È sempre gratificante, dopo premesse poco promettenti, potersi ricredere su un prodotto. Dobbiamo venirci incontro; se mettiamo insieme miti greci e nomee americane (nonostante la produzione sia di matrice britannica) – aggiungendo poi la postilla, che non si è più nel 2010 – come vi sareste approcciati all’ennesimo progetto Netflix? È un periodo di magra, dei contenuti su piattaforma abbiamo smesso di fidarci da un po’ – per non parlare di tutto ciò che passa sotto il setaccio della cancellazione; un infausto vaso di Pandora che preferirei non dover aprire in questa sede…

Ritengo dunque gratificante venire smentiti e, nel mio caso, completamente folgorati da qualcosa che non era predisposto (sulla carta) all’ottimo risultato che ne è derivato. L’artefice del magheggio è Charlie Covell – già nota per l’adattamento di “The End of the F***ing World” – e con KAOS, serie tv che trae come soggetto la mitologia greca, riesce nell’impresa di svecchiare il già visto, offrendo una rilettura innovativa e contemporanea, senza tradirne mai la personalità. Nello specifico – sullo sfondo di una macro-trama dettata dalla profezia “A line appears, the order wanes, the family falls and kaos reigns” – abbiamo le rivisitazioni dei miti di Orfeo&Euridice e del Minotauro. Poiché legati insieme dalla stessa chiave di lettura moderna (i primi sono un famoso cantautore e la sua musa, il secondo è integrato alla famiglia del presidente della città di Creta, Minosse), è stato facile per me pensare a KINGS (2009) serie tv della NBC. Fu sfortunata nella sua produzione e venne cancellata dopo una sola stagione, ma il contenuto offerto, era di altissima qualità e proponeva la storia biblica di Davide e Golia ambientata in tempi fittizi a noi consimili. In parte, mi piace considerare KAOS come il lascito che dopo anni, dona finalmente giustizia ai re che non videro mai fine.

L’opera della Covell però è una creatura nutrita da molto altro e si fregia di un appeal aggiunto che coglie l’attenzione dello spettatore già dal pilot. Consideriamolo il figlio eletto del drama famigliare alla Succession – qui i miliardari eccentrici, folli, permalosi e soprattutto pericolosi, sono gli Dei, residenti sul Monte Olimpo, circondati da spocchia e opulenza – e del concetto narrativo di American Gods, dove la quotidianità s’intreccia al rito, soppiantando le religioni monoteiste per prediligerne una più cruda, antica e senza scrupoli (non mancano, infatti, i sacrifici umani). È un mescolarsi di titoli e non manca nemmeno l’ormai sdoganata rottura della quarta parete. Non sono qui a lamentarmene però, poiché, quando ne agevola lo sviluppo, male alla trama non fa e utilizzare il fuoco sacro della narrazione diretta – di cui si sono avvalsi precedentemente personaggi come Frank Underwood o Fleabag – predispone una lore accattivante rendendo irresistibile il binge watching. E la metafora cade a pennello, dato che il narratore di KAOS e nostro diretto interlocutore, è proprio Prometeo – uno Stephen Dillane che vi sorprenderà a dir poco!


Tutto il cast è meritevole nella prestanza e nella bravura, tanto da offrire una padronanza, sia di coralità che introspezione; di interpretazioni, non ce n’è una che risulti fallace e risulteranno essere una ventata d’aria fresca anche per il più saccente in materia. Perciò avremo Jeff Goldblum che, impersonando Zeus, porterà in scena sé stesso nella sua gestualità, vacui ondeggi e personalità sorniona, finché non scambierà il lato (mai del tutto) bonario con quello psicopatico e irruento. Una scelta impeccabile. E lo è anche quella di dare a Janet McTeer le vesti di Era – per la prima volta scritta senza velo pietoso come matrona e regina, donna e padrona, per niente sconfitta dagli innumerevoli tradimenti del marito, ma semmai, pronta a ripagarlo con la stessa moneta.

Non mancano Ade (David Thewlis) e Persefone (Rakie Ayola) qui scritti forse come l’unica coppia realmente sana della famiglia – dando smacco alla leggenda stessa che li vede protagonisti. Con Nabhaan Rizwan abbiamo un Dioniso sregolato, dallo stile pazzesco e queer; la sua vena d’insicurezza, soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con il padre, lo renderà più affine all’umanità pur pagandone caro il prezzo. Oltre questo, con il Dio dell’Ebbrezza a sgombrare la via, sarà solo l’inizio dell’inclusività che troveremo in KAOS – dando ai miti greci quel che è loro da millenni: piena rappresentazione. Le Moire gender fluid e non binary contano Sam Buttery, Chè e unə favolosə Eddie Izzard. Anche Caronte (Ramon Tikaram) è omosessuale e non immaginerete mai chi gli abbia spezzato il cuore! Tra Erinni motocicliste e un Polifemo titolare di un losco pub chiamano “The Cave”, non posso non menzionarvi anche Ceneo (Misia Butler), ragazzo transgender che abbraccia dolcemente la storia di Cenide, colei che chiese agli Dei di diventare uomo.

Molte altre sono le personalità che incontrerete nel corso degli otto episodi e un articolo intero non basterebbe a dar loro giustizia; la delicata lungimiranza, con cui sono state riscritte, va scoperta poco per volta ed è un privilegio che intendo lasciare alla vostra sorpresa. Immaginatele in combutta, le pedine minori dell’Olimpo, le quali, per spodestare Zeus, perpetreranno tradimenti e congiure, ottenendo nel compimento finale un’apoteosi che pure tarderà ad esplodere.
L’attesa è per il vero caos prossimo ad inglobare ogni cosa. La prima stagione, infatti, è un ciclo che si è concluso, ma sono ancora molti i destini da tracciare.

Chiaramente la speranza è l’ultima a morire, ma ancora non si hanno notizie di un possibile rinnovo e non nego che scriverne qui, ha per me la stessa valenza del manifestare. Non possiamo lasciare in mano a Zeus il potere incontrastato e dobbiamo seguire le nuove strategie di Era e Prometeo. Vogliamo vedere come affronterà il lutto e la rivalsa di sé stesso Dioniso e come Euridice e Arianna riplasmeranno il mondo contrariamente a come lo abbiamo conosciuto.
E confidiamo, dunque, che il Fato faccia il suo corso e che esso combaci, infine, con il nostro volere.
Laura