When you offer something to an audience, you better respect your audience.” – Luca Guadagnino

Sono trascorsi alcuni giorni dalla mia prima visione – oh sì, ce ne saranno molte altre – di Dune: Parte 2 e ancora fatico a credere a ciò che ho vissuto e a cui ho assistito. Esistono esperienze cinematografiche che hanno un posto speciale nel mio cuore, per la loro unicità, fra queste c’è sicuramente il capolavoro – non sto affatto esagerando – di Villeneuve, che va visto sullo schermo più grande possibile e dotato di un buon impianto sonoro. Quelle poltrone devono tremare.

Riprendendo le fila del primo capitolo, veniamo nuovamente catapultati ad Arrakis insieme a Paul Atreides (Timothé Chalamet) che, insieme a sua madre (Rebecca Ferguson), si unisce a Chani (Zendaya) e il clan Fremen per portare a termine la vendetta contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia. Paul si trova di fronte ad un bivio: da una parte conosce l’amore e dall’altra ha in mano in futuro che solo lui può prevedere.

Ancora più ambizioso del suo predecessore, il secondo capitolo dell’adattamento del romanzo sci-fi di Frank Hebert mantiene le promesse fatte, superandole. Da come era stato anticipato mi aspettavo un film con un ritmo serrato e scandito da continue scene action, in realtà lo storytelling resta molto simile a quello del primo capitolo, ma il susseguirsi degli eventi è molto più movimentato e meno didascalico non trattandosi più di un “capitolo introduttivo”. Vi è una forte predilezione all’introspezione, che si serve delle scene d’azione per motivare i mutamenti e solidificare la caratterizzazione dei personaggi.

Villeneuve si prende i suoi tempi e con una messa in scena da togliere il fiato – davvero, mi sono chiesta come sia riuscito insieme al suo team a creare un impianto scenografico così maestoso in soli tre anni – ha ripreso il racconto che aveva iniziato, alzando nettamente l’asticella. La colonna sonora di Hans Zimmer si fa un po’ da parte, lasciando spazio ai suoni di Arrakis. Tutto è al suo posto. Ogni dettaglio è curato, dove deve essere. Tutto è più immenso.

Tratto da un libro pubblicato nel 1965, Dune sembra scritto e ambientato nei giorni nostri. Villeneuve riporta sul grande schermo storie di esseri umani che si lasciano divorare dalla sete di potere, che si aggrappano a profezie affidandosi a religioni – Javier Bardem nella parte dell’invasato ha un che di stranamente puro – e poi c’è chi non crede in niente di tutto ciò, ribellandosi. Non importa in che anno, luogo o dimensione sia ambientato, resta sempre una storia che parla di noi, a noi. E che non è solo un grande spettacolo visivo, ma è anche uno spunto di riflessione sulle nostre azioni e su quello che attualmente ci sta accadendo intorno. Perché il Cinema serve anche a questo.

Tre ore di Cinema allo stato puro, in cui Villeneuve porta le vicende di Arrakis ad un nuovo livello di epicità, introducendo nuovi personaggi: quando Florence Pugh è in scena sembra di essere in una dimensione celestiale, un talento così puro e incontaminato da avere in pugno chiunque assista a quello che crea sullo schermo.

La più grande sorpresa per me è stata Austin Butler, una performance spiazzante che mi perseguiterà per molto tempo. In totale stato di grazia, mi ha ricordato Tom Hardy nei panni di Bane in The Dark Knight Rises (2012) e tutta la parte incentrata su di lui un misto fra Mad Max: Fury Road (2015), Spartacus (film del 1960, ma anche la serie) e Il gladiatore (2000). Ho davvero goduto fortissimo. Per non parlare della tensione sessuale – un erotismo che aleggia per tutto il film a dire il vero – nella brevissima scena con Léa Seydoux.

E poi ha sviluppato in maniera eccelsa coloro che già conoscevamo. Timothée Chalamet è una certezza: è cresciuto insieme a Paul Atreides, raggiungendo una maturità professionale che non avevo mai visto prima in lui. Una presenza scenica autorevole e sempre, sempre, sempre credibile. È stupefacente. Così come Rebecca Ferguson riesce, senza cadere in banali caricature, ad accompagnare Lady Jessica verso un cruciale cambiamento, rendendolo sempre di più un personaggio essenziale e decisivo per la storia.

Vederlo in sala non è un piacere, ma un dovere nei confronti di noi stessi. È imbarcarsi in un viaggio totalmente immersivo, trascendentale, così sorprendente da portare alla commozione per l’immensità di quello che Denis Villeneuve ha saputo creare mantenendo vivo il ricordo del primo capitolo, coerente senza tradirne i toni e il suo stile. Non ci sono parole abbastanza esaustive per dare un’idea, non le troverò mai.

Andarsene da Arrakis è stato davvero doloroso questa volta. Gigantesco. Indimenticabile. Per me è già storia del cinema.

Dune: Parte 2 è dal 28 febbraio al cinema.

Marika