Amor‚ ch’a nullo amato amar perdona. Intenso ed entusiasmante, Call Me by Your Name narra la sofferta educazione sentimentale – con annessa maturazione sessuale – di Elio, sofisticato adolescente, innamoratosi perdutamente del disinvolto e statuario Oliver durante una calda estate italiana che cambia per sempre le loro vite.

Presentato al Sundance Film Festival lo scorso 22 Gennaio, Call Me by Your Name (adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo pubblicato da André Aciman dieci anni or sono) è stato accolto da una pioggia di applausi che lasciava preannunciare un successo che, a poche settimane dalla comunicazione delle nomination per gli Oscar, pare francamente inarrestabile. Acclamata dalla critica e ampiamente apprezzata dal pubblico, la tanto attesa pellicola del siciliano Luca Guadagnino – che ne ha firmato anche la sceneggiatura, scritta a sei mani con James Ivory e Walter Fasano – ha fatto parlare di sé per mesi prima della propria uscita. Non risulta affatto difficile capire perché.

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Timothée Chalamet in una scena del film.

Nonostante abbia premesse tutto fuorché insolite, Call Me by Your Name, nelle nostre sale dal prossimo 25 Gennaio, giunge a conclusioni che sconvolgono lo spettatore e lo obbligano a guardarsi dentro. Proprio come accade al giovane Elio Perlman, che attraverso un travolgente amore sbocciato durante le vacanze estive arriva a scoprire se stesso. Interpretato da un sorprendente Timothée Chalamet, che presto rivedremo nel chiacchierato Lady Bird di Greta Gerwig, Elio è un colto e sensibile diciassettenne ebreo che trascorre le proprie estati nella sontuosa villa di famiglia dove suo padre, stimato professore universitario, accoglie ogni anno uno studente straniero per lavorare alla sua tesi di post dottorato. A fare da sfondo alla vicenda, ambientata nei primi anni ottanta, è la campagna lombarda. Quando dagli Stati Uniti arriva Oliver, attraente – lasciate che lo dica, per Armie Hammer è un eufemismo – quanto sagace, Elio è dapprima quasi seccato dal suo modo di fare tipicamente americano (come dimenticare quel suo Later! che tanto lo stizzisce?), poi la sua irritazione lascia spazio ad un interesse che, fra una conversazione a bordo piscina, una pedalata in bicicletta e una sonata di Bach, si tramuta in un sentimento al quale fatica a dare un nome.

A causa della propria giovane età, Elio non riesce a definire le proprie emozioni, non sa elaborarle né gestirle. La sua passione è come un fiume in piena che non risparmia niente e nessuno. Nemmeno la dolce Marzia, interpretata da Esther Garrel, che ha realmente un debole per lui. Consumato dal desiderio e attanagliato dalla paura del rifiuto, confuso dagli ambigui atteggiamenti di Oliver e tormentato da domande che vorrebbe non avessero risposta, Elio non sa cosa fare. Meglio parlare o morire? Un vero e proprio dilemma che accompagna lo spettatore per tutta la durata del film. Meglio dar voce alle proprie emozioni e rischiare che sogni e speranze si dissolvano come bolle di sapone oppure morire alle prese col rimpianto di non aver mai tentato?

Con una performance che non è destinata a passare inosservata, Chalamet – sostenuto da un magnetico Hammer, dal quale è letteralmente impossibile scostare lo sguardo ogni volta che è in scena – mostra allo spettatore quanto Elio sia vulnerabile e fa breccia nel cuore di chi guarda con una delicatezza fuori dal comune. Ogni suo cenno, ogni suo sguardo (particolarmente emblematica la struggente scena finale, in questo frangente volutamente non riportata) sembra suggerire che tutti, prima o poi, siamo stati Elio. Proprio Elio, che con tutte le contraddizioni e le debolezze che lo contraddistinguono ricorda quanto difficile e disorientante possa essere la stagione dell’adolescenza, in cui sono passioni e turbamenti a fare da padroni. La sua è una condizione universale.

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Armie Hammer e Timothée Chalamet in una scena del film.

Le suggestive immagini, accompagnate da una colonna sonora che rende certamente giustizia alla loro bellezza (meravigliose le tracce composte da Sufjan Stevens) e caratterizzate da una strabiliante attenzione al dettaglio, raccontano bellezza e tragedia del rapporto fra due ragazzi che, ritrovatisi in un vero e proprio vortice di emozioni, condividono qualcosa di assolutamente raro. In una dimensione che sembra quasi senza tempo, Elio e Oliver – diversi ma affini – si incontrano, si scelgono, in un intreccio di corpi e anime che lascia un segno indelebile sulle loro vite.  Nonostante le variazioni apportate al libro, che comunque non disturbano coloro che hanno indugiato fra le sue pagine, Luca Guadagnino ha realizzato un adattamento magistrale. Anzi, se possibile, dopo aver guardato questo film vien voglia di correre ad acquistare, se non a rileggere, lo splendido romanzo da cui è tratto. Le due opere sono complementari, tessere di un puzzle che si incastrano perfettamente. E le aspettative sono decisamente soddisfatte.

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A conclusione di questo sproloquio che spero abbiate (seppur in minima parte) gradito, lasciate che dica quanto perdutamente sia innamorata di questo film. Credetemi, non è soltanto una pellicola visivamente appagante con un cast di tutto rispetto e un regista di innegabile talento. Call Me by Your Name è una celebrazione della vita e del buon cinema che mi ha ricordato, con dolcezza disarmante, che sarei persa se non avessi scoperto la bellezza della settima arte.

E adesso, la parola a Mars

Mi sento insignificante solo a provare a mettere nero su bianco un commento che possa rendere giustizia a Call Me by Your Name. Fortunatamente, Tessa ha saputo rievocare con le sue parole lo spessore di un tale capolavoro. Sì, capolavoro. Lo so che ormai si usa con tanta facilità questa parola, ma in questo caso credo proprio sia la più consona.

Sono trascorsi alcuni giorni dalla visione del film e io sono ancora scossa, sopraffatta dalle tante emozioni che mi ha suscitato. Tristezza e felicità in particolare. Tuttavia, ciò che in realtà ha prevalso è la gratitudine. Mentre guardavo il film, la sentivo crescere sempre di più. È difficile spiegarlo a parole, ma è così che mi sono sentita. La mia è una gratitudine nei confronti del cinema, la mia vita non sarebbe la stessa senza, e Call Me by Your Name è uno di quei film che me lo ha ricordato. Guadagnino ha dato ancora una volta una rappresentazione meravigliosa della regione Lombardia (la regione dove sono nata e vivo), forse anche meglio di come aveva fatto in Io Sono l’Amore (2009), ma soprattutto ha ridato vita ad un libro che si è rubato una fetta del mio cuore.

Ho trovato il film molto più distruttivo del libro. La descrizione degli eventi in quest’ultimo portava con sé una scia dolce–amara, mentre il film per quanto romantico e naturale mi ha semplicemente lacerata. Qualcosa in me si è spezzato, ma non è necessariamente un male. Inoltre, ho trovato che i vari cambiamenti e omissioni rispetto al libro fossero proprio quelli giusti, più ci penso e più mi dico che avrei fatto lo stesso – ad eccezione di una cosa che però non menziono per evitare di incappare in spoiler. Mi sento di concludere questo mio flusso di pensieri, che proviene direttamente dal mio cuore, con un grazie. Grazie a tutti coloro che hanno lavorato a Call Me by Your Name.

Una gemma destinata ad essere ricordata per sempre.

 

P.S.

La nostra Carmen ha realizzato una video–recensione del film, che potete trovare qui. Buona visione!