Quante volte è capitato che un film presentato ad un festival cinematografico abbia ricevuto un’ode talmente incontenibile – da parte di critica e pubblico – da porvi la seguente domanda: ma è davvero così meritevole? Ebbene, miei cari cinema lovers, preparatevi, perché questa volta l’hype è totalmente giustificato. Il Robot Selvaggio (The Wild Robot) è un film d’animazione distinto e personale. Splendidamente animato, raccontato con puro amore, emozionante e del tutto inaspettato. Inizia come una commedia, evolvendosi poi in un dramma commovente, fino a trasformarsi in un’esplorazione trascendente di sentimenti potenti. Ho pianto, eccome se ho pianto. Ho pianto così tanto non solo perché la storia e i personaggi sono meravigliosi, ma soprattutto per la gioia di aver scoperto un’opera così speciale che sono già certa terrò stretta al mio cuore per diverso tempo.

The Wild Robot narra la storia dell’unità ROZZUM 7134 (abbreviato ROZ), un robot che giunge per errore su un’isola popolata da simpatiche creature della foresta. Quando ROZ viene attivata accidentalmente, lei “riprende vita” ed è intenta a cercare il suo proprietario. È stata progettata per svolgere con gioia qualsiasi compito le venga assegnato, e quando scopre che non ci sono persone sull’isola, si ferma ad ascoltare gli animali attorno a lei, imparando gradualmente le loro lingue, nella speranza che le dicano cosa fare della sua vita. Peccato che nessun animale la voglia, chiamandola mostro poiché così differente da tutti loro. È universalmente temuta, uno strano essere che afferma di voler aiutare, in una terra dove ogni creatura vivente viene costantemente divorata dalle altre. Ed è qui che The Wild Robot si differenzia da ogni altro film d’animazione con protagonisti degli animali: la natura non è un luogo gentile, non importa quanto tu sia adorabile – coi tuoi occhioni dolci e il pelo morbido – se non farai attenzione, verrai mangiato. È il ciclo della vita, dover approcciarsi con la morte inevitabile. Non c’è da stupirsi che tutte le creature dell’isola diffidino della gentilezza di ROZ.

ROZ trova il suo scopo dopo aver ucciso accidentalmente un’oca e distrutto tutte le sue uova, tranne una, rimasta miracolosamente illesa. Almeno ora c’è qualcuno che ha bisogno di lei. Strappa l’uovo dalle grinfie di una volpe di nome Fink ed alla fine accetta il suo importante compito: alleverà quest’oca, Beccolustro, e le insegnerà a nuotare e a volare, in modo che possa sopravvivere all’imminente inverno. ROZ vuole essere madre ma non prova alcuna emozione. Fink, per sopravvivere ai predatori che gli danno la caccia, si finge un esperto di oche ed affianca ROZ nella sua missione. L’atto di svolgere il lavoro di allevare un figlio li cambia gradualmente.

Potrebbe essere sufficiente per alcuni film, l’idea di un robot che apprende l’amore semplicemente facendo “cose da mamma” è già abbastanza adorabile di per sé. The Wild Robot potrebbe interrompersi qui e il film andrebbe benissimo. Invece ci troviamo dinanzi ad una pellicola che sboccia e fiorisce, esplorando la profondità dei legami familiari, le complessità di un sistema sociale in via di sviluppo. Il mondo di The Wild Robot è ricco di flora e denso di fauna. L’atteggiamento del film nei confronti della vita e della morte è abbastanza semplice da poter essere compreso da un pubblico giovanissimo, e abbastanza complicato da impressionare l’adulto dal cuore più freddo.

Anche il cambiamento climatico fa capolino all’interno della narrazione, soprattutto quando la storia si espande per osservare uno sterile sistema di produzione idroponica – gestita da robot quali ROZ è – lontano dai fiorenti ecosistemi dell’isola verdeggiante. Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo in questo Eden ammaliante, da dimenticarci delle reali preoccupazioni che colpiscono il nostro mondo. Ma il film bilancia egregiamennte i momenti più bui e quelli più scanzonati, portando The Wild Robot a camminare sul filo del rasoio tra amicizia donchisciottesca e verità spietate.

Lo sceneggiatore e regista Chris Sanders – che qui ha adattato il libro omonimo di Peter Brown – ha già co-diretto i classici animati Lilo e Stitch e Dragon Trainer. Codesti film erano, in fondo, semplici storie su un improbabile eroe che diventa il custode di una strana creatura, ma nessuno di questi film si accontentava di presentare al pubblico facili banalità, spingendo invece la capacità del mezzo animato di intrattenere, arricchire e divertire. Il suo primo lavoro da solista è stato l’adattamento del 2020 di Call of the Wild, su un anziano e un cane che stringono un legame nel gelido Yukon. Chris Sanders ha una certa propensione nel realizzare film sull’apprendimento dell’amore e ha superato se stesso con The Wild Robot.

Forse potrà sembrare un’affermazione azzardata, ma quest’anno DreamWorks Animation celebra il suo 30° anniversario con il miglior film d’animazione realizzato da moltissimi anni. The Wild Robot prende vita grazie al suo design dettagliato. Le immagini spettacolari a cui assistiamo adottano un approccio anti-verosimiglianza e per questo sono più evocative. Immagina una grotta scoscesa inghiottita dalle onde, prati punteggiati di fiori ispirati alle opere di Monet e un tronco d’albero ricoperto di farfalle sfavillanti e svolazzanti. Questi paesaggi impressionistici difficilmente si basano su ambienti reali. La loro funzione è quella di permeare l’ambiente di ROZ con meraviglia e fantasia, evitando il realistico a favore dell’incanto. Gli artisti sono stati in grado di dipingere nell’ambientazione 3D per ottenere il meglio da entrambi i mondi: bellezza organica e movimento dinamico della videocamera. Armata di nuova tecnologia, la DreamWorks ha dipinto a mano tutti gli scenari, con pennellate che danno l’illusione della geometria e del dettaglio. Hanno anche applicato texture 2D e ombreggiature a ROZ e agli animali con la stessa tecnica della pennellata. La missione del team artistico è stata quella di prendere un robot in CG e farlo addentrare in un mondo dipinto a mano, e più tempo ROZ trascorre nella natura, tanto più cambia il suo aspetto. Ha ammaccature e graffi, le crescono addosso muffe e piante spontanee. Lei ora appartiene alla foresta tanto quanto gli animali.

Non è solo la bellezza delle immagini ad aver coinvolto emotivamente il pubblico, ma anche i temi di famiglia e comunità che hanno toccato il cuore di Kris Bowers, compositore del film alla sua primissima incursione nel mondo dell’animazione. Ha iniziato a lavorare sulla partitura poco dopo la nascita di sua figlia e ha trascorso i due anni successivi a perfezionare la musica. Per dare corpo alla colonna sonora, Bowers sapeva che era necessario includere l’idea di famiglia ed il modo in cui l’isola la rappresenta. La risonanza emotiva del legame tra ROZ e Beccolustro colpì Bowers e lo fece riflettere sul suo rapporto con la figlia. Bowers ha scritto oltre 80 minuti di musica per The Wild Robot. Si è tenuto alla larga da strumenti che potrebbero essere collegati a culture specifiche. Cercando di trovare un suono selvaggio e futuristico, Bowers ha scoperto un gruppo corale, Sandbox Percussion, quattro uomini che suonano set di percussioni. “Utilizzano bottiglie di vetro tutte armonizzate, tazze da tè, assi di legno e campanacci”, ha dichiarato Bowers. “Ho sentito che quel suono sarebbe stato una trama interessante per rappresentare la natura selvaggia.”

E non temete se arrivati alla fine del film, le immagini vi sembreranno sfocate: sono i vostri occhi ricolmi di lacrime che confondono contorni e proporzioni, dinanzi ad un’opera disarmante e soave che potrebbe – in futuro – divenire un classico dell’animazione. Io ci voglio credere.

Angelica