Tutto ebbe inizio 23 anni fa, quando un’attivista con poca capacità d’ascolto, liberò una scimmia chiusa in una gabbia di un laboratorio nonostante l’avvertimento che avesse contratto la rabbia. Ma se l’attivista fosse stata una persona intelligente, il film si sarebbe concluso a cinque minuti dal suo inizio, e dunque grazie brava donna per aver adempiuto alla tua missione ed averci fatto dono di 28 Giorni Dopo, cult del genere horror distopico.

Ci sono registi che sono di parola, che quando dichiarano “Farò quel sequel”, effettivamente rispettano il volere dei fan, basti pensare a David Lynch con Twin Peaks: The Return. Certo, ci sono voluti ben 25 anni per vederne la luce, ma siamo ritornati alla Loggia Nera ed i nostri desideri sono stati appagati.

Ebbene, 23 anni abbiamo atteso, speculando su un possibile ritorno in scena di Cillian Murphy (spoiler: non c’è), ma ecco che il duo delle meraviglie Danny Boyle e Alex Garland sentiva la mancanza quanto noi degli infetti, e hanno sfornato 28 Anni Dopo.


Chi si aspettava un film in stile The Walking Dead con gente zombificata che corre senza sosta e morti ovunque, beh, rimarrà deluso, per quanto le uccisioni in questo film siano assai goduriose. Ma 28 Anni Dopo si pone altri obiettivi oltre l’orizzonte.

28 Anni Dopo incentra saggiamente la sua azione sul dodicenne Spike (Alfie Williams), un abitante della fortificata Holy Island che muove i primi passi nella natura selvaggia come cacciatore in addestramento con il padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson). Abbastanza giovane da voler portare un giocattolo a caccia, ma abbastanza grande da sapere che è roba da bambini, la vulnerabilità e il coraggio di Spike sono costantemente in conflitto mentre assiste ai terrori del virus che ha infestato la terraferma.

Alfie Williams – al suo debutto cinematografico- affronta senza sforzo le oscillazioni tra questi due poli opposti, contribuendo a radicare 28 Anni Dopo in un realismo emotivo che evoca ciò che Cillian Murphy ha raggiunto in 28 Giorni Dopo. Sì, Spike commette errori ed esita, ma raramente, se non mai, queste azioni sembrano quelle di un bambino indifeso in un mondo così crudele. Al contrario, Boyle ribadisce costantemente l’idea che Spike e i suoi coetanei siano stati costretti a crescere troppo in fretta. Il modo in cui i cittadini di Holy Island celebrano l’ascesa di Spike al ruolo di cacciatore, per quanto bonario, ha un che di inquietante, di violenza che genera violenza, sottolineato dai montaggi di bambini soldato e dalla poesia di guerra di Rudyard Kipling disseminata nel montaggio. Holy Island costituisce un microcosmo di isolazionismo efficace, seppur non così sottile, e le minacce che sembrano dare più fastidio ai cittadini risulteranno profondamente familiari a chiunque non abbia vissuto sotto una roccia negli ultimi cinque anni.

Jamie, che all’epoca dell’epidemia iniziale avrebbe avuto più o meno l’età di Spike, offre una visione più spinosa di come la virilità si sia evoluta in questa quarantena decennale. È incredibilmente paziente e solidale – persino tenero – nei confronti di Spike nei momenti che condividono insieme, ma Jamie impreziosisce le sue doti di uomo con una rozza spavalderia, figlio del puro machismo. È sufficiente a rendere il ragazzo ancora più insicuro sui suoi principi fondamentali di sopravvivenza. Taylor-Johnson incarna questi aspetti contrastanti della paternità senza però diventare troppo monotono.

Il trattamento distaccato di Jamie nei confronti della madre malata di Spike, Isla (Jodie Comer), crea un ulteriore divario tra i due, soprattutto quando Spike si rende conto che entrambi avrebbero potuto fare di più per aiutarla. Isla sperimenta attacchi quasi costanti di disorientamento e dolore, mettendo Spike in una posizione di accudimento che accelera ulteriormente il suo percorso di crescita. È un lavoro ricco quello di Jodie Comer, e sebbene la mente distratta di Isla la renda un personaggio leggermente meno concentrato di per sé, il suo amore per Spike traspare dal suo dolore. Le lezioni che gli dà finiscono per essere ancora più preziose dei consigli del padre su come eliminare gli infetti in un colpo solo e sull’importanza di comprendere i valori di vita e morte.

Ed è qui – per la seconda parte del film, proprio in seguito alla sua scelta di allontanarsi dal padre per accudire la madre – che Spike viene affiancato da una seconda figura paterna del tutto anticonvenzionale e sorprendentemente positiva: il dottor Ian Kelson (Ralph Fiennes). Il misterioso emarginato che vive sulla terraferma con la passione di bruciare cadaveri in massa, fa un’entrata in scena alquanto buffa per il canone, che spezza il ritmo serrato e angosciante della caccia aperta agli infetti, dando spazio ad alcuni dei materiali più potenti della storia.  La presenza di Kelson restringe considerevolmente la portata del terzo atto, ma, senza essere troppo specifici su cosa stia facendo aggirandosi in quel Tempio delle Ossa, è assolutamente la scelta giusta per la prova finale di Spike. E Fiennes offre un’interpretazione semplice, ma efficacemente devastante. Dopotutto, come spesso accade nella narrativa sugli zombie, forse i veri mostri siamo noi, ma il dottore solitario insegnerà a noi e al protagonista, che per scelta possiamo decidere di non piegarci allo stato ostile in cui versa l’umanità e scegliendo così d’essere migliori.

Buoni propositi non facili da seguire, ne è quasi una metafora il montaggio scattoso e psichedelico della regia di Boyle, il quale, insegue le texture da guerriglia cinematografica della rivoluzionaria fotografia digitale di 28 Giorni Dopo girando 28 Anni Dopo principalmente con iPhone 15 Max Pro. Le dimensioni ridotte di questi telefoni, rispetto alle grandi e ingombranti cineprese, consentono una copertura estremamente cinetica durante le scene d’azione. Come lo stesso Boyle l’ha definito, c’è un effetto “bullet time dei poveri” che accentua alcune uccisioni. Quel movimento di macchina sfuggente viene raramente utilizzato anche per accentuare il carattere, come quando Boyle vuole sottolineare la rabbia ribollente di Jamie concentrandosi su un coltello che ha in mano ed effettuando solo un piccolo spostamento per ricordarci che il virus non crea la furia, ma la amplifica semplicemente oltre ogni ragionevolezza. Boyle sfrutta la fotocamera dell’iPhone anche in condizioni di scarsa illuminazione, dipingendo gli incubi zombie di Spike con i rabbiosi occhi rossi della visione notturna.

Il viaggio di Spike e Isla è tanto melanconico quanto spaventoso, con una vena alla Apocalypse Now che lo percorre. Troviamo anche trattati metafisici su tutto, dalla morte e l’invecchiamento alla nascita e al rinnovamento. È facile vedere la più recente propensione di Alex Garland per l’esplorazione interiore manifestata nella sceneggiatura, e la sua profonda analisi dei traumi umani. Pur rimanendo sempre fedele alla “realtà” del mondo che lui e Boyle hanno creato nel 2002, questo film non ripercorre alcun terreno già esistente. Quando il film vira più vicino ai cliché degli zombie movies che abbiamo visto negli ultimi trent’anni, è molto meno efficace. Il sangue è estremo e gli spaventi abbondanti, ma è la seconda parte di gran lunga a spiccare, più contemplativa e cupa. Ci vuole tempo per affrontare la morte con più maturità di quanto ci si aspetterebbe, e con Kelson a ricordarci il Memento Mori, viene chiesto a un attore fenomenale come Fiennes d’incarnare quel valore filosofico dell’amore che persiste, che ancora può renderci umani in un mondo ormai diventato anti-umano popolato da persone disumane. Un concetto, questo, antico quanto la civiltà stessa, passato da Priamo di Troia fino all’eccentrico eremita, le cui membra aranciate di Iodio spiccano assai calde e fluorescenti, rispetto al suo candido tempio commemorativo.

Allora sì, con Spike potremo dirci pronti a varcare il livello successivo, quello che ci farà restare sul continente – nonostante gli infetti corrano veloci e siano tanti – per un’avventura solitaria (o quasi…) non più circoscritta dalle insicurezze, ma dettata da una sbocciata maturità e rinnovato coraggio.

memento mori, memento amoris

Angelica e Laura