va scemando, lasciando spazio ai corpi putrefatti e deformi. Bisogna scendere a patti col fatto che tutti invecchiamo.




C’è un’attenzione quasi maniacale per i dettagli, a partire dalla scenografia, i cui ambienti minimal e dai colori accesi e in palette sono – fra i tanti riferimenti – un palese omaggio a Shining (1980) di Kubrick. E a proposito di dettagli, la Fargeat riprende degli stilemi a cui già ci aveva abituati in Revenge (2017), come i close-up sugli insetti, nel primo la formica adagiata sulle macchie di sangue, la mosca che ronza intorno al cibo in The Substance e ricorda anche che solitamente svolazza intorno a ciò che è in putrefazione. E poi l’orecchino a forma di stella, che è un po’ il suo brand.


The Substance è un po’ il mio Joker: Folie à deux (2024), dove Demi Moore e Margaret Qualley convivono in una simbiosi completamente equilibrata. La Moore – come Nicole Kidman in Babygirl (2024) – si mette in gioco prestando il suo corpo e le sue insicurezze al servizio della storia, è strabiliante. Così come la Qualley è una certezza.

Pop, grottesco, gore, splatter, a tratti ironico, che strizza l’occhio a padre Cronenberg e a Death Becomes Her (1992), The Substance è body horror, ma anche un manifesto femminista, scritto e realizzato da una delle più grandi menti nel panorama cinematografico attuale: Coralie Fargeat.

Dal 18 ottobre inizieranno delle proiezioni in anteprima per tutta Italia. L’uscita ufficiale nelle nostre sale è il 30 ottobre. Sarà un’esperienza indimenticabile.
Marika
