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Bellissimi e indimenticabili: Alain Delon e Claudia Cardinale in una celebre scena del film italiano tra i più amati al mondo: Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti.

Ci sarà pure un girone dell’inferno per chi non ama il cinema italiano… Ma -del resto- come amare ciò che di questi tempi non si conosce? Come appassionarsi di ciò che non c’è più o se c’è non è più famoso come prima?

Eppure sì, ci fu un tempo -neanche troppo lontano- in cui l’arte cinematografica italiana era l’orgoglio del nostro paese, un cavallo di battaglia senza eguali intriso di poesia e bellezza, amato, imitato e conosciuto in tutto il mondo, in ogni dove della terra, con i suoi autori imbattibili e i suoi volti bellissimi, iconici, divini, perfetti.

Certo, c’è da dire che gli anni d’oro del neorealismo, del melodramma e soprattutto della commedia all’italiana sono finiti da un pezzo; c’è da dire che la crisi cinematografica non ha per nulla risparmiato il nostro paese -anzi-, ma non è tutto qui.

Il cinema italiano è storia, è kolossal, è lacrime di gioia e di dolore. Il cinema italiano è qualità, è stupore, è divismo, è magia. Il cinema italiano è meraviglia.

Ecco i miei quindici film imprescindibili per conoscerlo, ma soprattutto… per innamorarsene.

C’ERAVAMO TANTO AMATI (E. Scola, 1975)

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Come i tre moschettieri: Stefano Satta Flores, Vittorio Gassman e Nino Manfredi in una scena del film.

1944 – 1974: l’amicizia fra Gianni (Vittorio Gassman), Antonio (Nino Manfredi) e Nicola (Stefano Satta Flores) attraversa un intenso trentennio di storia d’Italia, a partire dagli anni della Resistenza sino a quelli delle contestazioni, tra gli alti e bassi della vita e dei sentimenti. Divisi dall’amore per una donna, Luciana (Stefania Sandrelli) e dalle scelte sofferte o di comodo che si trovano a fare nel corso della vita, vivono con non poca amarezza il risveglio dall’illusione che gli ideali e la fine della guerra avevano promesso e la consapevolezza che gli affetti durano, ma i percorsi della vita allontanano.
Un film eterno sull’amicizia, sull’amore, sulle sofferte battaglie e vittorie del nostro secolo e sull’infinita bellezza del nostro paese: in assoluto il primo da vedere per innamorarsene.
PS: Anche per il cameo, quell’ultimo cameo di Vittorio De Sica.

IO LA CONOSCEVO BENE (A. Pietrangeli, 1965)

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Inafferrabile ed annoiata: Stefania Sandrelli è l’aspirante attrice Adriana Astarelli, delusa dalla vita.

Capolavoro assoluto del regista delle donne per eccellenza, racconta con cadenza paratattica l’avvicendarsi dei giorni apparentemente vuoti e noiosi di Adriana Astarelli (Stefania Sandrelli), giovane aspirante attrice alla ricerca di un posto nel mondo ma soprattutto di sé stessa, tra una canzonetta e l’altra, tra un’inedia e l’altra.
Un cast d’eccezione (Tognazzi, Manfredi, E. Maria Salerno, M. Adorf, J.C. Brialy.) calato nel sottobosco romano dello spettacolo fa da contorno alla storia di Adriana, persa in sé stessa e fuori di sé: la sua è una fuga disperata dalla vita e verso la vita, che si concluderà nel modo più inaspettato e salvifico possibile, una salvezza dall’indifferenza e dall’aridità dell’ambiente.
Da vedere perché è perfetto: perfetta la descrizione dell’animo femminile, perfetta l’ambientazione, nei sognanti ed illusori primi anni ’60 -intrisi di un boom che esiste e non esiste- e straordinaria la presenza quasi modiglianesca della Sandrelli, qui nel suo ruolo più iconico.
Da pelle d’oca.

IL SORPASSO (D. Risi, 1962)

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Iconici: Gassman e Trintignant in una scena del film.

Che ve lo dico a fare? Il film-simbolo per eccellenza della bella vita, della spensieratezza, della solarità, del divertimento, del boom, della gioia sfrenata ma anche delle amarezze degli anni ’60 e di una generazione speranzosa e fortunata, è proprio questo, Il Sorpasso, nel quale l’automobile di Bruno Cortona (un magnifico Vittorio Gassman) sfreccia veloce davanti alle altre, sbeffeggiandole e superandole con brio e noncuranza, un po’ come gli italiani dell’epoca di fronte al passato ormai stantìo.
Per Bruno, i più anziani di lui sono ruderi, i coetanei spesso noiosi e spenti, ed è nei più giovani -come sua figlia Lilly (Catherine Spaak) ed il suo improbabile compagno di viaggio, il diligente e timido studente Roberto (Jean-Louis Trintignant)- che trova, come godesse di gioventù riflessa, la propria joie de vivre.
Non importa se questa sia un’illusione ad ingannare un’incurabile sindrome di Peter Pan o una condizione vissuta con spontaneità, il protagonista (che pare una metafora dell’Italia del tempo) ha bisogno di spensieratezza e velocità.
Un film spensierato, magico, nostalgico dal finale inaspettato: l’ideale per calarsi nella realtà di un tempo bellissimo, tra le canzonette, le spiagge, le corse in automobile e la leggerezza di un’estate di sole.
Ideale a ferragosto (non a caso, l’ambientazione è proprio quella: la lunga giornata del15 agosto 1962).

ROCCO E I SUOI FRATELLI (L. Visconti, 1960)

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Un momento di tensione tra Simone (Renato Salvatori) e Rocco (Alain Delon).

Secondo dopoguerra, fine anni ’50. Una famiglia composta dall’anziana madre e da cinque fratelli emigra dalla povera Lucania alla ricca e frenetica Milano industriale.
E Milano logora, trasforma, tormenta, consolida e distrugge l’amore tra fratelli: Simone (Renato Salvatori) si troverà a scontrarsi con Rocco (Alain Delon) per amore della giovane e disgraziata prostituta Nadia (una strepitosa Annie Girardot).
In un ambiente ostile e cupo, una Milano fredda e grigia, dominata dai sapienti chiaroscuri del genio di Visconti, tra retaggi di un tardo neorealismo votato al mondo del lavoro povero (la figura di Ciro sembra così vicina ai sacri accattoni di Pasolini) e contaminato dalla passione dolce e proibita, emerge la figura di Rocco: un ragazzo più buono degli altri, un Cristo del nostro tempo, o -come diranno alcuni- un santo.
Un film straordinario per conoscere l’Italia da cui veniamo ed in cui ancora viviamo e per lasciarsi trascinare in una tragedia espressionista moderna. Un’ode ai vinti e agli sradicati, alla famiglia e alla lacerazione.

LA DOLCE VITA (F. Fellini, 1960)

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Il celebre bacio alla fontana di Trevi.

Film rotocalco, film manifesto, film d’arte: La Dolce Vita è un must per immergersi nell’atmosfera del periodo d’oro dell’Italia (non solo del suo cinema). In un’avvicendarsi di immagini che evocano sensazioni e situazioni si muove stancamente la dolce-amara vita di Marcello (Mastroianni), reporter annoiato dalla vita, come il resto della sua generazione, in bilico tra il Rugantino -anche qui c’è lo straordinario spogliarello di Aiche Nana-, il lusso illusorio di Via Veneto, i bagni alla fontana di Trevi -iconico quello di Sylvia (Anita Ekberg)- ed infine il vuoto dell’esistenza a galla in un apparente divertimento sfrenato.
E così, accanto a momenti di estrema leggerezza e libertà (la vita concepita come un’opera d’arte), simbolo assoluto degli sfrenati sogni in un tempo in cui il futuro ci sembrava bellissimo, si consumano le più agghiaccianti tragedie e (non) si esprimono i più tormentosi dubbi esistenziali.
Il film ha consacrato il mito di Marcello Mastroianni, trasformando l’attore in icona

LA CIOCIARA (V. De Sica, 1960)

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Sophia Loren ed Eleonora Brown in una scena del film

Cesira e Rosetta, una madre ed una figlia alla rincorsa della sopravvivenza nell’Italia in guerra. Una corsa disperata verso la vita, in un tempo di morte.
Sophia Loren dà prova del suo immenso talento e della sua sconfinata sensibilità nel ruolo per la quale più la si ricorda: quello di una madre disperata, disposta a tutto per la salvezza di sua figlia prima e del proprio futuro poi.
L’Italia è sempre quella, quella della Resistenza, dello sbarco alleato e -non da ultime- delle marocchinate: in questo paese piegato dalla fame e dal dolore, l’amore di una madre per sua figlia è il più grande atto di coraggio, il bene più assoluto.
Indimenticabile la forza emotiva di alcuni momenti, la realtà raccontata con la più intensa poesia in quello che fu uno dei capolavori assoluti di De Sica prima e del cinema tutto poi.

RISO AMARO (G. De Santis, 1949)

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Vittorio Gassman e Silvana Mangano nel primo di una lunga serie di film che li vedranno insieme.

1948: l’Italia del dopoguerra è piegata dalla povertà e dalla disgregazione, ma in una risaia nelle campagne vercellesi vige il corporativismo, l’unione, il cameratismo femminile.
A capo di questo gruppo eterogeneo e compatto di mondine infelici ma industriose e piene di vita, Silvana (Silvana Mangano), straordinaria e orgogliosa maggiorata, simbolo femminile di lavoro e bellezza, la cui solidità morale, quasi sacrale, viene corrotta dall’inganno e dal desiderio, nei panni del bandito Walter Granata (Vittorio Gassman).
L’immagine della mondina divisa a metà tra la retta via -incarnata dal sergente Galli (Raf Vallone)- e la perdizione -Gassman- sarà la prima di tante figure femminili spezzate, interrotte.
Imperdibile spaccato della realtà (rurale) femminile che andrà sfaldandosi sul finire degli anni ’50 -a un decennio da questo film-, ma che viene qui dipinta così delicatamente e così tragicamente da lasciare un segno nel cuore.
Silvana Mangano, al suo primo ruolo, dà già il meglio di sé nei panni di questa martire-eroina della vita.

UNA GIORNATA PARTICOLARE (E. Scola, 1971)

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Un’intensa scena del film

Roma, 1938: in occasione della visita di Hitler in città, durante la celebrazione del Sabato Fascista, i vicini di casa Antonietta (Sophia Loren) e Gabriele (Marcello Mastroianni), la prima madre di famiglia e fascista convinta, il secondo sovversivo e solitario -entrambi rimasti in appartamento- s’incontrano per la prima volta e si conoscono, trasformando col passare delle ore una timida amicizia in un rapporto insolito ed intenso che cambierà per sempre e profondamente le loro vite.
La miglior interpretazione della coppia, giunta qui a uno degli ultimi film e ruoli insieme, al culmine del pathos e dell’intesa.
Una sceneggiatura di ferro, una regia impeccabile e magistrale (Scola riesce a gestire un intero film negli stessi due interni -gli appartamenti- senza minimamente intaccare l’infinita ricchezza della storia), due attori-simbolo dell’Italia, spogliati del loro divismo in nome di una dimessa favola reale del mondo moderno.
Uno dei migliori film di sempre.

I SOLITI IGNOTI (M. Monicelli, 1959)

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Mastroianni, Salvatori e Gassman in una scena del film tra le più esilaranti

Vi siete mai chiesti da dove nascono tutti quei film giallo-comici corali, come la saga di Ocean (S. Soderbergh), Criminali da strapazzo (W. Allen) e molti altri?
La fonte comune è questa deliziosa ed esilarante commedia brillante ed eterna di Mario Monicelli -reduce da un altro must, La Grande Guerra (1958)-, con protagonista un cast d’eccezione: Gassman, Mastroianni, Salvatori, Cardinale e Totò per citarne solo alcuni.
E’ curioso vedere l’esordio commerciale di quelli che nel decennio successivo sarebbero diventati gli attori-simbolo della commedia, ma soprattutto del Novecento intero. Ancor più curioso scoprire che I Soliti Ignoti è proprio il film con cui la critica suole identificare l’inizio della stagione della Commedia all’Italiana, che si concluderà quindici anni dopo con C’eravamo tanto amati, conclusione perfetta per un inizio perfetto.

OSSESSIONE (L. Visconti, 1943)

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Bellissimi e perduti: Clara Calamai e Massimo Girotti sono due amanti appassionati disposti a tutto per il loro amore.

Si dice che il giorno che questo film uscì, dopo l’8 settembre del 1943, agli italiani non parve l’Italia (in cui erano abituati a credere) quella povera landa desolata impressa sulla pellicola: è il primo film Neorealista.
Con protagonisti due bellissimi divi dei Telefoni Bianchi -Massimo Girotti e Clara Calamai- Ossessione è la prima occasione del cinema di mostrare il corpo maschile come oggetto del desiderio sensuale femminile, l’adulterio come salvifico, la passione come vivificante.
Sulla strada della disfatta, proprio come l’Italia (in guerra) in cui vivono, due amanti clandestini finiscono per soccombere alla propria stessa ossessione.
Magistralmente diretti da Visconti, i due interpreti sono prima corpi, prima desideri, poi amanti e infine attori, come se fosse la loro stessa istintiva passione a guidarli sulla scena.
Un must del cinema italiano anche e soprattutto perché è la pellicola che per eccellenza apre la stagione neorealista, portabandiera del cinema italiano.

LA GRANDE GUERRA (M. Monicelli, 1958)

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Gassman, Mangano e Sordi in posa durante le riprese

Alla brillante coppia comica antitetica Gassman e Sordi si frappone la stilosissima, simpatica e fiera furia felina di una Silvana Mangano in grandissima forma.
Una commedia sulla prima guerra mondiale, una commedia sull’inerzia tipica dell’italiano medio costretto alla leva, una commedia sull’amore e la guerra, ed infine una tragedia sul coraggio e sull’umanità.
Amicizia, guerra e amore si intrecciano in quella che fu una delle più toccanti pellicole della storia del nostro cinema, indimenticabile e ricca di altissimi picchi sentimentali: tra tutti, la straordinariamente dimessa (e per questo ancor più poetica) dichiarazione d’amore silenziosa tra Gassman e la Mangano in un momento inaspettato e disperso del film.

PAISA’ (R. Rossellini, 1946)

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Lo sguardo assente e fisso di Maria Michi in una scena del film.

E’ sempre difficile decidere tra questo e Roma Città Aperta: due film quasi contemporanei, frutto del pensiero e del vissuto dello stesso regista, ambientati in simili ambienti e nella stessa identica situazione storica, ma Paisa’ ha forse qualcosa in più: viaggiando per paratassi geografica nell’Italia devastata dalla guerra, racconta episodi di Resistenza quotidiana, dalla Sicilia a Napoli, da Napoli a Roma, da Roma a Firenze, da Firenze al Delta del Po (la sezione più bella in assoluto). Siamo in pieno neorealismo, di cui Rossellini è forse il portavoce più accanito e celebre, e anche in pieno dopoguerra: al regista non occorrono nemmeno i dispendiosi mezzi spaziali degli anni precedenti e successivi per realizzare un capolavoro italiano umano.
Anche questo, come il sopracitato, necessario, non consigliato, per le nuove generazioni.
IERI OGGI E DOMANI (V. De Sica, 1963)

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L’iconica scena dello striptease.

Maestro del neorealismo, maestro del melodramma, maestro della tragedia al femminile (La Ciociara) ed al maschile (Umberto D.), De Sica è anche maestro della leggerezza.
In questa felice e riuscitissima commedia divisa in tre episodi, Sophia Loren e Marcello Mastroianni suggellano il loro patto di carriera, il loro sodalizio umano e artistico che renderà sempre così magiche le loro collaborazioni al cinema.
E così, tra esilaranti situazioni per le strade di Napoli, fresche ventate di primavera sui tetti di Roma, spogliarelli non troppo riusciti e dubbi amorosi, la coppia ravviva l’annata 1963 di tutto il pubblico del tempo. Estrapolato dal contesto, negli anni Duemila, Ieri Oggi e Domani è ancora il film brioso per eccellenza, e ancora racchiude l’inesplicabile segreto di due divi nati per lo schermo e nati per portare l’Italia nel mondo.
L’ECLISSE (M. Antonioni, 1962)

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La perfezione sulla terra: il sole e la luna. Alain Delon e Monica Vitti in una scena del film.

Parte della straordinaria tetralogia dell’incomunicabilità, l’Eclisse è il terzo del gruppo ma nel complesso uno dei primi film di successo del regista ferrarese.
Ambientato nella Roma razionalista, assolata e deserta (un po’ metonimia un po’ metafora degli animi dei protagonisti), come disse meglio di me Alain Resnais, « L’eclisse è una scommessa folle: presentandoci dei personaggi “inattivi”, alla deriva in paesaggi vuoti, il regista ci invita a scoprire le tempeste che si agitano all’interno dei personaggi. ».
Proprio così, infatti, il film si finge assonnato e sonnolento, ma cela un moto irrefrenabile di inquietudini interiori, sfondo immancabile del decennio che per eccellenza accompagnò il mondo in cambiamento, soprattutto quello dei rapporti uomo-donna, messi finalmente a dura prova per davvero.
Alain Delon e Monica Vitti bellissimi e perfetti, quasi più razionalisti del mondo circostante, si rincorrono in silenzio in questo film di lunghe pause e avvenimenti interiori.

NON CI RESTA CHE PIANGERE (M. Troisi e R. Benigni, 1984)

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Roberto Benigni e Massimo Troisi catapultati nel 1492 in una scena del film.

In conclusione di questa lista, non potevo non nominare i due mostri assoluti del cinema italiano della generazione post 68ina, coloro che salvarono letteralmente la commedia dalla debacle, regalando al paese una goccia di splendore e di umanità (come qualcuno disse): Massimo Troisi e Roberto Benigni.
Non v’è singolo film di questi talenti che non mi sentirei di consigliare, ma Non ci resta che piangere è la mia ultima scelta, forse perché unisce i due interpreti nella stessa pellicola, forse perché frutto della più fervida immaginazione e della più irresistibile simpatia di questi due geni, o forse perché nel suo divertente disimpegno sa effettivamente nascondere dietro un paradossale viaggio nel tempo di due semplici ragazzi degli anni ’80 una reale critica sarcastica ed un tentativo di interpretazione storica di determinati eventi che cambiarono le sorti dell’Italia e del mondo.
Uno di quei film che si possono vedere e rivedere e rivedere ancora dieci volte l’anno senza perdere mai la risata.
Straordinario e geniale.

BONUS | Altri 5 capolavori da non dimenticare: Il Postino (M. Radford e M. Troisi, 1994), La Vita è bella (R. Benigni, 1997), Accattone (P.P. Pasolini, 1961), Il Gattopardo (L. Visconti, 1963), Roma Città Aperta (R. Rossellini, 1945).

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Il Postino (1994)
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La vita è bella (1997)
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La splendida Sophia Loren ne L’oro di Napoli (1954)
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Bello e dannato: Franco Citti in Accattone (1961)
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La corsa disperata di Anna Magnani in Roma città aperta (1945)

 

Carmen