Oel ngati kameie, Avatar
In Italia era da poco arrivato il 2010 quando James “Jim” Cameron introdusse The World of Pandora (Il Mondo di Pandora) al nostro. Adesso, circa tredici anni dopo, Il Re del Mondo/Cinema è tornato nei nostri cuori con il monumentale sequel Avatar: La via dell’acqua.
Avatar è, inequivocabilmente, la storia cinematografica che ha cambiato la mia vita.
Ero una bambina quando lo andai a vedere la prima volta in sala e ad oggi, se chiudo gli occhi, ritrovo davanti a me, come la pellicola di un film, tutte le emozioni che provai quella volta: stupore, curiosità, felicità, lacrime.. Non riuscivo a staccare lo sguardo dallo schermo, ero ipnotizzata dalla meraviglia che i miei occhi, le mie orecchie, ma soprattutto la mia anima stavano vivendo: una catena montuosa fluttuante nel cielo (Monti Hallelujah), cascate che precipitano nel nulla, semi (spiriti puri) di un albero sacro, una lingua sconosciuta che ti affascina, una foresta che, con i suoi colori fosforescenti, con l’arrivo dell’eclissi si trasforma in un posto celestiale dal quale non vorresti mai andare via.




Il mio amore per il quattordicesimo satellite del pianeta Polifemo, che mi catturò sin dalla sua prima inquadratura, non è altro che la mia gratitudine verso un genio, un maestro artista che ha messo cuore e cervello nella sua ultima opera.
Cameron per me è sempre stato e sempre sarà il regista per eccellenza! Chiunque mi conosce sa quanto sia innamorata di ogni suo singolo lavoro: dai film ai documentari. E’ un narratore che osa sognare in grande e che, quando ha una storia da raccontare la presenta nel migliore dei modi: lancia una sfida per poi condurre la via.

Prima di arrivare a parlare dell’ultimo capolavoro diretto da James, volevo fare un breve recap sulla prima pellicola.
La storia la conosciamo tutti: è il 2154 e l’ex marine Jake Sully (Sam Worthington), che si trova su una sedia a rotelle a causa di un infortunio subito in guerra, viene reclutato per sostituire il fratello gemello, deceduto, per una missione della RDA su Pandora, una delle quattordici lune del pianeta Polifemo che si trova a 4,37 anni luce dalla Terra. Lo scopo del progetto, apparentemente, è quello di studiare l’habitat e gli abitanti del satellite, i Na’vi.
In realtà però la RDA ha intenzione di cacciare i nativi del luogo e di impossessarsi di un prezioso minerale. Attraverso il proprio Avatar (corpi ibridi realizzati mischiando DNA umano e Na’vi) Jake, insieme al Dr. Norm Spellman (Joel David Moore) ed entrambi seguiti dalla Dott.ssa Grace Augustine (Sigourney Weaver), si infiltra tra la tribù indigena Omatikaya ed è lì che si ritrova a fare la conoscenza della principessa guerriera nativa Neytiri (Zoe Saldana), la quale gli insegnerà usi e costumi del luogo.
L’ex marine, che gradualmente si innamora dei loro modi e pratiche, e, in particolare, dello sguardo ipnotico della principessa nativa, accolto dal resto della tribù, decide di abbandonare la missione e schierarsi dalla parte dei Na’vi, nel quale seguirà una battaglia senza precedenti. Sopravvissuto allo scontro, Jake decide quindi di restare su Pandora, scegliendo di “abitare” per sempre nel suo Avatar.
Il messaggio del primo Avatar per me resta una lettera d’amore alla Grande Madre (Natura) nel quale i Na’vi sono considerati più “umani” e più connessi al mondo che li circonda, e di conseguenza una sorta di SOS all’umanità, nel quale gli umani, ad eccezione di Sully e alcuni “buoni” scienziati, vengono giustamente dipinti come i veri mostri; avari e assassini di pianeti.


Una delle cose che spiccò sin da subito in Avatar fu l’impegno che venne inserito nella tecnologia, inquadrature e sequenze che sorprendevano. L’importanza al dettaglio fu semplicemente sconvolgente. Nessun regista prima di Cameron costruì un mondo in 3D di queste dimensioni e ambientazioni.
Ma, per quanto la tecnologia aiutò e definì questa storia una delle migliori di sempre, ciò che rese tutto superiore furono gli occhi pieni di sentimento di Worthington e Saldana, i quali non vennero mai soffocati sotto infiniti pixel, bensì, attraverso la magia di Cameron, migliorarono le emozioni che entrambi i personaggi volevano farci arrivare.




E con un salto temporale arriviamo a più di dieci anni dopo i fatti del primo.
Qui troviamo Jake Sully nei panni di *Toruk Makto (leader degli Omatikaya, popolo dell’aria), sempre affiancato dall’immensa Neytiri (un’impeccabile Zoe che quando intonerà le note di The Songcord vi farà emozionare). La coppia è alle prese nei rispettivi ruoli di padre e madre. Hanno difatti avuto tre figli: Neteyam (James Flatters), Lo’ak (Britain Dalton) e Tuk(Trinity Jo-Li Bliss). Oltre a loro hanno adottato Kiri (che avrà il volto di una fenomenale Sigourney Weaver), nata dall’avatar “in coma” della dottoressa Grace Augustine, e hanno preso sotto la loro ala protettrice Spider (Jack Champion), all’ora un bambino umano che per via della giovane età non venne messo in crio e quindi rimasto su Pandora, ad oggi definito ragazzo-scimmia perché nonostante non sia alto oltre i 3 metri, agisce come un Na’vi, parla la lingua Na’vi, ma soprattutto è fortemente legato ai Sully.



Quando una minaccia del passato torna sotto una nuova forma, nel proteggere i suoi cari e l’intera tribù degli Omatikaya, Jake ritiene opportuno che l’intera famiglia Sully si nasconda altrové.
Lasciano così il loro villaggio e a chiedono rifugio ai Metkayina (popolo dell’acqua). Qui veniamo introdotti al capo del clan Tonowari (Cliff Curtis) e a sua moglie Ronal (Kate Winslet) la Tsahìk, i quali vivono sulla barriera corallina, in una delle centinaia di isole di Pandora.

Da qui mi sono letteralmente sentita immersa, senza nemmeno avere il tempo di indossare le ali d’acqua, nel nuovo stupefacente universo creato da Cameron.
Le immagini di questo mondo sottomarino sono un qualcosa di mai visto prima d’ora: colori brillanti e luminosi, frutto dello studio (esplorazioni subacquee realizzate come ricerca), ma soprattutto dell’amore che James ripone nel mare. Il cast stesso ha dovuto girare scene sott’acqua per ore.. Ogni scelta presa ha un senso, ogni scena scorre in modo agile, e senza rendersi conto sembra di trovarsi immersi nella via dell’acqua.
The way of water has no beginning and no end.
The sea is around you and in you.
The sea is your home.
Before your birth and after your death.
Our hearts beat in the womb of the world.
The sea gives, and the sea takes.
Water connects all things – life to death, darkness to light.
(La via dell’acqua non ha inizio né fine. Il mare è intorno a te e dentro di te. Il mare è la tua casa. Prima della tua nascita e dopo la tua morte. I nostri cuori battono nel grembo del mondo. Il mare dà e il mare prende. L’acqua collega tutte le cose: la vita alla morte, l’oscurità alla luce.)
Vuoi perché l’acqua è il mio elemento, vuoi perché il mare è il mio habitat preferito, ma la potenza di queste semplici bensì incisive parole sono state il *Tsaheylu che aspettavo da una vita con un film.
Il fatto che sia arrivato con una pellicola di James Cameron mi fa piangere il cuore, perché l’amore che nutro verso questa storia, da tredici anni a questa parte, non si può descrivere a parole. Si deve vivere in prima persona, o magari trovarsi accanto alla persona che lo sta vivendo. Un po’ com’è successo a mio padre, che dopo la seconda volta che lo ha visto [con la sottoscritta] mi ha detto che non sempre guardava lo schermo, alcune volte si girava per vedere me, e attraverso le emozioni che il mio volto mostrava lui vedeva quello che stava accadendo davanti a sé..
E parlando di padri, un mantra che Jake ripete spesso a sé stesso è quanto un padre protegge [la propria famiglia]. A qualsiasi prezzo, anche quando sei costantemente il bersaglio.




La semplicità della trama, molto simile a quella del primo capitolo, anche se qui con più personaggi e quindi con più linee narrative, che comunque si intrecciano l’una con l’altra, come l’albero delle anime, sono la vera forza del film.
La Famiglia, elemento fondamentale di questa storia. Un tema che mi tocca personalmente perché, da persona fortemente legata alla propria, ho sentito dentro di me quanto fosse potente il legame della famiglia Sully.
L’amore e la complicità di due genitori e guerrieri, che combattono insieme, sullo stesso livello. Nonostante il forte volere di Jake nel proteggere la sua famiglia, ha sempre bisogno del Cuore Forte della sua Neytiri durante i combattimenti.
I figli che hanno fatto strada ai propri genitori, in un momento buio e in cui non vedevano una via d’uscita.
La perdita, i Na’vi credono che tutta l’energia sia temporanea e che tutti gli esseri viventi la stiano semplicemente prendendo in prestito, sapendo che un giorno dovrà essere restituita ad *Eywa.
Come viene visto e ripetuto spesso durante il corso del film “i Sully restano uniti”, affermazione che nonostante in alcuni casi sia stata una loro debolezza, è rimasta la loro più grande fortezza.
La natura e l’apertura al diverso, indipendentemente che sia un animale (come ad esempio i *tulkun, che sfido chiunque a non commuoversi davanti la loro estrema dolcezza e innocenza), o un essere connesso con Eywa.


Se tredici anni fa il messaggio era un SOS all’umanità, adesso è palesemente chiaro che l’essere umano è oramai arrivato a un punto di non ritorno con il proprio pianeta. Ed è proprio così che Cameron li dipinge nella sua storia: terrestri, che nonostante abbiano distrutto il loro pianeta e senza aver imparato nulla, con l’arrogante idea che tutto gli sia dovuto, sono pronti a fare la stessa cosa su Pandora.
Impossibile non notare anche gli omaggi che ha voluto rendere alle sue precedenti pellicole: una nave che sta affondando, l’acqua che sale, lo sguardo spaventato di una donna nel vedere che tutte le vie d’uscita sono bloccate, note musicali prese in prestito da spartiti del 1997, del metallo liquido, specie particolari che puoi trovare in The Abyss del mare… Perché Mr. Cameron è questo, un singolo individuo che con la sua visione ha creato un mondo vero e proprio. E proprio come dice Toruk Makto all’inizio: “La cosa più pericolosa di Pandora, è che potresti arrivare ad amarla troppo”. Una cosa che condivido, perché c’è da dire che: “Sometimes this world sucks so I go to my own Pandora”, un posto che mi ha sempre fatta sentire a casa.
Per vivere al meglio questa esperienza non basta aspettare lo streaming, questa volta dovete davvero uscire di casa e cercare lo schermo più grande. Io personalmente sono andata fino a Milano per poterlo vedere in Sala Energia (3D naturalmente). La prima volta lì e senza dubbio la miglior esperienza in un cinema che abbia mai avuto, merito anche del capolavoro a cui Jim ha lavorato per tredici anni e che da una settimana a questa parte abbiamo l’onore di trovare nelle nostre sale.
India

*Toruk Makto = Rider of the Last Shadow (Cavaliere dell’ultima ombra), soprannome che i Na’vi hanno dato al toruk che nel primo Avatar si vedeva sorvolare i cieli del clan Omatikaya. Jake fu il primo in grado di legarsi e volare con esso, guadagnandosi questo nome.
*Tsaheylu = è una parola Na’vi che significa “legame”. E’ il processo (fisico) che avviene quando due anime si connettono mentalmente attraverso l’uso delle loro code.
*tulkun = tulkun è una grande creatura simile a una balena, originaria degli oceani di Pandora.
*Eywa = Eywa, conosciuta anche come la Grande Madre, è la guida della vita e divinità di Pandora e dei Na’vi. I Na’vi credono che Eywa agisca per mantenere l’ecosistema di Pandora in perfetto equilibrio e che tutte le cose tornino ad essa alla loro morte.
