“Non sono nata rossa, ma sono nata per essere una rossa”

(Rita Hayworth)
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Erano gli anni Trenta del Novecento, quando la giovane ballerina di flamenco Margarita Carmen Cansino, di famiglia spagnola, si trovava -un po’ per forza, un po’ per svago- a viaggiare l’America in cerca di fortuna con il padre Eduardo, affermato coreografo.
Dopo alcuni impieghi da ballerina e discreti successi, tuttavia, si decide -a scapito di deludere i suoi genitori- ad abbandonare la strada della danza per dedicarsi alla sua più autentica passione: quella del cinema.
È il 1935 e la giovanissima Margarita incontra il produttore Henry Cohn, noto per il suo lavoro alla 20th Century Fox, che la nota e le procura i primi veri lavori nei film, ma ad una condizione: “cancellare, dimenticare la giovane spagnola Margarita e trasformarsi in Rita. Ma non Rita Cansino, che suona ancora troppo latineggiante e poco appealing per il pubblico… Rita Hayworth.”
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Giovanissima Margarita Cansino, prima della grande trasformazione che la rese celebre
Ma una ragazza dai capelli scuri, il corpo voluttuoso ed i caratteristici tratti ispanici non avrebbe potuto mai avere successo a Hollywood, se non in marginali parti esotiche, così a Rita vennero chiesti ulteriori sacrifici.
Si mise a dieta, accettò di tingere i capelli di rosso vivo (quello Strawberry Blonde, che interpreterà nel 1942) e si sottopose a dolorose sedute di elettrolisi, che facesse retrocedere la linea d’attaccatura dei capelli, originariamente molto bassa sulla fronte e sulle tempie, così da scoprirle il volto e renderla più “americana”.
E fu così che, giusto in tempo per gli inizi degli anni Quaranta, Margarita Cansino era diventata Rita Hayworth.
Le sue doti di ballerina vennero messe immediatamente a frutto nei musical You Were Never Lovelier e Cover Girl rispettivamente accanto a Fred Astaire e Gene Kelly: era stata costretta dalla madre a prendere lezioni di ballo per molte ore al giorno in giovanissima età infantile ed ora -nonostante la scarsa passione di Rita per la disciplina- il suo innegabile ed innato talento naturale si rivelava finalmente molto utile nonché proficuo: gran parte della fama della Hayworth è infatti legata alle doti danzanti e musicali, ereditate dalla famiglia spagnola e tra i suoi ruoli più famosi si annoverano sicuramente quelli nei musical sopracitati.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la stessa sua immagine in abiti da pin-up che rivestiva i muri delle stanze dei soldati fu incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata con l’atollo Bikini: ciò le valse il celeberrimo soprannome di ‘Atomica’. Non molti anni dopo, il suo nome di nascita, Margarita, fu persino scelto per battezzare con tocco glamour il famoso drink.
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Rita posa da pin-up nei primi anni ’40 | LIFE
Ma ciò che fece davvero di Rita una Diva (soprannominata anche “La Dea Dell’Amore”), rendendola celeberrima ed eterna in tutto il mondo, fu assolutamente Gilda, capolavoro noir del 1946 di Charles Vidor.
Nella pellicola interpretava il ruolo di protagonista -Gilda, appunto- una bellissima femme fatale al centro dell’attenzione maschile in una bisca di lusso.
Bellissima, certo, sensuale ed espressiva (come non ricordare quel suo caratteristico scuotere le folte chiome rosse sussurrando “Sure, I’m decent”), ma soprattutto capace di tutto, dalla recitazione, alla danza, al canto: è proprio a ‘Gilda’ infatti che si devono quelle indimenticabili performances di “Put the blame on Mame” e “Amado Mio”, impresse per sempre nella storia del cinema.
La figura di Gilda, affascinante ed emancipata dark lady, avrebbe poi ispirato qualche anno dopo (accanto a quella di Lauren Bacall e Veronica Lake) quella del celeberrimo personaggio dei cartoni animati Jessica Rabbit: l’esibizione di “Why don’t you do right?” è palesemente ispirata a quelle della Hayworth nel noir di Vidor.
Tuttavia, come accade con tutte le più grandi star, Gilda sarebbe rimasto il suo ultimo ed unico ruolo iconico, e -nonostante avrebbe continuato a lavorare ancora molto- nessun film sarebbe mai più riuscito ad eguagliare quel successo, ed il suo potere ad Hollywood andò inevitabilmente calando.
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Ballando con Fred Astaire in “You Were Never Lovelier” (1942)
Perseguitata dalla stampa e dai paparazzi come a poche star era mai avvenuto prima e sarebbe mai accaduto dopo, ebbe una travagliata vita sentimentale: sposata prima con il produttore Edward Judson (di cui ricorderà “lui mi aiutò con la carriera ed io lo aiutai con i miei soldi…”), fu legata poi ad Orson Welles, che ricordò sempre come l’amore della sua vita (con il quale lavorò anche ne La Signora di Shangai nel 1947) dal quale ebbe la figlia Rebecca, ed infine al principe Ali Khan, unione che le procurò non pochi attacchi e critiche dai cattolici più ferventi; gli ultimi due matrimoni, con Dick Haymes e James Hill, si rivelarono tristi e fallimentari.
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In “Gilda” (1946) di Charles Vidor
Forse per queste infelicità nella vita privata, dopo un’infanzia strappata al gioco ed allo studio in nome dello spettacolo, una gioventù costellata di sacrifici, rinunce e piccoli compromessi, ed una carriera che -come la sua bellezza- fu tanto stellare un tempo da rendere drammatico il suo affievolirsi poi, Rita non resse il peso di una vita “perfetta” e dello spietato gioco della celebrità.
Da sempre vittima della depressione e dell’alcolismo -che rese difficili i suoi rapporti con l’amore e soprattutto con sé stessa- il suo bellissimo viso invecchiò precocemente ed il suo carattere dolce si fece più chiuso, ma ciò che la stroncò definitivamente, in età piuttosto giovane (aveva appena cinquantotto anni circa) fu l’Alzheimer, che la uccise in solitudine, lontana dal mondo e da sé stessa, a soli sessantotto anni, nel 1987.
Nell’83 Orson Welles ricordò di averla rivista solo un paio d’anni prima: “non mi riconobbe per dieci minuti buoni almeno, ma quando lo fece e si rese conto di chi fossi, vidi lacrime rigarle il volto”.
Stranamente, a differenza di quanto accadde alle molte altre star perse nel tempo, nessuno dimenticò mai Rita, fu eventualmente lei a dimenticare.
A scordare, insieme alla bellezza dei riflettori, alla gioia del successo e dell’amore del pubblico, anche tutto il dolore e l’infelicità che diventare Rita Hayworth le comportarono.
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Sorridente | GETTY archives
La storia di Rita, una delle più belle, brave e celebri attrici della storia del cinema mondiale che oggi avrebbe compiuto 99 anni, è intensa ma soprattutto attuale oggi più che mai, a dimostrazione di quanto sia difficile per una donna (e non solo, però) realizzare i propri sogni, mantenere uno status, ottenere credibilità, godere di stima e rispetto per ciò che si è, ed anche -e sopratutto- raggiungere quel lontano puntino di felicità.
Buon compleanno dolce Margarita, eterna stella danzante
Carmen